domenica 2 settembre 2012

Trent'anni da Sabra e Chatila


La Lettura di oggi ricorda con tre articoli il massacro di profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila di cui ricorre il trentesimo anniversario.
Il primo è un lungo articolo del giovane scrittore Paolo Giordano, che è possibile leggere on line (http://lettura.corriere.it/una-notte-di-40-ore/).
Ci sono poi due pezzi che, invece, si possono leggere solo su carta.
Uno è di Vittorio Messori che riprende la lettera spedita da Giuseppe Dossetti a Menachem Begin, allora Primo Ministro di Israele, pochi giorni dopo la strage perpetrata dai cristiani libanesi senza, per così dire, incontrare resistenza da parte dei soldati di Israele, allora padroni di gran parte del territorio libanese.
L’altro è un’intervista di Francesco Battistini a uno studioso israeliano, Eyad Zisser, che offre interessanti spunti di riflessione sul significato che i fatti di Sabra e Chatila hanno avuto sul sentire del popolo israeliano.
Buona stampa. Per tutti e tre e peccato che gli ultimi due non si possano leggere on line.
Trascrivo un brano del pezzo di Messori, che mi pare mettere in luce quanto sia stato profondo l’effetto di quelle vicende su Menachem Begin.
“La voce del monaco… rimarrà sotto traccia. Non così quella della commissione Kahan, che accuserà Sharon di aver manipolato e distorto le informazioni date al premier e al gabinetto: pochi mesi dopo Begin – il premio Nobel che aveva stretto la mano a Sadat – si ritirava a vita privata sino alla morte.”
Queste parole ci dicono, dunque, che Israele analizzò le proprie responsabilità nella vicenda, anche se poi, alla fine, non vi furono misure contro Sharon, che poté continuare a occuparsi di politica e che divenne anche Primo Ministro (e provocò la Seconda Intifada). E ci dicono anche che Begin, diversamente da Sharon, forse avvertì il peso della propria responsabilità per quegli eventi. In modo piuttosto radicale, ma non credo poi così assurdo, sono portato a pensare che quelle parole ci dicono anche quale fosse la distanza tra Begin e Sharon. La stessa siderale distanza che, purtroppo, sembra separare, in gran parte del mondo, i leader politici del passato da quelli del presente.
Begin non era un santarellino. Aveva guidato Irgun, un gruppo terroristico sionista attivo a cavallo della nascita dello Stato d’Israele. Era stato pubblicamente e pesantemente criticato da intellettuali ebrei del calibro di Albert Einstein e Hanna Arendt per i suoi atteggiamenti oltranzisti. Insomma, non era certamente arrendevole e di fragili convinzioni. Eppure, probabilmente non solo per il peso della strage di Sabra e Chatila, ha saputo estraniarsi completamente dalla vita politica.
Tra i leader mondiali di questi ultimi anni, il solo che abbia scelto di seguire le orme di Begin è stato quel George W. Bush al quale si possono addebitare tanti dei problemi che affliggono il mondo odierno. E questa, a costo di attirarmi le critiche di tutti i miei tre lettori, mi sembra una decisione che mitiga il pessimo giudizio che, sotto ogni altro punto di vista, George W. Bush merita.

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