sabato 31 dicembre 2011

Esercizi di stile


Un po' mi vergogno a servirmi del titolo di un'opera di Quenau per questo post. La distanza tra il grande scrittore francese e il sottoscritto è siderale, ma anche tre dei signori di cui parlo stanno a milioni di anni luce...
Non sorprendentemente, l’articolo del WSJ di cui ho parlato ieri, oltre a essere preferito a quello del FT, ha suscitato reazioni di vario genere sui nostri quotidiani, alcuni dei quali non si sono fatti sfuggire la possibilità di servirsene come pretesto per rilanciare polemiche il cui senso e la cui utilità, onestamente, mi sfuggono. Voi, però, già lo sapete che sono un po’ ottuso… non avevo neppure capito che il pezzo del WSJ aveva più implicazioni di carattere domestico…
Scherzi a parte, forse certi commentatori non hanno letto tutto l’articolo in questione, nel quale la telefonata, peraltro già nota, era un elemento importante, ma non il solo, nella ricostruzione di un passaggio difficile (e ancora non concluso) della vita della moneta unica e dell’Eurozona.
Allora, cominciamo con il Giornale, che ci offre la possibilità di leggere interamente l’editoriale del direttore Sallusti (http://www.ilgiornale.it/interni/le_stata_la_culona/31-12-2011/articolo-id=564900-page=0-comments=1) e poi passiamo a Libero, che invece richiede l’abbonamento per consentire la lettura del fondo di Belpietro, ma già il titolo spiega bene come la pensano da quelle parti (http://www.liberoquotidiano.it/).
Anche il Fatto Quotidiano fa un uso abbastanza strumentale della vicenda attraverso un editoriale del direttore Padellaro. In questo momento il pezzo non è disponibile on line, come quello di Belpietro.
Mala stampa.
Ne potrete tuttavia ascoltare alcuni brani non appena Rai Radio3 renderà disponibile in podcast la puntata di questa mattina di Prima Pagina (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-afd05d44-390e-41e4-a239-c7f04cd934d7.html?p=0). Il conduttore di turno, Massimo Teodori, non ha nascosto la sua opinione riguardo a questi articoli.
Buona stampa.

31.12.2011 all'alba

Dopo una pessima notte di sonno scarso, ho trovato motivo di sollievo nel guardare fuori dalle finestre e nel prendere in mano la macchina fotografica.






venerdì 30 dicembre 2011

Re, Cancellieri e Presidenti della Repubblica


Oggi leggo sul Financial Times (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/672a39dc-3225-11e1-9be2-00144feabdc0.html) che il genero di Juan Carlos di Spagna, il Duca di Palma Iñaki Urdangarin, già campione sportivo e dotato di un cognome piuttosto impronunciabile di origine basca, è stato accusato di uso improprio del denaro pubblico. Niente di cui stupirsi, sono da sempre repubblicano, non soffro di simpatie monarchiche e non mi aspetto che il membro di una famiglia reale sia esente dai difetti degli altri cittadini.
La storia, invece, mi appare intrigante per un altro motivo, ossia per come ha reagito la la casa reale. Riporto integralmente il passaggio, che lascio in inglese.
Spain’s royal palace, meanwhile, has suspended his official functions and has said that he has “not behaved in an exemplary fashion”. On Thursday, the palace said it would respect the decision of the courts.
Non è esattamente la stessa reazione che hanno i nostri politici quando vengono beccati con le mani nella marmellata (con rara eleganza, mi cito: Non sono stato io. Io non ho colpe.). Devo ammetterlo: il Re di Spagna ci ha dato una bella lezione.
Sempre dalla stampa estera, oggi l'edizione on line europea del Wall Street Journal (http://online.wsj.com/article/SB10001424052970203391104577124480046463576.html?mod=WSJEurope_hpp_LEFTTopStories) offre una ricostruzione di come si è arrivati alla nomina di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio, attribuendo un ruolo tutt’altro che secondario alla capoclasse, Angela Merkel. E’ un pezzo che, in realtà, conferma cose già note o, comunque, non impensabili, come la telefonata del Cancelliere tedesco al nostro Presidente della Repubblica. Ad ogni modo è un bel pezzo, che riepiloga, con il consueto stile essenziale del miglior giornalismo anglosassone, l'evoluzione della crisi del debito e le vicende politiche a essa collegate.
Difficile non attribuire una valutazione positiva a tutti e due gli articoli.
Buona stampa.
P.S. L’articolo del WSJ è stato ripreso dai nostri quotidiani, quello del FT no. Qualcuno sa spiegarmi perché?

giovedì 29 dicembre 2011

Andiamo al cinema


Non vado al cinema da oltre dieci anni. E’ un cruccio, ma ho problemi di udito e non riesco a seguire la maggior parte dei dialoghi, quindi ho rinunciato. Non ho, tuttavia, smesso di leggere recensioni di film, di ascoltare Hollywood Party su Rai Radio3 e di seguire le vicende dei festival.
E parliamo di cinema proprio a proposito di festival perché a riguardo, come saprete già, in questi giorni stiamo dando pessima prova di noi.
Succede che Marco Muller, fino a pochi giorni fa Direttore della Mostra di Venezia, sia in predicato di diventare Direttore del Festival di Roma e verrà sostituito alla Biennale dal suo predecessore Alberto Barbera. Il tutto, e questo è il motivo per cui la vicenda m’interessa (e mi procura l’ennesima arrabbiatura), con un patetico contorno di bassa politica. Potete farvene un’idea leggendo Paolo Mereghetti sul Corriere di qualche giorno fa (http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/27/Liti_auto_candidature_idea_del_co_9_111227033.shtml) oppure Paolo Boccacci su Repubblica (http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/12/28/news/festival_del_cinema_e_bufera_su_muller-27301852/index.html?ref=search). Penso che bastino, ma se volete, potrete trovare tanti altri articoli che descrivono questo desolante spettacolo, in cui anche i critici cinematografici danno il peggio di sé, schierandosi con l’una o l’altra parte così da indurre a sospettare che, probabilmente, il cinema italiano è in crisi perché divorato da feroci lotte intestine. Chissà perché, mentre scrivo, mi viene in mente un branco di sciacalli che litiga con un gruppo di iene per pulire le ossa di un’antilope già completamente divorata dai ghepardi…
Sto divagando, anche se non tanto… Forse, anziché fare due nozze con i fichi secchi, sarebbe meglio organizzare una festa di matrimonio nella quale gli ospiti siano serviti decentemente, così come accade altrove, con un po’ di dignitoso buon gusto, lasciando fuori dalla porta gli amici dei padroni di casa affamati di favori. E magari anche i presunti padroni di casa, invadenti e maleducati.
Forse la Signora Polverini e il Signor Alemanno dovrebbero preoccuparsi di altro. La prima, che so, del disavanzo della sanità regionale e il secondo delle voragini che ci sono in troppe aziende controllate dal comune di Roma, come ci ha raccontato il mastino dal muso truce (http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/28/Carica_dei_Dipendenti_Roma_Sono_co_9_111228009.shtml).
Buona stampa.
Anche dalle mie parti, però, potrebbero provare a pensare più in italiano che in dialetto.
Penso di essermi spiegato…

Ho chiesto

Come vi avevo anticipato, ho deciso di fare la mia domanda al Direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, che, l'ho già detto, stimo e apprezzo sinceramente. Ieri sera, alle 22:20, gli ho inviato la seguente mail:

Buonasera Dottor De Bortoli. Mi perdoni se la disturbo ancora una volta; confido nella sua cortese e paziente disponibilità. Ho letto con grande interesse il lungo articolo in cui Massimo Mucchetti ha ricostruito l’ultimo decennio di vita di Mediobanca, un pezzo che, oltre a rinfrescarmi la memoria, mi ha spinto a fare qualche riflessione.
La prima, maliziosa, è che Mucchetti ha svolto molto bene il ruolo di contrappeso rispetto all’intervista di Cazzullo a Cesare Geronzi, la cui lettura mi aveva fortemente infastidito in sé, nel senso che non avrei voluto leggerla sul Corriere, e per il contenuto, tanto da farmi condividere quasi interamente le osservazioni del Fatto Quotidiano (ne ho parlato nel mio blog).
La seconda è che, pur con la consueta chiarezza e nonostante l’ampio spazio riservatogli, Mucchetti ha dovuto condensare vicende che avrebbero meritato altre dimensioni, finendo così per non chiarire alcuni passaggi, in particolare per chi non ha dimestichezza con la materia. Sono ben consapevole che due pagine sono già tanto, ma, avendo deciso di considerare questo tema, forse sarebbe stata opportuna una maggiore generosità, così da evitare che restasse qualche zona d’ombra. Difficile che i lettori si appassionino a più puntate, però si poteva provare…
La terza, e ultima, riflessione è più una domanda. Non si può negare, mi corregga se sbaglio, che le vicende di Mediobanca ricostruite da Mucchetti abbiano avuto e abbiano tuttora riflessi niente affatto trascurabili su RCS Mediagroup. Allora io mi chiedo come mai, proprio adesso, dopo aver ospitato l’intervista a Geronzi e mentre il mondo bancario e assicurativo vive passaggi complessi che lo interessano da vicino, accada che il Corriere decida di ripercorrere la storia recente dell’istituzione attorno alla quale sono costruiti essenziali equilibri finanziari del paese, compresi quelli del maggiore quotidiano. Me lo chiedo e, soprattutto, lo chiedo a Lei, pur senza nascondermi che non sarà facile avere la risposta che io fatico a darmi.
La ringrazio, La saluto molto cordialmente e Le porgo i migliori auguri per il 2012.
Roberto Frigo
Vescovana (PD)


Il Dottor De Bortoli, che è veramente persona di rara cortesia, ha risposto questa mattina alle 8:18.

Caro Frigo, nessun retroscena. Cazzullo aveva una intervista a Geronzi e l’abbiamo pubblicata. Mucchetti era in possesso di novità storiche su mediobanca e le ha scritte. Facciamo il nostro mestiere, bene o male. Ma solo quello. Buon anno
fdb


Bene. Io la mia opinione me la sono fatta. Voi fatevi la vostra.


Airone e poiana

Ci sono almeno due aironi bianchi maggiori che hanno deciso di fissare la propria residenza temporanea nel canale che scorre a poche decine di metri dalla casa in cui vivo. Sono quelli che avete visto nelle foto delle scorse settimane e che, nostante i miei tentativi, non ero ancora riuscito a fotografare fermi in acqua o a terra. Oggi è andata bene. Anzi, benissimo, perchè ho anche incontrato una poiana.






mercoledì 28 dicembre 2011

Di palo in frasca?


Da anni il mio, invero già modesto, interesse per il calcio si è affievolito sino a svanire quasi del tutto, restando vitale quel poco che serve a farmi seguire qualche partita dei grandi eventi che coinvolgono la nazionale. Il susseguirsi di scandali, il deterioramento della qualità del gioco, gli atteggiamenti di troppi calciatori esaltati da guadagni e notorietà del tutto ingiustificati, questi e altri elementi sono all’origine di quello che, lo ammetto, ormai è vero disgusto per uno sport la cui bellezza mi sembra ormai invisibile sotto l’ammasso di lordura che tanti hanno contribuito a spargervi sopra. Sarebbe ora che qualcuno mettesse veramente mano a un progetto di rifondazione di questo sport, anche se i cambiamenti degli equilibri economici e politici mondiali hanno comportato un’alterazione delle gerarchie sportive che, temo, renderà difficile riportare il calcio italiano allo splendore del passato, quello remoto, non quello prossimo.
Per aggiornarvi sull’ultima puntata del romanzo di appendice che si chiama Calcioscommesse vi propongo tre link: http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/436012/, http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/436014/ e
Buona stampa.
Passando a tutt’altro argomento, ci sono articoli che mi fanno venire i brividi. Un esempio è questo pezzo di Carlo Bonini su Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2011/12/28/news/fuga_capitali_estero-27290893/?ref=HRER1-1). Intendiamoci, nel 2011 è del tutto comprensibile e legittimo che chi possiede una somma di denaro da investire, grande o piccola poco importa, sia libero di farlo in qualsiasi paese, così da ottenere le condizioni che giudica migliori per i propri obiettivi. Detto altrimenti, la libera circolazione dei capitali è un principio irrinunciabile quale quello della libera circolazione delle persone e delle merci. Quello che mi fa raggelare è che ancora oggi, nonostante le ripetute promesse di politici e burocrati, l’evasione fiscale in Italia possa raggiungere le dimensioni di cui ci parla Bonini. Tremonti, Siniscalco, Visco, Tremonti… negli ultimi dieci anni al ministero del Tesoro si sono susseguiti loro e non sono riusciti a imprimere una vera svolta. Finisce che mi tocca dare ragione a Piero Ostellino (e non è cosa che si fa a cuor leggero) che, mi pare sabato scorso sul Corriere, indicava nel rapporto tra politici e burocrati una delle cause del pessimo funzionamento della nostra macchina amministrativa. Se i politici, come osserva correttamente Ostellino, non sanno o non vogliono controllare l’azione della burocrazia cui sono preposti, ovviamente, la burocrazia fa quello che, notoriamente, sa fare meglio, ossia creare meccanismi e procedure astrusi per giustificare la propria presenza. Sul tema gli studi, in carta e in rete, si sprecano.
Buona stampa.
Finiamo con un articolo di dimensioni piuttosto inconsuete per un quotidiano. E’ la ricostruzione degli ultimi anni di vita di Mediobanca fatta ieri da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/27/Mediobanca_decennio_francese_quel_Maranghi_co_9_111227044.shtml). Mucchetti è oggi, a mio avviso, uno dei migliori giornalisti in materie economiche e finanziarie. Ha anche abbastanza coraggio per aprire gli armadi di casa (RCS Mediagroup) per trovare gli scheletri. Anche nell’articolo di ieri, senza timori reverenziali, critica alcune delle figure chiave nell’azionariato della società che controlla il quotidiano su cui scrive. Un articolo interessante, il cui limite, secondo me, sta nelle dimensioni che, sebbene molto cospicue per un quotidiano, mi sembrano insufficienti per illustrare compiutamente una materia estremamente complessa, cosicché restano passaggi oscuri, difficilmente comprensibili anche a chi, nel tempo, ha seguito questi eventi via via che si verificavano.
Poi, non posso nasconderlo, la mia natura sospettosa mi spinge a chiedermi come mai, proprio in questo momento, il Corriere ha deciso di pubblicare un articolo come questo. Niente accade per caso attorno al principale quotidiano italiano. Mi piacerebbe chiederlo a Ferruccio De Bortoli. Chissà che non decida di farlo…
Buona stampa.

lunedì 26 dicembre 2011

Buzzati e la crisi del debito


Visto che non ci sono i quotidiani e che ho avuto più tempo per leggere altre cose, oggi vi rifilo un post bello corposo…
Domani riaprono le borse. Per quel che ne capisco (poco), non dovrebbe succedere gran che. Buona parte degli operatori sono in vacanza e anche chi ha ampie disponibilità, di solito, in questo periodo si orienta sul consumo piuttosto che sull’investimento. Ad ogni modo, mi auguro che la fine di quest’anno e l’inizio del nuovo non siano accompagnati da momenti di tensione sui mercati finanziari.
Questo, tuttavia, non sgombra il campo dalle preoccupazioni sul futuro. Magari sbaglio, però le vicende della moneta unica (per quanto ancora?) europea mi sembrano assomigliare ogni giorno di più a quella di Giuseppe Corte, il protagonista di “Sette piani”, drammatico racconto di Dino Buzzati (io l’ho letto tanti anni fa in questa edizione: La Boutique del Mistero, Oscar Mondadori, Agosto 1974, Lire 850. Esiste, però, anche una versione on line all’indirizzo http://dallaltraparte.modugno.it/archives/2008/02/dino_buzzati_sette_piani.php). Vi consiglio calorosamente di leggerlo, dovreste avere tempo per farlo.
Torniamo al tema, ogni giorno che passa la moneta unica europea sembra scendere più in basso, avvicinandosi al punto di non ritorno. E con essa, pure noi.
Anche se, con l’approssimarsi del Natale, il tema del debito sovrano è stato un po’ trascurato dai giornali, forse per aiutarci a trovare un po’ di serenità, la questione è ancora tutta lì, irrisolta e, anzi, si aggrava, anche con aspetti grotteschi come il contrasto tra Francia e Regno Unito sulla qualità del proprio debito e sulla correttezza di un eventuale abbassamento del rating dei propri titoli di stato da parte delle “famigerate agenzie di”.
Nella crisi del debito sovrano, dunque, quello che è stato definito il “contagio” si sta avvicinando anche alle ultime roccaforti dell’Eurozona, mentre paesi della Unione Europea non ancora convertiti all’Euro (e sarà ben difficile che vogliano e possano convertirsi nei prossimi anni) stanno vivendo essi pure gravi crisi finanziarie, tanto che, ad esempio, l’Ungheria è stata costretta a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale. E si continua a ventilare l’intervento dello stesso Fmi per aiutare l’Italia, così da consentire che venga realizzata, di fatto, una dilazione sul debito, ossia un default parziale. Su questo tema ha scritto il mio concittadino Luigi Zingales sul Sole 24 Ore del 24 dicembre (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-12-24/male-minore-fondo-evitare-081049.shtml?uuid=AaEKLMXE).
Buona stampa.
Quanto precede non perché io mi accinga ora a prescrivere una terapia, il mio intento è soltanto chiarire dove siamo e ripercorrere, il più rapidamente possibile, il cammino che ci ha portato sin qua e che, mi pare giusto ricordarlo, non ha avuto inizio un mese o un anno fa. Un’occasione, naturalmente, per dire anche qualcosa su chi dovrebbe governare.
Tutto è cominciato negli Stati Uniti nel 2007 con i primi segnali: il cattivo andamento del mercato immobiliare ha messo in crisi un sistema basato su mutui concessi in maniera del tutto contraria ai principi di una corretta gestione bancaria (che gli americani hanno pensato bene di ribattezzare subprime, uno di quei tentativi di eufemismo con cui cercano di mascherare la realtà delle cose). Questi mutui di pessima qualità, avvolti in carta sfavillante, con fiocchi e lustrini, sono stati trasformati in pacchi (in tutti i sensi) chiamati ABS o CDO (Asset Backed Securities e Collateralized Debt Obligations: se pensate che vi spieghi meglio cosa sono e come funzionano siete fuori strada, ne so qualcosa, ma non faccio lezioni, in rete ci sono innumerevoli ottimi articoli) venduti a istituzioni finanziarie e risparmiatori di tutto il mondo. Nel momento in cui i mutui si sono rivelati per quel che erano (ossia prestiti concessi a debitori non in grado di pagare gli interessi e di rimborsare il capitale e garantiti da immobili sopravvalutati) anche ABS e CDO si sono rivelati per quel che erano, ossia carta straccia, per quanto targata AAA dalle agenzie di valutazione del credito (le famose agenzie di rating sulle quali ho, per così dire, già dato). Ecco, molto in sintesi, quindi anche con un certo grado d’imprecisione, come tutto è cominciato.
Alcuni molto più esperti di me, tra cui anche il Rettore della Bocconi Tabellini (sul Sole 24 Ore del 23 novembre: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-11-23/nudo-215310.shtml?uuid=AaScg5NE), fissano l’inizio della crisi nel 2008, facendolo coincidere con il fallimento (lo si potrebbe definire anche un mancato salvataggio) di Lehman Brothers, una delle maggiori banche di investimento americane. In realtà, io direi che la bancarotta di Lehman, così come il precedente salvataggio parziale di Bear Stearns (Marzo 2008), è un punto di arrivo, certamente drammatico, di un crescendo di difficoltà dei mercati finanziari iniziato già alcuni mesi prima.
L’articolo di Tabellini illustra bene le tematiche della crisi e le implicazioni politiche.
Buona stampa.
Proseguo il mio ragionamento. Che sia il solo fattore scatenante (non lo penso) o uno tra tanti, il crack di Lehman ha avuto, in effetti, un ruolo cruciale perché ha funzionato come albero di trasmissione e ha trasferito la crisi al sistema bancario internazionale, provocando dissesti a catena negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi. Erano giorni in cui sui giornali finanziari c’erano i contatori dei fallimenti. Solo negli USA ce ne sono stati centinaia. Nel Regno Unito, il Governo è stato costretto, tra l’altro, a nazionalizzare due “banchette” come Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB. Anche il sistema bancario dei primi della classe, quello tedesco, ha subito i suoi traumi, alcuni assai gravi. Insomma, la lista è troppo lunga da fare. Dopo Lehman, niente è stato più come prima.
Ha preso avvio una fase di recessione che ha interessato in varia misura i diversi paesi, provocando ovunque disoccupazione e costringendo tutte le nazioni a espandere il debito per cercare di far fronte alle tante diverse conseguenze della crisi, quindi sia in campo finanziario che nell’ambito sociale. Il debito andava crescendo, il Prodotto Interno Lordo (PIL) calava, il rapporto debito/PIL saliva per effetto dell’andamento di numeratore e denominatore.
Questo non accadeva ieri. Accadeva nei mesi immediatamente successivi al fallimento di Lehman, ossia negli ultimi mesi del 2008 e nei primi del 2009.
A livello politico, ben pochi sembravano rendersene conto, tanto che sono state anche adottate misure contraddittorie. Giusto per farci sopra ancora una risatina amara, ricorderò quanto già raccontato altrove, ossia di come, pochi mesi dopo essere tornato al Ministero dell’Economia (2008), Tremonti ha pensato bene di rendere più incisiva l’applicazione dell’IRAP per le banche, (se volete approfondire, c’è una pubblicazione della Banca d’Italia disponibile a questo indirizzo, quella da scaricare è la numero 80: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2;internal&action=navpage.action&Parameter=3). Pochi mesi più tardi, già lo sapete, ha dovuto non solo fare marcia indietro, parziale, riguardo all’IRAP, ma anche inventarsi i cosiddetti Tremonti Bonds (il cui successo è stato assai modesto perché sembravano più studiati per affermare un controllo pubblico sulle banche che per sostenerle efficacemente).
Muovendosi in maniera abbastanza simile, i politici di buona parte del mondo si sono spesi nel fare ben poco, perdendosi in inutili incontri in più o meno amene località del mondo, tutti piuttosto inconcludenti, ma terminati con i soliti proclami altisonanti e con l’approvazione di misure parziali, destinate ad avere modesti e brevissimi effetti. Un’azione politica men che mediocre dunque, ben supportata dagli economisti, che hanno sostenuto tutto e il contrario di tutto, così offrendo un’eccellente sponda a chi, in realtà, non aveva nessuna reale volontà di decidere.
Non voglio essere io a indicare i tanti illustri studiosi di economia che si sono contraddetti sulle pagine dei più autorevoli quotidiani del mondo. Gli archivi di molti di questi sono liberi, consultarli vi confermerà che non sbaglio.

Per non diventare noioso, provo a tirare le somme. Sono trascorsi oltre tre anni da quando (Ottobre 2008), Lehman Brothers fallì. Tre anni durante i quali le misure adottate dai singoli stati e dalle organizzazioni sovranazionali si sono rivelate inadeguate, spesso addirittura produttive di effetti contrari a quelli sperati. Una prova pessima, che ha anche messo in luce una certa sudditanza della classe politica all’industria finanziaria, in Italia assai meno che altrove. A conferma di questo, se avete pazienza, molta, e dimestichezza con l’inglese, potete leggere il rapporto datato Ottobre 2011 e intitolato OTC Derivatives market reforms  del Financial Stability Board, l’organizzazione che coordina l’azione dei principali paesi del mondo e delle maggiori istituzioni finanziarie al fine di rimuovere le condizioni che possono creare o favorire crisi (http://www.financialstabilityboard.org/list/fsb_publications/tid_72/index.htm). Se vi fidate, vi dirò che sembra molto improbabile il raggiungimento, nel termine fissato per dicembre 2012, degli obiettivi di controllo sulle transazioni dei “derivati” (che tanta parte hanno avuto e hanno ancora nel causare o amplificare le crisi finanziarie), impegno solennemente assunto dal G20 nel Settembre 2009. Questo per dire che, mentre i responsabili dei governi s’incontravano e scrivevano comunicati stampa, il controllo sui mercati finanziari è migliorato poco o nulla così da permettere che si effettuino tuttora operazioni speculative capaci di causare effetti dirompenti come quelli che stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’Euro, la cui situazione critica getta un’ombra inquietante sul prossimo anno e accentua la preoccupazione suscitata dalle previsioni di una recessione non trascurabile nei paesi dell’Eurozona.

Tutto sarebbe più facile se ci fosse maggior chiarezza e maggiore incisività nelle scelte della politica. La pavidità dei deboli (con i ridicoli ruggiti dei topi Sarkozy e Cameron) e l’intransigenza dell’autoproclamata capoclasse Merkel fanno sembrare uno statista straordinario persino Obama, che pure non ha fatto molto, ma almeno ha rimesso in lento movimento l’economia americana. Basta.

Torniamo a Giuseppe Corte. Non so a che piano sia arrivata la moneta unica. E posso soltanto augurarmi di aver sbagliato completamente nel porre in relazione le vicende dell’euro e quella del personaggio di Buzzati. In caso contrario, il peggio che ci aspetta sarà ben oltre le più funeste aspettative.

sabato 24 dicembre 2011

Non sono stato io. Io non ho colpe. Appendice

Oggi, dagli anfratti della memoria, è riapparsa una scena di un film divertentissimo, The Blues Brothers, immediatamente l'ho collegata al mio vecchio post e sono andata a cercarla su You Tube, così, giusto per farvi un regalo di Natale che vi faccia ridere. Auguri

L'articolo di ieri sera

L'articolo di Maria Serena Natale è disponibile on line e questo è il link: http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/23/strage_dei_randagi_nelle_citta_co_9_111223030.shtml.

venerdì 23 dicembre 2011

UEFA e randagi ucraini

Oggi ho letto, con raccapriccio per quanto amo i cani, l'articolo di Maria Serena Natale sul Corriere della Sera in cui si parla della soppressione dei randagi in Ucraina, dove sembrano essere così numerosi da costituire un grave problema. E' un pezzo apprezzabile perché racconta una storia che deve essere conosciuta, ma c'è un ma. Oltre ad amare i cani, infatti, ho una particolare attenzione per i numeri. Nell'articolo, che spero venga pubblicato on line (se non accadrà farò lavorare lo scanner), la Signora Natale ci informa che la UEFA, in previsione dei prossimi campionati europei di calcio e nell'intento di aiutare a risolvere il problema, ha stanziato la bella somma di 9.000,00 euro per la sterilizzazione dei cani randagi, che risulterebbero essere 500.000.
Anche se Doc non è stato reso sessualmente inoffensivo, so che la sterilizzazione in Italia costa almeno 50 euro. Facciamo l'ipotesi che i prezzi in Ucraina siano molto più bassi, diciamo il 10% di quelli italiani. Bene, posto che si possano pagare 5 euro per cane, con lo stanziamento dell'UEFA se ne sterilizzano 1.800. Largheggiamo: costasse 1 euro, se ne sterilizzano 9.000. Esagero se dico che si tratta di una goccia nel mare? Sono insopportabilmente tignoso se, come è accaduto, ho deciso di scrivere alla Signora Natale, la cui mail è indicata sotto la firma dell'articolo, il seguente messaggio?

Buonasera Signora. Leggo il suo articolo sui cani sterminati in Ucraina. Se veramente ci sono 500.000 randagi, e non dubito di quanto Lei scrive, mi viene da pensare che l'Uefa sia un consorzio di mentecatti se pensava di contribuire alla soluzione del problema con 9.000 euro per le sterilizzazioni, che in Italia costano attorno ai 50 euro. Diciamo che in Ucraina costino 5 euro, si sterilizzano 1.800 cani... Avrebbe potuto fare questa semplice operazione anche lei e scriverlo, non le pare? Cordiali saluti.
Roberto Frigo
Vescovana (PD)

Inviato da iPhone


La risposta è stata questa:

La ringrazio e le auguro buon Natale

Ammetto, sono esageratamente tignoso e ho replicato:

Risposta molto puntuale. Grazie e Buon Natale anche a lei

Ulteriore ammissione: ho scritto attorno alle 21.00 del 23 Dicembre, orario da rompi... assoluto, ma non volevo certamente avere una risposta immediata. E in ogni caso, visto che ha deciso di rispondere, la Signora Natale avrebbe anche potuto considerare l'argomento proposto. O sbaglio?
Tornerò sul tema, visto che negli ultimi anni mi è capitato spesso di avere scambi di mail con alcuni giornalisti. Anticipo solo il punto cruciale: perché mai indicare il proprio indirizzo di posta elettronica se poi non si danno risposte adeguate ai lettori?
L'articolo era sostanzialmente buono, ma non credo di poter dire: Buona stampa. Voi cosa pensate?


Tra le 7:37 e le 8:29; -1,7°


Airone bianco maggiore e cormorano





 Ancora airone bianco maggiore



giovedì 22 dicembre 2011

Scegliete voi!


Dobbiamo fare ancora un passo indietro perché gli articoli che vi segnalo e sui quali voglio fare qualche riflessione sono apparsi soltanto oggi sul sito del Corriere della Sera, ma erano sul cartaceo di ieri.
Il primo argomento è che la forza e la ricchezza di un quotidiano indipendente (nei limiti in cui è possibile l’indipendenza in un mondo in cui la proprietà dei giornali è al centro di complessi intrecci finanziari) stanno nella possibilità di offrire, nella medesima pagina, due visioni diverse di una questione che, in larga parte, è la stessa: i due articoli di ieri che vi suggerisco di leggere erano stampati uno sopra l’altro, così da essere quasi in contrappeso anche “fisicamente”, non soltanto per le opinioni espresse.
La seconda considerazione riguarda il modo di scrivere, sia sul piano dei contenuti sia sul piano della forma. I due pezzi in questione, dal punto di vista della sostanza, costituiscono un interessante esempio di come si possa affrontare lo stesso tema in maniera da spingere il lettore a valutarne le implicazioni con la propria testa oppure così da fornire una ricetta preconfezionata, basata sulla volontà di affermare le proprie convinzioni ideologiche e culturali. E mostrano, sul piano della forma, come chi vuole affermare la propria visione sia costretto a scrivere in maniera poco lineare e poco conseguente, inserendo divagazioni estranee al ragionamento.
Rileggete il motto che ho scelto per questo blog, per favore.
Ancora, quando l’intento non è far capire, ma “fare proselitismo”, si sceglie anche di distorcere la realtà, dimenticando elementi che, affrontando un certo argomento, non potrebbero assolutamente essere trascurati. Citerò, quindi, l’art. 67 della Costituzione della Repubblica Italiana: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Se leggerete i due articoli, capirete perché l’ho citato. Non aggiungo altro: leggete e decidete da soli chi vi sembra più comprensibile e più convincente.
Buona stampa.
Mala stampa.
L’ordine del giudizio è casuale e non è detto che rifletta il mio pensiero, formatevi la vostra opinione, che, ovviamente, mi piacerebbe sapere se coincide con il mia.

mercoledì 21 dicembre 2011

Casmerodius albus

Ovvero: Airone bianco maggiore, questa mattina, quando ancora eravamo sotto zero.






Ancora su Havel e altro


Il Financial Times, a mio parere, è un eccellente giornale, non soltanto economico; l’abbonamento on line, sostanzialmente obbligatorio per accedere a tutti gli articoli, è piuttosto costoso (anche volendo, dalle mie parti stampato non arriva proprio), ma direi che ne vale la pena. Oggi pubblica un articolo in cui John Kay (per sapere chi è, la pagina personale è a questo indirizzo: http://www.ft.com/intl/comment/columnists/johnkay) offre, riflettendo congiuntamente sul lavoro di Václav Havel e di George Orwell, una semplice, dura e stimolante analisi del modo in cui si comunica nella nostra epoca. Fate uno sforzo con l’inglese: una lettura preziosa (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/04d440d8-2a7e-11e1-8f04-00144feabdc0.html#axzz1hAq0ZUxz).
Buona Stampa.
Passando ad argomento completamente diverso, però persino più angosciante, la Stampa riporta una notizia che conferma come, purtroppo, le dimostrazioni di saggezza da parte dell’uomo si facciano sempre più rare (http://www3.lastampa.it/scienza/sezioni/news/articolo/lstp/435403/).
Buona stampa.
Facendo un passo indietro, il Sole 24 Ore ha pubblicato ieri un articolo che parla di agricoltura, in particolare degli effetti pesantissimi dell’IMU/ICI sul settore, ma a me ha fatto molto piacere leggere che il Ministro Catania ha una visione diversa rispetto al passato su un tema che mi sta particolarmente a cuore, ossia quello dei contributi alle energie alternative, che hanno prodotto tante conseguenze distorsive sul piano economico e devastanti sul piano ambientale.
Buona stampa.

lunedì 19 dicembre 2011

Václav Havel


Valutare l’azione di politici di altri paesi è difficile, soprattutto quando i paesi sono relativamente piccoli e “meno importanti”, quindi ai margini del cono di luce degli organi d’informazione.
Non è del tutto vero nel caso di cui voglio parlare, ma certamente lo spazio che ha avuto Václav Havel in vita, pur non trascurabile, forse è stato inadeguato. Havel era stato Presidente della Cecoslovacchia negli anni successivi alla caduta del Muro e poi, dopo aver gestito una difficile separazione dalla Slovacchia, della Repubblica Ceca. L’esperienza di dissidente incarcerato a lungo dal regime comunista me lo aveva fatto ammirare, non diversamente da quanti avevano subito la medesima sorte. Il fatto che avesse condiviso, con più fortuna, l’esperienza della malattia di mio padre, mi aveva fatto sentire in qualche modo umanamente vicino a quell’uomo dall’aspetto mite e dallo sguardo attento e ironico, tuttavia la sua attività di politico e di artista non era stata al centro della mia attenzione.
Oggi ho cercato di fare ammenda e, per fortuna, ho trovato materiale adeguato. Negli articoli a lui dedicati dai nostri quotidiani ho scoperto nuovi motivi di apprezzamento per una figura che i governanti di molti paesi occidentali dovrebbero studiare attentamente e alla quale, volesse il cielo, potrebbero ispirarsi.
Ne suggerisco soltanto tre. Come sempre, ottimo Claudio Magris sul Corriere (http://www.corriere.it/cultura/11_dicembre_19/magris-grandezza-poeta-invento-presidente_551d0cf0-2a2e-11e1-88bd-433b1e8e4c01.shtml). Non meno prezioso il pezzo di Enzo Bettiza, lui pure profondo conoscitore di quella parte d’Europa, sulla Stampa (http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/434980/). E anche Repubblica, a firma di Andrea Tarquini, ne fornisce un interessante ritratto (http://www.repubblica.it/esteri/2011/12/18/news/morto_havel_cecoslovacchia_ex_presidente_vaclav-26811751/).
Buona stampa.

Non sono stato io. Io non ho colpe.


Quale potrebbe essere il motto nazionale italiano? Quale frase riuscirebbe meglio a rappresentare un aspetto particolarmente significativo del nostro modo di essere?
La mia proposta odierna è quella che ho usato come titolo di questo post.
Noi non sbagliamo mai. Se c’è una cosa che proprio non sappiamo fare è assumerci le nostre responsabilità. Mentre eccelliamo nell’additare quelle, magari soltanto presunte, di qualcun altro e nel dedicare gran parte del tempo alla critica del lavoro altrui, senza mai perdere qualche minuto davanti allo specchio per fare un esame di coscienza.
Negli ultimi giorni, due signori non proprio di secondo piano ci hanno dato prova di questa straordinaria capacità di ignorare il frutto del proprio agire e di contestare, in maniera piuttosto aprioristica, l’operato di altri.
Cominciamo dall’inquilino di Marco Milanese (però dimessosi, soltanto da inquilino, dopo la scoperta del “co-affitto” saldato mensilmente con banconote per 4.000,00 euro ignote a Befera), il fiscalista che anche in famiglia riscuote poco successo, lo scaricato da tutto il suo partito (PDL al quale, apparentemente, appartiene ancora oggi), ma tuttora non preso a bordo dalla Lega, che forse non ha tanta voglia d’imbarcare un simpaticone del genere.
Il modesto e misurato Tremonti, così vuoto di sé, ha pensato bene di rompere il delizioso silenzio di cui ci aveva gratificati fino a oggi e di pontificare sull’operato del suo successore. Intendiamoci, dopo che il suo vecchio datore di lavoro, qualche giorno fa, aveva ritenuto opportuno dare del “disperato” al Presidente del Consiglio, anche l’erremosciato di Sondrio doveva esprimere la propria opinione. E che è? Il "cosetto di Arcore" (copyright di un mio omonimo che nominerò quando mi dirà di farlo) parla a manetta, come sempre piuttosto sopra le righe, e il trimultiplo di Monti si tace? Ma non pensiamoci proprio! E allora parla e disapprova. Giusto. Chi fa sbaglia e chi non fa critica. Peccato che il trimultiplo non è che abbia trascorso l’ultimo ventennio in Nepal e che sia rimasto del tutto estraneo alla gestione di questo nostro Paese. No, era qui e, poiché il suo capo era impegnato a organizzare cene, lui aveva potere di vita e di morte sui conti pubblici. Trovava anche il tempo per scrivere libri nei quali sosteneva, dopo, di aver capito tutto prima (e ne minaccia altri). Allora, visto che manca di memoria, mettiamo in fila un paio di cosucce che danno prova di quanto l’erremosciato sia estraneo alle difficoltà italiane. Punto primo: abolizione dell’ICI e copertura del mancato gettito. Tra le geniali misure adottate allo scopo di trovare risorse perdute grazie alla promessa elettorale del capo, Tremonti ha pensato bene, appena riconquistato il ministero, di aumentare l’incidenza dell’IRAP per banche e altre istituzioni finanziarie. Questo accadeva nel 2008, mica un anno qualsiasi… Ossia quando in tutto il mondo gli stati aiutavano (o nazionalizzavano) le banche. Eppure lui aveva capito tutto. Lo aveva capito così bene che, appena qualche mese dopo, si è rimangiato in parte l’aggravio dell’IRAP e si è inventato i famosi Tremonti Bond, che avrebbero dovuto consentire alle banche di migliorare gli indici patrimoniali (e della loro efficacia magari parleremo un altro giorno). Punto secondo: più volte nel suo ultimo mandato aveva promesso che la Pubblica Amministrazione avrebbe saldato i propri debiti nei termini prescritti dall’Unione Europea. Sforzatevi un po’ (non è che posso sempre fare io il lavoro sporco) e andate a cercare in rete i dati sull’andamento dei pagamenti degli enti pubblici ai fornitori nell’epoca del bleso. Quei termini di pagamento non rispettati hanno messo tantissime imprese italiane, soprattutto medie e piccole, in ginocchio e spingono i loro proprietari, persone che sanno cos’è il rispetto di sé e degli altri, per primi i loro collaboratori, a uccidersi. Orsù, dear Mr. 3Mounts, si ritaccia!
E veniamo a un altro simpaticone. Il signor Bonanni, il fratello minore di D’Artagnan che, purtroppo, ha rinunciato a servire il Re di Francia e ha preferito deliziare l’Italia come capo del secondo più grande sindacato dei (pochi) lavoratori (pochi grazie anche, e tanto, ai leader sindacali).
Pure lui parla, ma non ricorda. Anche lui è molto impegnato a lamentare gli errori degli altri, sempre che errori siano, e si guarda bene dal considerare tali i propri. E dimentica quanto i sindacati abbiano contribuito e ancora contribuiscano a complicare la vita dei cittadini e a impoverire lo stato grazie a norme che non hanno paragone negli altri paesi civili. Volete andare in pensione? Dovete passare per un ufficio sindacale, perché se vi presentate da soli all’INPS difficilmente ne venite a capo prima di qualche anno. Dovete presentare la dichiarazione dei redditi (anche quella teoricamente più semplice, una pensioncina e la casa di proprietà)? Impossibile riuscire da soli, ma niente paura c’è il CAAF, che riceve soldi pubblici per fare quello che, in un paese normale, a qualsiasi cittadino riesce possibile realizzare personalmente. Intendiamoci, come già detto, la CISL non è sola a beneficiare dell’eccesso di burocrazia italiano. Oltre agli altri sindacati, anche le Associazioni imprenditoriali sono ben felici di norme che, di fatto, attribuiscono loro compiti (ben retribuiti) che altrove non hanno. Pensate alla trafila per ottenere una licenza di commercio o alla presentazione della domanda per la cosiddetta PAC (Politica Agricola Comunitaria).
E non dimentichiamo questo numero 3.289.851,60… si tratta di euro, quelli ricevuti nel 2009 dal quotidiano della CISL grazie alla nostra vecchia conoscenza, la Legge 250/1990.
Dunque Bonanni, con travi in entrambi gli occhi, vede fuscelli in quelli altrui e si preoccupa dell’orticello dei suoi interessi e molto poco, anzi per niente, del vasto campo di quelli di tutti gli italiani. Bellissimo, con la preziosa sciarpa di seta vaporosa attorno al collo (persino LCDM e DDV vorrebbero portarla così), il pizzetto curato come il sederino di un bimbo nobile, D’Artagnanino Bonanni tira in ballo la famiglia, rispolvera un povero zio che, probabilmente, in realtà di economia ne capiva più di lui, e lo usa come termine di paragone con il Presidente del Consiglio.
Nel frattempo, i quarantenni del 2025 ringraziano per la lungimiranza, così come i cinquantenni senza lavoro di oggi. Anche delle sue chiacchiere ne abbiamo a sufficienza.
Si avvicina il Natale, dovremmo essere tutti più buoni… Fateci un regalo, signori che avete determinato le nostre vicende negli ultimi dieci e più anni e che avete contribuito con eccezionale determinazione a portarci sul baratro, statevi zitti fin dopo l’Epifania. Almeno questo, sotto l’albero che non avremo perché noi non ce lo possiamo permettere (come la sciarpa preziosa e il “co-affitto”), ci piacerebbe trovarlo.



mercoledì 14 dicembre 2011

Andiamo male anche in Europa


Non c’è nulla che vorrei quanto trovare motivi per non arrabbiarmi, purtroppo non ne trovo. Anzi, oltre alle infuriate con causa autoctona, ce ne sono tante originate fuori dai nostri confini.
Davanti al parlamento tedesco, oggi Angela Merkel ha ribadito la sua linea rigida, escludendo ancora una volta i soli interventi che possono effettivamente ridurre la tensione sui mercati finanziari e allontanare il definitivo tracollo della moneta unica. Come ovvia conseguenza il cambio dell’euro è sceso sotto 1,3 contro il dollaro, il costo del petrolio è salito e il tasso sui titoli di stato italiani è tornato sopra il 7%. Per i pochi che non lo intuiscono, questo significa che, in Italia, il prezzo dei carburanti non faticherà a superare di slancio 1,8 euro. E significa inflazione, quindi un ulteriore impoverimento del tenore di vita degli italiani, già deteriorato dalle (ripetute) manovre per contenere il disavanzo pubblico e, possibilmente, togliere qualche carriola di terra dalla montagna del debito, il cui costo, accresciuto, comporterà nuovi aggiustamenti dei conti pubblici e chiunque sa cosa ciò comporta.
In sintesi, non c’è nulla che Monti o chiunque altro possa fare per risolvere i problemi italiani se non si affrontano quelli che riguardano l’euro e che non sono soltanto colpa nostra, anzi.
Lo so. E’ una battuta cretina, ma, parafrasando Claus von Clausewitz, mi viene da dire che Angela Merkel è la continuazione di Adolf Hitler con altri mezzi.
La Signora che Berlusconi non avrebbe mai invitato a una delle sue eleganti cene perché priva dei requisiti, sembra intenzionata a sacrificare, sull’altare delle sue personali, e improbabili, glorie elettorali in patria, la sopravvivenza dell’Unione Europea e dell’Eurozona.
Se è vero che ci sono molti Paesi, Italia compresa, il cui tenore di vita è stato da cicala per troppi anni, è anche vero che la Germania è stata una formica avida e soddisfatta e che ha i suoi scheletri negli armadi (bancari e non). Così com’è vero che neppure la Germania ha un futuro se l’Eurozona implode. Temo che, se ciò accadesse, Frau Merkel avrebbe poche macerie anche in patria sulle quali festeggiare e governare.
Non possiamo neppure consolarci con la Francia. Uno stracotto Sarkozy, probabilmente anche in debito di sonno da recente paternità, non potendo servirsi del DSGE o del DCRI per creare problemi alla Merkel come alcuni sostengono abbia fatto con De Villepin e Strauss-Pork, oops… Strauss-Kahn, strilla ai quattro venti dei pericoli che corre l’euro nella speranza (direi meglio nell’illusione patetica) di potersi poi accreditare, se mai riuscisse a inventarsi qualcosa di diverso dall’aria fritta prodotta sinora, come salvatore della moneta unica così da riconquistare il lussuoso ufficio all’Eliseo. Nel frattempo, la Francia si avvicina a grandi passi al gruppo dei PIIGS. Sono curioso di vedere come verrà modificato l'acronimo...
Il Regno Unito ha sciolto gli ormeggi e, comunque, non gode certamente di buona salute economica, condizione che non migliorerà con la terapia isolazionista di Cameron.
Con questi cervelloni, c’è poco da stare allegri. Provassero a pensare i cittadini come tali (e a rispettarli) e non come voti, forse, riuscirebbero persino loro a fare qualcosa di meglio, ma non c’è da farsi illusioni.


Troviamogli casa

Cuccioli di Weimaraner, madre e padre di eccellente discendenza, cercano padrone. Scrivetemi se siete interessati (la mail è nel mio profilo).

Nun je spetta


Come dicevamo ieri, l’azione del Governo Monti è stata frenata dall’entrata in azione delle potenti falangi dei tanti che non vogliono cambiare le cose, o almeno quelle cose che procurano loro una qualche forma di vantaggio.
La rappresentazione più efficace e amaramente divertente della situazione è quella che ne offre Vincino con una vignetta sul Corriere della Sera di oggi. Purtroppo non è disponibile on line, quindi ve la racconto, anzi no, faccio lavorare lo scanner. E speriamo sempre che nessuno si arrabbi per ragioni di copyright…


Dopo questo sorriso a denti stretti, andiamo a vedere cosa succede sul fronte della battaglia per far asciugare gli ipertrofici bilanci del Parlamento.
Siccome quasi tutti i quotidiani, come detto nel post “Non c’è peggior sordo…”, avevano riportato dei movimenti sospetti per impedire che anche la politica pagasse il prezzo della crisi, il Presidente del Senato e quello della Camera hanno pensato bene di emettere un comunicato congiunto che non è male leggere (http://www.camera.it/445?action=refine&shadow_comunicatostampa_testo_comunicato=&shadow_comunicatostampa_legislatura=16&shadow_comunicatostampa_data=2011-12-11). Per la serie impegni precisi e definitivi… Tant’è che ieri Schifani è tornato sull’argomento parlando con i giornalisti e ha detto che le misure saranno adottate entro il 31 Gennaio 2012. Sarà… io ci credo poco, molto poco, perché quel che si legge e si sente non è affatto consolante. Ieri sera, per esempio, ho fatto la sciocchezza di guardare per una decina di minuti la trasmissione di Lilli Gruber su La7, Otto e mezzo: mi sono procurato una formidabile arrabbiatura. Gli ospiti erano Debora Serracchiani, europarlamentare del PD, e Francesco Maria Giro, deputato del PDL e già sottosegretario ai Beni culturali nell’ultimo governo Berlusconi. E’ stata una sciocchezza perché ho assistito, prima di spegnere e buttare il telecomando nel camino, a una discussione assurda in cui Giro, anziché far capire agli italiani se, come e quando verranno ridotti i costi del Parlamento, ha pensato bene di raffrontare le sue varie componenti di reddito con quelle della Serracchiani per sostenere che gli eurodeputati prendono più dei parlamentari nazionali, cosa della quale, mi pare, a noi in questo momento non è che proprio ci freghi gran che… Ad ogni modo, se volete farvi un’idea, potete rivedere la trasmissione (http://www.la7.tv/richplayer/index.html?assetid=50244610). Buona fortuna, tenete un epatoprotettore a portata di mano... Che un parlamentare italiano, per non affrontare il problema dei costi della politica, decida di litigare con un europarlamentare su chi guadagna di più, a mio parere, la dice lunga sulla volontà di rinunciare a qualcosa. E non parliamo dell’espressione e dell’atteggiamento di Giro… il pover’uomo era così infastidito e annoiato.
La stessa arroganza e la stessa ostinata volontà di sfuggire la questione e di spargere fumo la troviamo in una lettera al Corriere della Sera di Sposetti (deputato PD già tesoriere dei DS), cui rispondono i mastini. Purtroppo anche questo scambio non è on line, vediamo se appare nelle prossime ore, altrimenti troveremo una soluzione. In sintesi, Sposetti illustra uno studio della Camera dei Deputati (noto organo d’indagine imparziale) dal quale risulterebbe che il Parlamento costa di più ai francesi, tedeschi e spagnoli che a noi italiani. Per fortuna che Rizzo e Stella gli rispondono adeguatamente. Poi Stella torna sull'argomento con il consueto ardore (http://www.corriere.it/politica/11_dicembre_14/costi-politica-calma-stella_ac3880b6-2626-11e1-97ba-d937a4e61a87.shtml).
Buona stampa.
Meglio che mi fermi qui, per il vostro e per il mio umore. Ci concediamo un ultimo sorriso amaro, sempre sul tema, con Massimo Gramellini (http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41).
Buona stampa.

martedì 13 dicembre 2011

Doc atleta

Togli qua, togli là...


La maggior parte dei quotidiani oggi non è in edicola per lo sciopero, ma le edizioni on line sono aggiornate e, purtroppo, a leggerle par di capire che, poco per volta, dal cosiddetto “Decreto salva Italia” vengano tolti pezzi importanti, soprattutto sotto il profilo simbolico, ma non solo.
Nei giorni scorsi, vedendo le numerose inserzioni a pagamento di organizzazioni rappresentanti gli interessi di varie “corporazioni”, mi ero illuso che il Governo Monti stesse procedendo nella giusta direzione. Se ordini professionali piuttosto che associazioni di categoria si mettono a spendere per chiedere al Presidente del Consiglio di non varare un provvedimento, evidentemente, vuol dire che quel medesimo provvedimento va a toccare posizioni di privilegio che, ovviamente, chi ne trae vantaggio fa il possibile (e anche l’impossibile) per tenere in vita.
Oggi, cliccando qua e là sul sito del Corriere, del Sole 24 Ore, della Repubblica e di Libero (poi sono andato a fare una passeggiata con Doc, impiego migliore del tempo di entrambi), ho iniziato a dubitare che, effettivamente, anche il Governo Monti possa riuscire a intaccare un numero adeguato di situazioni tra le tante che, a spese della collettività, consentono ad alcuni di godere di benefici più o meno grandi.
Verrebbe da dire, rimescolando le parole dette da Churchill riguardo ai piloti della R.A.F., che mai così pochi presero tanto a così tanti. E questi pochi, siano politici o imprese o giornali, stanno difendendo con le unghie e con i denti i loro vantaggi, indifferenti agli sforzi chiesti ai cittadini per il risanamento dei conti.
Come esempio, anche perché si collega al tema dei contributi all’editoria, vi rimando al sito della Federazione Italiana Editori Cattolici, dove si può leggere la lettera inviata al Presidente del Consiglio dai direttori di alcuni quotidiani  e dalla medesima Federazione Italiana Editori Cattolici (http://s2ew.fisc.it/fisc_home_page/dicembre/00000777_TAGLI_CONTRIBUTI_EDITORIAGravissimi_riflessi.html).
Non svilupperò tutti gli aspetti che avrei inteso affrontare nel tirare le somme sul tema, attendiamo di vedere cosa accadrà effettivamente della Legge 250/1990.
Mi limito a toccare qualche punto.
Una ricerca del Reuters Institute for the Study of Journalism della Oxford University (scaricabile a questo indirizzo: http://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/fileadmin/documents/Publications/Working_Papers/Public_support_for_Media.pdf) confronta i sistemi di sostegno pubblico ai media di Italia, Francia, Germania, Finlandia, Regno Unito e Stati Uniti. Lo studio è ampio e complesso e probabilmente ne riparleremo. Il punto per oggi è questo: nel 2008 solo Francia e Italia avevano contributi diretti per la stampa, quelli francesi superiori a quelli italiani (438 milioni di euro contro 161), ma destinati non a finanziare giornali aventi determinate strutture proprietarie o determinati rapporti con partiti politici, come accade da noi, bensì investimenti di aggiornamento tecnologico effettuati da qualsiasi tipo di giornale.
E’ evidente che il nostro sistema, come ho già osservato, si caratterizza come un meccanismo parallelo di sostegno ai partiti e come uno strumento discrezionale di distribuzione di risorse, quindi si presta a “interferenze”. Anche il numero delle fattispecie previste (e il loro cambiamento nel tempo) induce a temere un certo grado di arbitrarietà.
Un sistema, dunque, che, se non eliminato, merita di essere rivisto in maniera radicale.
Qualsiasi cosa si vorrà fare in materia, oltre a impedire la discrezionalità, è indispensabile introdurre la trasparenza assente sino a oggi. Quindi tempestività nell’indicazione degli importi assegnati. Ancora: nella presentazione dei dati la Presidenza del Consiglio dovrebbe fornire, oltre a riepiloghi e confronti, informazioni complete e aggiornate sulle società beneficiarie, così che i cittadini possano realmente sapere a chi vanno i fondi. Da ultimo, si dovrebbe imporre a chi ottiene contributi, di esporre con la massima evidenza l’ammontare del finanziamento e di pubblicare on line i bilanci e ogni altra rilevante notizia di natura patrimoniale, commerciale e societaria, come ad esempio le retribuzioni dei giornalisti.
Pochi o tanti che siano i soldi erogati in base alla legge 250/1990 (e i contributi per l’editoria non sono somme che compromettono i nostri conti pubblici) non importa. La trasparenza è la chiave di volta di uno stato democratico, nel quale il rispetto per il cittadino passa attraverso la disponibilità delle informazioni indispensabili per valutare l’operato degli amministratori di tutti i livelli. Basta nebbia!
Fermiamoci qui, per oggi.