sabato 31 gennaio 2015

Se non altro non è Amato


Per prima cosa, gioiamo: non è Giuliano Amato!
Poi, però, vediamo, con Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi, chi pregustava quella che era ancora la potenziale elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica: http://www.corriere.it/politica/speciali/2015/elezioni-presidente-repubblica/notizie/quirinale-mattarella-dc-e1159412-a914-11e4-96d4-6a68544c2eeb.shtml.
Buona stampa. Più per stima che per reale apprezzamento dell’articolo nella sua interezza, come spiegherò dopo. Non posso dire che mi renda felice vedere che a ridere soddisfatti per l’imminente successo di un (ex)democristiano erano personaggi come Paolo Cirino Pomicino e Rosy Bindi. Mi auguro che il Presidente della Repubblica vorrà smentire le considerazioni di questi personaggi i quali, diversamente da lui, rappresentano il peggiore legame con la cosiddetta Prima Repubblica. Per quel che ho letto, Sergio Mattarella mi sembra una persona adatta al compito e capace di interpretare il ruolo in modo adeguato ai tempi, senza farsi sedurre dal presunto fascino del passato. In realtà, se è vero che il nuovo Presidente ha iniziato la sua carriera politica negli anni 80, è anche vero che ha occupato posizioni di rilievo anche successivamente e che è stato autore della legge elettorale che, purtroppo, è stata sostituita dalla porcata di Calderoli. Bindi e Pomicino hanno poco da ridere sotto i baffi: se la cosiddetta Seconda Repubblica non ha saputo offrire un possibile candidato alla più alta carica dello Stato è certo per la mediocrità della classe politica emersa negli ultimi vent’anni (e anche prima). Una classe politica che si è formata principalmente in tre modi diversi: le scuole di partito del PCI-PDS, i seminari aziendali del tizio decrepito e i bassi commerci di potere che avevano riempito lo stomaco della Balena bianca. Niente di buono direi. E lo dimostrano le condizioni in cui versa il nostro Paese sotto il profilo della corruzione, dell’inefficienza delle istituzioni, della penetrazione della malavita, delle posizioni di rendita di molte imprese favorite dalla mancanza di reale concorrenza e via dicendo.
Invece di perdersi in chiacchiere inutili e grottesche, Bindi e Pomicino potrebbero fare la cosa che la maggior parte degli italiani sarebbero ben felici di veder loro fare: si togliessero di torno. Ne abbiamo avuto abbastanza di loro e abbiamo dato loro abbastanza, anzi troppo per quel che valgono. E anche Gian Antonio Stella potrebbe metterci del suo, smettendo di andare a chiedere quel che pensano.
Per chiudere, vi suggerisco la lettura del ritratto di Sergio Mattarella tracciato da Gramellini nel Buongiorno di ieri su La Stampa (http://www.lastampa.it/2015/01/30/cultura/opinioni/buongiorno/papa-sergio-zero-tituli-Jj7NC284q9D7c1BPzTyHZJ/pagina.html) e la valutazione di chi esce vincitore o sconfitto dal voto di oggi, sempre da La Stampa, a firma di Amedeo La Mattina (http://www.lastampa.it/2015/01/31/italia/speciali/la-partita-del-colle-chi-ha-vinto-e-chi-ha-perso-BZzJOlgJ4WlTbSP9dVSdoJ/pagina.html).
Buona stampa. Per entrambi. Vale la pena di vedere il video dell’intervista (è un monologo per la verità) a Mattarella disponibile sul sito de La Stampa (http://www.lastampa.it/2015/01/30/multimedia/italia/ecco-lintervista-a-sergio-mattarella-dellottobre-7sTPrmZHyz1Te4ZAsm5mUJ/pagina.html), se non altro per ascoltare la voce del nuovo Presidente della Repubblica. Non credo che la sentiremo spesso, ma questo potrebbe essere un bene.

mercoledì 28 gennaio 2015

Indietro non torniamo


Buona stampa. Con tutti i loro difetti, le democrazie occidentali sono le nazioni nelle quali gli uomini trovano garantiti quei diritti che, faticosamente, abbiamo capito essere “fondamentali”. Dunque non è neppure ipotizzabile che si possa cedere a una pressione esterna che vorrebbe farci alterare le caratteristiche dei nostri Stati e indurci a rinunciare a quanto abbiamo saputo costruire nel tempo, anche attraverso passaggi drammatici. A chi vorrebbe farci percorrere all’indietro il cammino che ci ha portato dove ci troviamo oggi, però, non possiamo rispondere con la medesima arma. Non è con l’ignoranza che si vince l’ignoranza. Un pregiudizio non aiuta a sconfiggere altri pregiudizi. E questa (per me) evidente verità, purtroppo, in molte nazioni europee trova sempre meno seguaci e, temo, questo è un brutto segnale di come il nemico stia effettivamente avanzando: l’affermarsi di certi movimenti politici mi pare dimostrare come molti, all’oscurantismo che affascina tanti seguaci dell’Islam, sappiano opporre soltanto un altro oscurantismo.
Dell’imminente passaggio politico di rilievo per Italia che dire? Sarò brutalmente sintetico: andiamo all’elezione del Presidente della Repubblica come si va al mercato del bestiame, difficilmente ne verrà fuori qualcosa di buono.
Ci sono, tuttavia, anche motivi di sollievo: la Corte di Cassazione ha stabilito che lo squallido figuro non aveva diritto alle attenuanti che hanno ridotto la sua condanna da 13 anni a 9. C’è un giudice a Berlino!
Skylark (http://en.wikipedia.org/wiki/Skylark_%28song%29) è un altro splendido standard interpretato da innumerevoli grandi del jazz. Un brano che, personalmente, preferisco nelle versioni strumentali. Cominciamo un ascolto multiplo con l'autore della musica, Hoagy Carmichael, che conferma la mia opinione.


Ascoltiamo poi Paul Desmond, un sassofonista di valore famoso soprattutto come comprimario, avendo suonato a lungo nel quartetto di Dave Brubeck (http://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Desmond). In questa interpretazione Desmond è il leader di un gruppo di eccellenti strumentisti.


Veniamo, per chiudere, a Winton Marsalis, trombettista di straordinario talento, forse un po' algido, ma in un assaggio verticale ci sta benissimo.



E per questa sera abbiamo finito.

martedì 27 gennaio 2015

Non lui, per carità!


Qualche anno fa, all’alba di questo blog che voi tre ancora vi ostinate a leggere, ho scritto per ben due volte che Angela Merkel era la continuazione di Hitler con altri mezzi (http://ilmiosecchiellodacqua.blogspot.it/2011/12/andiamo-male-anche-in-europa.html e http://ilmiosecchiellodacqua.blogspot.it/2012/06/cento-giorni.html). E avevo anche dedicato alcuni post alle conseguenze della brutale austerità imposta alla Grecia dalla Troika (se avete voglia, cercateli voi, mi sono già citato anche troppo).
Questo per dire che mi sento autorizzato a criticare Tsipras e la scelta dei compagni di strada che ha voluto per la sua esperienza di Presidente del Consiglio greco.
Buona stampa. Gramellini è buona stampa anche quando sbaglia… Meglio: anche quando scrive cose che non condivido, il che non equivale a sbagliare, tutt’altro. La sua interpretazione dell’alleanza tra Tsipras e Kammenos, però, non mi convince. A me puzza di tatticismo. E’ proprio una questione di fiuto, non razionale e meditata, però… però… mi viene in mente quando, alle elementari, mi hanno insegnato a non sommare le mele con le pere.
Dopo di che, come ho letto dappertutto, ormai è probabile che la Grecia non sia il siluro che affonda la malandata corazzata europea.
Venendo alle cose di casa, mancano poche ore alla prima votazione per eleggere il Presidente della Repubblica. Sempre affidandomi al fiuto (per ragioni di età, forse, il mio senso migliore), ho l’impressione che si parta con il piede sbagliato. Vedremo. Sul tema, quindi, vi suggerisco una lettura in chiave diversa, quella di Alessandro Sala sul Corriere di oggi: http://seigradi.corriere.it/2015/01/27/vorrei-un-presidente-che-sappia-usare-twitter/.
Stampa così e così. Capisco che possa volere un Presidente al passo con in tempi, ma credo sarebbe meglio auspicare una popolazione giovane capace anche di non servirsi solo dei social network per apprendere e comunicare.
Quanto ai nomi che circolano, io mi auguro ardentemente che cancellino subito quello di Giuliano Amato. Non posso immaginare un Presidente della Repubblica peggiore di lui, che rappresenta tutti i difetti della politica italiana degli ultimi decenni e che è stato l’artefice della più spudorata, tra le tante, operazione con cui l’apparato dello Stato e la classe politica hanno imposto ai cittadini di sostenere il costo dei suoi errori (http://it.wikipedia.org/wiki/Governo_Amato_I). Parliamo di un prelievo forzoso che si è applicato anche, ad esempio, ai conti che le imprese avevano per gli “effetti al buon fine”, ossia per somme che non erano e, in molti casi, non sono mai entrate nelle casse delle aziende stesse. E non dimentichiamo che Amato è, probabilmente, l’italiano che maggiormente costa ai suoi concittadini, potendo vantare pensioni e vitalizi per oltre 30.000,00 (Trentamila//00) euro al mese! Amato proprio no!
Chiudiamo con la musica, ma con spirito diverso dal solito. Anche oggi si celebra un anniversario. Sapete tutti di quale avvenimento si tratta. Ascoltiamo una canzone di Francesco Guccini. Per quel che vale il mio giudizio, la più bella canzone italiana sull’Olocausto: La Canzone del Bambino nel Vento. La ascoltiamo nella versione, credo, più famosa, quella de I Nomadi.




domenica 25 gennaio 2015

Il verso, per ora, non è affatto cambiato


Mi vedo costretto a ripartire dal fango in cui vi avevo condotto giovedì. Sull’argomento, infatti, mi è rimasto qualcosa da dire. Nell’articolo che vi ho segnalato, si parla di fan (sic) presenti in tribunale per dare sostegno allo squallido figuro. Giusto per sgomberare il campo da equivoci, ricordiamo che costui è stato condannato (con sentenza passata in giudicato) a 14 anni di reclusione, ridotti a 9 e ne deve scontare ancora più di 6 per reati che, se ricordo bene (grazie al cielo non è che dedichi molto tempo a questioni del genere, anzi), sono l’estorsione aggravata, lo spaccio di banconote false, la guida senza patente e simili.
Ora a me piacerebbe capire che cosa c’è nella testa di questi fan. Me lo chiedo perché mi rifiuto di pensare che una persona dotata di normale intelligenza possa anche soltanto farsi sfiorare dall’idea di apprezzare lo squallido figuro al punto di diventarne sostenitore. Non c’è niente da apprezzare in lui e, ripeto, merita di stare dov’è e di restarci fino all’ultimo giorno di condanna.
Restando ancora per un attimo sull’argomento, sono andato a ripescare il Buongiorno che Gramellini dedicò allo squallido figuro giusto due anni fa, quando fu arrestato al termine della fuga all’estero. Ecco il pezzo: http://www.lastampa.it/2013/01/24/cultura/opinioni/buongiorno/corona-lo-specchio-deformato-del-materialismo-vLd6f3psOofrEUkcOhBC6J/pagina.html.
Stampa così e così. Mi dispiace, Gramellini è quasi sempre impeccabile, ma qui mi sembra aver preso una strada sbagliata. In particolare non condivido affatto l’opinione che la pena inflitta allo squallido figuro sia eccessiva. Se esistono casi in cui la sentenza dovrebbe essere esemplare, questo è uno. E, purtroppo, non lo è stata, come dimostra l’esistenza dei fan.
In generale, poi, come sa bene anche Gramellini, c’è una ragione perché nel nostro Paese non pochi reati vengono puniti in maniera assai diversa da come accade altrove: negli ultimi decenni i ministri della Giustizia si sono occupati dei problemi giudiziari di una parte della popolazione, eccezionalmente esigua tra l’altro, dando vita a una gerarchia dei reati e delle pene piuttosto strampalata.
Saliamo un po’, ma non tanto da uscire completamente dalla melma.
Più di due anni fa, occupandomi di un tema che mi sta molto a cuore, ossia la trasparenza nella Pubblica Amministrazione, vi avevo segnalato il FOIA, Freedom of Information Act, un’organizzazione che proprio di questo argomento ha fatto la propria ragione di vita (http://ilmiosecchiellodacqua.blogspot.it/2012/06/un-appello-da-sottoscrivere.html).
Nei primi giorni dello scorso dicembre, il FOIA aveva chiesto al Governo informazioni sullo studio effettuato da Cottarelli, che era stato incaricato da Letta e confermato da Renzi, per definire le misure da adottare per ridurre la spesa pubblica. Conoscere il contenuto del “dossier Cottarelli” sarebbe, ovviamente, di grande interesse per il Paese. Ebbene, il Governo ha eretto un muro di gomma respingendo la richiesta di chiarezza del FOIA. Il resoconto completo di questa vicenda la trovate sul sito dell’organizzazione (http://www.foia.it/). Una sintesi la potete leggere in questo pezzo del Corriere della Sera di giovedì: http://archiviostorico.corriere.it/2015/gennaio/22/perche_conti_Cottarelli_sono_segreti_co_0_20150122_78af9594-a202-11e4-b31a-4e54bb51023c.shtml.
Cronaca. Ho poco da dire. Già è sospetto, come mi pare di aver scritto in precedenza, che Cottarelli sia stato di fatto allontanato dal suo incarico. L’omertà, come altro potrei definirla?, riguardo al frutto del suo lavoro mi sembra giustificare il convincimento che ben poco stia cambiando in Italia, checché ne dica Renzi. Il quale certo non ha nessuna voglia di eliminare il brodo di coltura dei mali peggiori del Paese: corruzione, spreco di denaro pubblico, lungaggini burocratiche, tempi della giustizia abnormi, ecc. ecc. Lo dimostrano anche le misure sull’evasione fiscale (il famoso 3%) e quelle sull’autoriciclaggio. Niente di quel che sta facendo Renzi ci farà recuperare significative posizioni nella graduatoria delle nazioni meno corrotte e più trasparenti del mondo.
Quel che penso di Renzi, a questo punto, lo avete senz’altro capito. Quindi mi concentro su un altro punto che viene messo in luce dalla vicenda del “dossier Cottarelli”. Quel breve articolo di cronaca del Corriere è il solo che ho trovato nei principali quotidiani italiani (se sbaglio, sarò felice di essere smentito). Ecco, per me è intollerabile che i direttori di giornali come La Stampa o il Sole 24 Ore, il Corriere o La Repubblica, Il Giornale o Il Fatto Quotidiano abbiano rinunciato ad andare a fondo sulla questione e a mettere il Governo con le spalle al muro per ottenere il soddisfacimento della richiesta del FOIA.
Mala stampa. Quest’atteggiamento più connivente che rinunciatario mi sembra dimostrare, al di là di ogni dubbio, che non possiamo contare su giornalisti capaci di svolgere autenticamente il compito loro affidato nelle democrazie liberali. Con direttori come quelli dei quotidiani italiani, Richard Nixon sarebbe rimasto alla Casa Bianca sino alla scadenza del suo secondo mandato. Una volta di più posso solo rimpiangere che non ci sia un Ben Bradlee da queste parti. E neppure un suo modesto allievo.
E’ arrivato il momento di uscire dal pantano. E per compiere un salto che ci porta tra le stelle, non possiamo che affidarci alla musica.
Ieri è caduto il 40° anniversario di un evento che ha un posto speciale non soltanto nella storia del jazz, ma in quella di tutta la musica: il concerto eseguito a Colonia da Keith Jarrett il 24 gennaio del 1975. Possiamo non ascoltarne una parte? No, naturalmente. Eccovi il primo brano che non ha titolo. E’ un po’ lungo, ma sono 26 minuti di pura bellezza.


giovedì 22 gennaio 2015

Poverino, quanta pena


In questo momento (giovedì 22 gennaio 2015 ore 14:54) la quarta notizia (è stata anche la seconda per parecchio tempo) sul sito del Corriere della Sera è questa: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_22/corona-giudici-sto-male-datemi-uscire-carcere-grazia-udienza-1533d1fe-a227-11e4-8580-33f724099eb6.shtml.
Mala stampa. Al Corriere non hanno niente di più importante di cui occuparsi? Giusto per capirci, che questo squallido figuro stia male in carcere e voglia essere liberato è cosa di cui spero non freghi niente a nessuno. E, poi, gli altri cinquantamila e passa detenuti nelle carceri italiane, gran parte dei quali (diversamente dallo squallido figuro) ancora in attesa di giudizio e per reati anche meno gravi, loro in prigione ci stanno bene e non sono a rischio depressione? Spero davvero che, chiunque decidano di mandare al Quirinale, il prossimo Presidente della Repubblica non si sogni di dare la grazia allo squallido figuro che deve scontare fino all’ultimo secondo la sua condanna.

domenica 18 gennaio 2015

Se possibile, pensare prima di cinguettare


Come non prendere avvio dalla prova d’intelligenza (l’ennesima, non si riesce più a tenerne conto!) offerta ieri da Maurizio Gasparri, una delle punte di diamante del partito del tizio decrepito (cosa volete farci, questo, a quanto pare, ci meritiamo):
Cronaca. Il contenuto, ovviamente, si commenta da solo.
Sulla questione del riscatto (eventualmente) pagato per liberare le due ragazze italiane rapite in Siria, la mia opinione, per quel poco che vale, è la seguente: pagare riscatti, soprattutto a organizzazioni terroristiche internazionali, è un errore per tante ragioni, prima tra tutte il fatto che il denaro pagato alimenta l’azione di questi gruppi.
Detto questo, mi sento di aggiungere che l’Italia deve prodigarsi per proteggere la vita dei suoi cittadini anche fuori dai propri confini e, senza pagare riscatti, tentare ogni strada per ottenere lo scopo. Deve, altresì, pretendere che tutte le organizzazioni attive in aree pericolose adottino un dispositivo di sicurezza adeguato, che riduca al minimo anche il rischio di sequestro di cittadini italiani. Il generoso impulso altruistico che caratterizza molte missioni umanitarie non dovrebbe prescindere dalla prudenza.
La materia, dunque, mi sembra che dovrebbe essere valutata con un po’ di attenzione, considerando tutte le implicazioni di un argomento complesso.
Ciò oggi non accade. Se fossimo un paese serio, con una classe dirigente degna di questo nome, anziché perdere tempo a scrivere stupidi “cinguettii”, i politici dovrebbero dedicarsi alla definizione di un quadro normativo in materia.
Naturalmente sono ben consapevole di auspicare l’impossibile. Dai politici che abbiamo non ci si può aspettare niente di buono. Leggete, a riguardo, l’editoriale odierno di Luca Ricolfi sul 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-18/la-macchina-incertezza-141047.shtml?uuid=ABoldyfC.
Buona stampa.
Sempre da Il Sole 24 Ore di oggi, vi suggerisco un articolo di Carlo Bastasin dedicato ai retroscena della famosa frase di Mario Draghi pronunciata nel luglio del 2012: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-18/cosi-nacque-whatever-it-takes-142215.shtml?uuid=ABI8myfC.
Buona stampa. Si tratta di un brano tratto da un libro pubblicato da Brookings Institution Press e intitolato Saving Europe: Anatomy of a Dream. Credo valga la pena di procurarselo.
Proseguiamo con due pezzi, non freschi di giornata, ma utili perché aiutano a riflettere sul rapporto tra religione musulmana e terrorismo.
Il primo, dal Corriere di giovedì, è l’intervista di Marco Garzonio a Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa:
Buona stampa.
Copio e incollo alcune frasi che mi sembrano meritare rilievo: “L’Occidente non ha compreso molto la complessità del Medio Oriente. Prima l’ha visto sotto il profilo dell’occupazione coloniale. Poi per soddisfare i propri bisogni economici ed energetici. Risultato? In Iraq e Libia si son fatti errori. Si volevano fermare dei dittatori, con i quali s’erano avuti rapporti di convenienza? Ci poteva stare, ma le iniziative si prendono se si ha in mente cosa può accadere. Le primavere arabe hanno espresso un cambiamento, ma quando s’è trattato di definire il dopo movimenti spontanei sono stati sequestrati dai fanatismi. I cambiamenti non sono finiti, ci aspetta un periodo di trasformazioni. Per esempio l’Isis non proseguirà nel tempo. Dobbiamo sapere che non si può puntare alla situazione precedente, che non ci saranno un Iraq o una Siria stati nazionali come in passato”.
Chissà che anche i politici occidentali leggano queste parole. Mi ripeto, ma lo faccio volentieri, sostenuto dalle parole di una persona esperta di religione e di Medio Oriente come Padre Pizzaballa: il terrorismo di matrice islamica trae origine anche da una grave serie di errori, sia d’interpretazione sia di azione, da parte dei paesi occidentali. Ovviamente questo non significa che dobbiamo rinunciare a difenderci, ci mancherebbe. Serve solo a sottolineare che, in futuro, si dovranno prendere decisioni meno avventate e frettolose di quelle prese negli scorsi anni.
Buona stampa. La visione stimolante di un personaggio non allineato e non ortodosso.   
Per salutarvi ho scelto un brano musicale di un duo formidabile, formato da Charlie Haden e Pat Metheny, due strumentisti che hanno scritto (e soprattutto eseguito) pagine fondamentali del jazz. Il pezzo è di Ennio Moricone: il tema principale della colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso.

sabato 17 gennaio 2015

A proposito di ricchezza


Il mio amico Roberto Plaja, del quale vi ho già parlato, oggi ha pubblicato un testo davvero ottimo, che merita assolutamente di essere letto. Se volete la versione in inglese, la trovate qui: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/01/17/a-time-to-give/.
Se invece preferite il testo italiano, vi propongo la traduzione.

Un momento per dare
Questa settimana mi trovavo a Milano e mi sono concesso qualche minuto per lasciarmi stupire dai modelli esposti nella Boutique Vertu di Via Montenapoleone, dove un singolo telefono cellulare viene venduto a svariate migliaia di unità di qualsiasi valuta. Ciò accadeva dopo che avevo preso parte a un eccellente convegno patrocinato dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (UNHCR) e dedicato alla situazione della filantropia in Italia da parte della fascia più ricca della popolazione. L’evento, che si è svolto nella sede della Kairos Julius Baer SIM e che ha visto la presenza di una trentina di persone, si è aperto con una fantastica presentazione del Professor Stefano Zamagni, un esperto della materia, ed è proseguito con la dettagliata e illuminante indagine sulla situazione attuale in Italia svolta da Giovanna Li Perni, della sede romana dell’UNHCR. Copia del documento si può scaricare qui: http://www.theboxisthereforareason.com/wp-content/uploads/2015/01/UNHCR-Presentation-Jan-2015-FILANTROPIA-HNWIS-ITALIA.pdf.
Queste due situazioni mi hanno spinto a riconsiderare una vecchia domanda: esiste concretamente un livello di ricchezza per ciascun individuo o nucleo familiare che possa essere considerato “eccessivo” o semplicemente “troppo”? Non è una domanda posta nel solco del pensiero marxista, ma piuttosto nel senso di possedere così tanto denaro da non sapere che farne. Non si tratta di una domanda oziosa, soprattutto nel contesto di quello che il Professor Zamagni ha descritto come il fondamento filosofico americano o anglosassone della filantropia: restituire parte della propria fortuna alla comunità e alle persone che hanno contribuito a far raggiungere la ricchezza. Da qualche tempo ormai la mia risposta è un inequivocabile si e penso che, mentre il livello effettivo di ricchezza eccessiva può variare con le circostanze, la sua determinazione è più facile di quanto possiamo pensare.
In passato, quando incontravo possibili clienti per la prima volta, ero solito chiedere quali fossero i loro impegni finanziari. Nella maggior parte dei casi, la risposta era che non ne avevano nessuno.  Una volta spiegato loro cosa intendevo con il termine – non solo debiti verso banche o altri, ma “previsioni ragionevoli” di quel che il denaro avrebbe dovuto procurare loro negli anni a venire: spese di sostentamento, protezione contro eventi inattesi, acquisto di case, creazione di una collezione d’arte, allestimento di una flotta di yacht e così via – la conversazione si esauriva inevitabilmente con sguardi infastiditi e la sensazione di un’intrusione ingiustificata da parte mia. La verità, ho compreso poi, è che queste persone non sapevano, e qualche volta non si preoccupavano di sapere: semplicemente una maggiore disponibilità di denaro era un bene.
Con questo non intendo criticare nessuno, soprattutto alla luce della mia attività professionale, che consiste nell’aiutare persone molto ricche a raggiungere i loro obiettivi. Penso, tuttavia, che si possa fissare un principio generale: se non si sa cosa si desidera dal denaro, se non si è in grado di compilare una lista di impegni finanziari, allora, con ogni probabilità, si possiede troppo denaro e sarebbe bene destinarne una parte alla beneficienza. Certamente non spenderne – neppure una minuscola parte – in un telefono Vertu, che diventa tecnologicamente obsoleto ancor prima che si metta mano alla carta di credito.
Di mio aggiungerei soltanto che, purtroppo, in Italia non si è affermato il principio indicato dal Professor Zamagni e che la ricchezza è interpretata in maniera sbagliata, considerata una sorta di colpa e un disvalore. E non serve che spieghi le conseguenze di questo stato di cose.

venerdì 16 gennaio 2015

Ognuno per la sua strada

Non sono tanto presuntuoso da farmi sfiorare dalla tentazione di commentare direttamente e diffusamente la decisione assunta ieri dalla Banca Nazionale Svizzera.
E’ alla mia portata, e quasi superfluo, osservare che la scelta di lasciar fluttuare liberamente il cambio tra Franco Svizzero ed Euro (prima mantenuto artificialmente al valore di 1,2 Franchi per Euro) ha suscitato clamore e prodotto effetti immediati che hanno sorpreso qualche osservatore e mandato a picco alcuni operatori che, evidentemente, avevano posizioni divenute insostenibili con la moneta svizzera arrivata a rivalutarsi in pochi minuti quasi del 40% rispetto alla valuta unitaria.
Ho deciso di segnalarvi solo alcuni articoli, lasciando che, se lo vorrete, ne cerchiate altri voi, che vi formiate la vostra opinione e che, se necessario, decidiate come modificare i vostri investimenti.
Cominciamo con un pezzo di Bloomberg, nel quale prevale l’attenzione per gli aspetti quantitativi: http://www.bloomberg.com/news/2015-01-16/euro-s-march-lower-getting-boost-from-swiss-bankers-currencies.html.
Buona stampa. Generalizzato.
Aggiungo un pezzo da The Economist che, per me, ha un sentore di déjà-vu, visto che ricordo l’epoca non così lontana nella quale molti italiani si erano indebitati in marchi tedeschi per trarre vantaggi dai bassi tassi, dimenticando che esiste anche una cosa che si chiama rischio di cambio (non vi racconto tutta la storia, ma fidatevi di me: alla fine il conto della loro avventatezza non pochi di questi signori, con l'aiuto dei soliti politici interessati, lo hanno scaricato sulle spalle della collettività). Ecco il link all’articolo: http://www.economist.com/news/europe/21639760-poles-were-slow-get-out-swiss-franc-mortgages-now-they-are-paying-price-currency-risk.
Buona stampa.
Ora mi sbilancio e faccio qualche considerazione.
La prima, di sapore prettamente nazionale, è che, come osserva anche Alessandro Merli, chi vagheggia l’uscita dell’Italia dall’Euro e il ritorno a una valuta nazionale, farebbe bene a riflettere molto attentamente sulla propria idea (lo so, idea è parola grossa, grossissima, ma sapete che mi sono imposto di evitare certi termini, che pure ci starebbero bene).
Guardando un po’ oltre i confini nazionali, osservo che la decisione della Banca Nazionale Svizzera mette in drammatica evidenza come la crisi economica e finanziaria che si usa far iniziare nel 2008 (in realtà è almeno di un anno più vecchia) stia tuttora producendo conseguenze. Osservo, inoltre, che, tra i suoi effetti, mi sembra si debba indicare una progressiva perdita di coordinamento tra le istituzioni finanziarie internazionali, derivante anche dalla crisi politica dei paesi e delle organizzazioni sovranazionali, non più in grado di porsi obiettivi collettivi e anche minimamente solidaristici. Ricordate? Solo tre anni fa, ad esempio, si faceva un gran parlare del Financial Stability Board, di cui adesso non si ricorda nessuno...
Ancora, sempre senza guardare solo all’orto di casa, mi pare vada posto l’accento su un punto messo in evidenza da Marco Onado. Riprendo le sue parole: “[…] la dimensione complessiva dei movimenti a breve è cresciuta enormemente e il mercato dei cambi, secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali, attiva ogni giorno scambi per 5mila miliardi di dollari, pari a circa un terzo del Pil mondiale, ovviamente annuale (erano 3,3 nel 2007, cioè prima della crisi)”.
E’ del tutto evidente che nessuna banca centrale e nessun paese la cui valuta sia scambiata “abbastanza” liberamente, forse neppure la Fed e gli Stati Uniti, possiedono e possono generare le risorse per contrastare per più di qualche ora o qualche giorno un’eventuale aggressione concertata alla propria moneta. E questo riporta all’assenza di una visione internazionale comune e di una sia pur minima intesa sulla regolamentazione dei mercati finanziari e, in particolare, di tutti gli strumenti che le grandi banche hanno continuato a ideare per sottrarsi ai controlli e operare con almeno altrettanta disinvoltura di quanta le caratterizzava prima del 2008.
Mi fermo qui, direi che mi sono sbilanciato a sufficienza, ma ci sarà occasione per tornare sull’argomento.
Un po’ di musica per chiudere. Un eccellente pianista al quale, ingiustamente, finora ho dato solo spazio nel suo ruolo di supporto. Parlo di Red Garland (http://en.wikipedia.org/wiki/Red_Garland), di cui basta dire che è stato parte del leggendario quintetto formato da Miles Davis negli anni Cinquanta, i cui componenti trovate nella pagina di Wikipedia che ho indicato. Oggi lo ascoltiamo come leader di un trio.
Vi propongo due brani dallo stesso album, inciso nel 1961: The Nearness of You (http://en.wikipedia.org/wiki/The_Nearness_of_You_%28Red_Garland_album%29). Il primo pezzo è quello che da il titolo al disco, e che voi tre ben conoscete.



Il secondo è All Alone.


domenica 11 gennaio 2015

Se non vogliamo capire


Cominciamo con questioni italiane. Luca Ricolfi, da poco approdato a Il Sole 24 Ore come editorialista, oggi ha scritto un pezzo interessante sulla possibile evoluzione della nostra situazione economica nei prossimi 15 giorni, nei quali si succederanno alcuni eventi piuttosto importanti: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-11/le-cinque-giornate-dell-europa-105157.shtml?uuid=ABNyHHcC.
Buona stampa. Anche se, onestamente, non mi piace quel modo un po’ da fariseo di evitare il giudizio diretto sull’operato di Renzi. Sotto sotto, comunque, mi pare un discorso a nuora perché suocera intenda. E, in ogni caso, alla fine vien fuori che non abbiamo fatto quel che ci permetterebbe di guardare con serenità ai cruciali passaggi dei cinque giorni considerati da Ricolfi e anche dopo.
Per quel che mi riguarda, ho qua e là lasciato emergere qualche opinione sul Presidente del Consiglio in carica, ma ancora preferisco non esprimermi apertamente, da buon fariseo… Posso dire, e non è poco, che mi sembra inserirsi nella tradizione del “tirare a campare”, affermatasi da un bel po’ di tempo nel nostro Paese.
Ritorniamo agli eventi francesi. C’è un aspetto paradossale sul quale riflettevo dopo aver letto delle ultime corbellerie (vorrei sempre usare un’altra parola!) pronunciate da alcuni politici europei e delle polemiche interne ad alcuni mezzi di comunicazione sul giudizio relativo al contenuto delle vignette di Charlie Hebdo (http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_11/tv-niente-spot-charlie-lite-email-ad-jazeera-cronisti-arabi-americani-a2d7bb96-9972-11e4-a615-cfddfb410c4c.shtml#).
Il paradosso sta in questo: sia coloro i quali intendono sfruttare gli eventi di Parigi per imporre una visione esasperata di conflitto tra Occidente ed Islam sia coloro che rappresentano l’avanguardia mediatica del mondo musulmano confondono la grande maggioranza dei fedeli dell’Islam con i terroristi e i fanatici. Abbiamo bisogno di tutto, fuorché di persone che travisano la realtà fino al punto di affermare la medesima visione distorta pur appartenendo a fronti contrapposti. A riguardo vi suggerisco di leggere le parole dello scrittore israeliano Amos Oz, raccolte per il Corriere della Sera da Lorenzo Cremonesi. Il pezzo, pubblicato oggi, non è disponibile nell’edizione on line, quindi l’ho acquisito (non proprio bene, lo ammetto) con lo scanner.


Buona stampa. Anche se mi sembra che, nel comporre il titolo, la redazione abbia privilegiato un aspetto non così essenziale rispetto alle altre considerazioni di Oz. Il passaggio che io trovo più significativo è quello in cui lo scrittore riporta le parole dell’infermiera araba che lo ha assistito durante il ricovero in ospedale. Copio e incollo le parole da ricordare:
Quell’infermiera mi implorò che, per favore, mai dimenticassi non le centinaia di militanti in corteo per le strade, quanto piuttosto i milioni di pacifici musulmani rimasti nelle loro abitazioni.
Dimenticare questo sarebbe il peggiore errore che potremmo fare.
Un altro errore che non dobbiamo commettere è quello cui possono indurre commentatori come Sergio Romano, il quale non perde occasione per cercare di giustificare ogni azione, anche la più inaccettabile, della Russia di Putin e di rivalutarne il ruolo internazionale. Oggi, nel suo editoriale sul Corriere della Sera, che non vi faccio leggere perché non lo merita, ha scritto queste parole:
Winston Churchill disse un giorno che se Adolf Hitler avesse invaso l’inferno, lui non avrebbe mancato di parlare gentilmente del diavolo alla Camera dei Comuni. Il presidente egiziano Al Sisi, il presidente siriano Al Assad, il presidente russo Putin e il presidente iraniano Rouhani non sono diavoli. Sono alla testa di regimi che noi consideriamo carenti di democrazia, polizieschi e repressivi. Ma conoscono l’Islam meglio di noi, hanno già fatto in passato dolorose esperienze (abbiamo dimenticato ciò che accadde nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del nord?) e hanno buone ragioni per battersi affinché il loro Paese non venga continuamente insidiato dall’estremismo sunnita o sia destinato a divenire una provincia del Califfato. Se qualche Paese occidentale fosse disposto a mettere truppe sul terreno potremmo forse fare a meno della loro collaborazione. Ma da quando gli Stati Uniti hanno eliminato questa opzione non abbiamo altra scelta fuor che quella di sostenere con tutti i mezzi di cui disponiamo quelli che sul terreno già ci sono.
Da un certo punto di vista, il ragionamento di Sergio Romano è fondamentalmente giusto. Ha ragione laddove sottolinea che non siamo in grado di combattere e vincere la guerra con l’ISIS e Al Qaeda perché non abbiamo la determinazione necessaria a mandare per la terza volta i nostri soldati a morire in Iraq o da quelle parti.
Quello che non mi piace, e che è sostanzialmente fuorviante, è mettere sul medesimo piano Egitto, Iran, Russia e Siria. E dimenticare il ruolo di Iran e Siria nella nascita e nello sviluppo di certe frange dell’estremismo islamico. E, infine, confondere il terrorismo ceceno con quello dei fondamentalisti, anche se è fuor di dubbio che tra i due esistano contatti e collaborazioni molto significativi. Dietro il terrorismo ceceno (feroce e ingiustificabile come qualsiasi forma di terrorismo), infatti, esiste una richiesta d’indipendenza che la Russia ha represso con una brutalità di cui ha testimoniato Anna Politovskaja, che per questo è stata barbaramente uccisa come sappiamo (e come dovrebbe sapere anche Sergio Romano).
E Sergio Romano dovrebbe anche sapere che non esiste alleato meno affidabile di un regime dittatoriale.
In materie come queste non si può semplificare né scegliere percorsi ambigui. E dobbiamo sperare, come dice Oz e come dicono tanti intellettuali di religione musulmana, che siano i musulmani stessi a creare gli anticorpi contro la malattia. Perché, con buona pace di Salvini e dei redattori di Al Jazeera, sono pochi i fedeli musulmani che condividono l’agire dei terroristi, soprattutto quando arrivano al punto di servirsi di una bambina per compiere una strage di civili inermi in un mercato. Contro persone capaci di questo non si vince neppure con i soldati di Putin o con quelli di Assad (ammesso che siano disposti a morire per noi, e ne dubito decisamente). Contro queste persone si vince soltanto se vengono espulse dai loro stessi concittadini, se la mala pianta è estirpata da chi la vede spuntare accanto a sé.
E se questo non accadesse? Vorrà dire che dovevamo estinguerci noi (che non c’eravamo) e non i dinosauri. Che ci piaccia o meno, il problema siamo noi.

venerdì 9 gennaio 2015

Se la sono cercata per tutti noi


Come di consueto, di fronte al vile massacro della redazione di Charlie Hebdo, i politici italiani non rinunciano a volare basso basso, incapaci di sottrarsi al bisogno di guardare anche gli eventi più drammatici con le modeste lenti deformanti delle zuffe da pollaio della LORO politichetta provinciale.
Non farò a nessuno il favore di riprendere articoli che citano le corbellerie (come vorrei usare un'altra parola!) di questo o di quello. Lascio a voi, se proprio ne sentite il bisogno, il compito di dragare la melma e tirare fuori i commenti degli inetti parolai ai quali, purtroppo, abbiamo consentito di rappresentarci, con la sola scusante di sistemi elettorali costruiti apposta per dar modo ai peggiori di essere eletti.
Il barbaro assassinio di Parigi è solo l’ultimo di una serie di attacchi al cuore del mondo occidentale, quel mondo nel quale, con gli ovvi limiti dell’umano agire, si sono affermati principi filosofici, giuridici e religiosi e modelli di vita che meglio si prestano ad appagare le aspirazioni degli individui. Di tutti gli individui, anche di quelli che rifiutano quei principi filosofici, giuridici e religiosi e quei modelli di vita e pretendono di imporne di diversi, frutto di un’interpretazione deformata della propria fede.
Come scrivevo l’altra sera, sull’onda anche dell’impatto emotivo, le colpe di quanto avvenuto in Rue Nicolas Appert vanno attribuite a tanti.
In particolare, attirerei ancora la vostra attenzione su quei paesi che, come ho già scritto, non si fanno troppi scrupoli nel finanziare i movimenti terroristici più pericolosi del panorama islamico, molti dei quali, tra l’altro, hanno sviluppato autonomi metodi per procurarsi risorse impressionanti con cui sostenere le proprie azioni.
Su Il Sole 24 Ore di oggi si occupa di questo tema Claudio Gatti, uno dei migliori giornalisti investigativi italiani:
Buona stampa.
Ai dati dell’indagine di Gatti si possono aggiungere quelli di Roberto Bongiorni che, sempre sul 24 Ore, offre un’accurata descrizione del fenomeno dei cosiddetti retournès: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-09/un-esercito-reduci-guerre-medio-oriente-063654.shtml?uuid=ABaIkCbC.
Buona stampa. I dati di quest’ultimo articolo fanno strage degli argomenti patetici dei populisti di ogni Paese europeo, in primo luogo di quelli italiani, purtroppo tanti e di pessima caratura anche per la categoria. E’ del tutto evidente che non esiste, e non potrebbe esistere, una matrice comune tra i musulmani francesi e quelli scandinavi, tra quelli tedeschi e quelli inglesi. Si tratta di comunità nate in tempi e con modalità totalmente diversi e sulle quali l’ombra del passato è in qualche caso spessa in qualche altro assente. Detto altrimenti, un membro di seconda o terza generazione della comunità musulmana francese porta nel proprio bagaglio, tra l’altro, i rancori di una colonizzazione che non può avere un esponente della comunità tedesca o svedese.
Se non avessero implicazioni così drammatiche, le sbrigative analisi opportuniste dei politicanti da strapazzo che, purtroppo, pullulano in Europa potrebbero far sorridere ironicamente perché costoro, nel valutare la questione musulmana, si muovono con logica poco diversa da quella dei fanatici che imbracciano il kalashnikov e il Corano. E con la medesima volontà di capire.
Mi piace, per cercare di rimanere alto, suggerirvi la lettura di un pezzo di The Economist:
Buona stampa. Direi ottima. Grazie a Roberto (http://www.whatsmoneyfor.com/) che mi ha segnalato questo articolo, così lontano da quello, sconcertante, del Financial Times nel quale si lasciava intendere che gli autori di Charlie Hebdo “se l’erano cercata”. Già, un articolo di cui non vi do il collegamento perché mi ha infastidito e, probabilmente, m’indurrà a porre fine all’abbonamento al quotidiano inglese.
Se l’erano cercata… Viene in mente Andreotti che aveva usato parole simili riguardo all’Avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona. Quale destino iniquo accomuna a volte gli uomini che, in diverso modo, combattono per difendere il bene collettivo. Uccisi e sbeffeggiati.
Giova, perciò, leggere il Buongiorno di Gramellini, che spiega meravigliose ovvietà: http://www.lastampa.it/2015/01/09/cultura/opinioni/buongiorno/checkpoint-charlie-fgKcpl9gDlwN70cufbcSrM/pagina.html.
Buona stampa.
Je suis Charlie.

giovedì 8 gennaio 2015

Mani che grondano sangue


Molte mani grondano sangue questa sera.
Quelle dei vigliacchi assassini che hanno ucciso gli autori di Charlie Hebdo e altre persone innocenti. Di loro si occuperà, spero, la Giustizia francese. E sicuramente lo farà il loro Dio, che non è per nulla simile a quello che descrivono e che elogiano mentre uccidono a sangue freddo persone senza colpa.
Quelle dei furbi opportunisti, sedicenti califfi e imam, che alimentano e sfruttano il disagio di tanti giovani che non riescono, per le più diverse ragioni (non ultimi anche nostri errori), a far parte delle nazioni in cui sono spesso nati o hanno vissuto la gran parte delle loro vite.
Quelle dei governanti di paesi di religione musulmana che alimentano con le proprie ricchezze movimenti la cui violenza favoriscono purché non tocchi le loro nazioni e li aiuti a raggiungere i loro obiettivi di potere.
Quelle dei leader occidentali (non ne faccio i nomi, li conoscete meglio di me) che hanno perseguito interessi inespressi ammantando la loro azione con la fandonia dell’esportazione della democrazia.
Quelle degli intellettuali che hanno sostenuto la fandonia, preoccupati di farsi paladini d’illusioni in cui non credevano gli stessi ipotetici beneficiari e indifferenti alle conseguenze di quegli avventati e velleitari interventi cosiddetti umanitari che, demolendo Stati gestiti da dittatori esecrabili, riportavano, però, milioni di persone alle condizioni di barbarie dalle quali, per quanto male, erano stati sottratti.
Quelle dei politici, in particolare europei e italiani, che continuano a non capire che ci troviamo di fronte a problemi che non si risolvono con slogan e con “cinguettii”, ma che richiedono un vero, formidabile sforzo di comprensione e di azione decisa e duratura.
Vi lascio con le parole di Charb, il direttore di Charlie Hebdo, una poesia scritta qualche mese fa e recuperata da Il Sole 24 Ore nell’edizione on line: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-07/la-bellissima-poesia-charb-contro-l-intolleranza-175833.shtml?uuid=ABJ62AaC.
Buona stampa.

sabato 3 gennaio 2015

Buona fine e buon principio


Negli ultimi giorni dell’anno, mio padre soleva salutare con questo augurio le persone che incontrava. Mi è sempre parso un bell’augurio: in quel mettere insieme l’anno che finiva e quello che stava per iniziare vedevo un senso di continuità nell’auspicare il benessere del destinatario.
Se dobbiamo guardare a quel che ci offrono i quotidiani di ieri e di oggi, che ci raccontano la fine del 2014 e l’inizio del 2015, per l’Italia non c’è stato niente di buono né nell’una né nell’altro.
Cominciamo da qualcosa che è accaduto nel 2014 e che ci viene descritto da Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/24/maxxi-stipendio-non-autorizzato-giovanna-melandri/1295337/): finalmente la Presidente del Maxxi sarebbe riuscita a pagarsi lo stipendio al quale, ricordate, aveva asserito di voler rinunciare, salvo poi ritornare piuttosto rapidamente e in modo un po’ opaco sul proprio impegno (http://www.lettera43.it/politica/melandri-dal-maxxi-arriva-lo-stipendio_43675103689.htm). La signora Melandri è davvero una che non si preoccupa di se stessa, ma ha a cuore il bene comune e ha in odio i privilegi della classe politica quasi quanto Beppe Grillo, come ben spiegavano quasi tre anni fa Libero (http://www.liberoquotidiano.it/news/home/921737/Melandri-La-deputata-Pd-difende-il.html) e Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/30/melandri-co-servi-d%E2%80%99italia/187747/).
Buona stampa. Per tutti. Quel che penso io della Signora Melandri, a questo punto, conta assai poco. Però voi tre un’idea ve la sarete senz’altro fatta…
E veniamo a una vicenda di cui parla una lettera di Pietro Ichino sul Corriere della Sera di oggi. Non è disponibile nell’edizione on line, ma merita di essere letta e quindi lavora lo scanner. Ecco il testo.


Buona stampa. Non aggiungerei nulla per ora.
Restiamo, purtroppo, in argomento, ossia continuiamo a parlare delle dimensioni raggiunte dal problema del dipendenti pubblici nel nostro Paese. Sapete già a cosa alludo: ai vigili urbani e ai dipendenti della metropolitana di Roma che hanno pensato bene di darsi malati per non essere in servizio la sera dell’ultimo dell’anno. La vicenda riempie pagine e pagine dei quotidiani, non serve certo che v’indichi io qualche articolo. Per la cronaca scegliete voi la testata che preferite.
Buona stampa. Unica osservazione è che, con ogni probabilità, fenomeni simili, magari non così pronunciati, si saranno verificati anche in altre città e che i dipendenti dei corpi di polizia locale sembrano godere di un trattamento di favore in forza del quale la loro presenza sulle strade è diventata poco più che simbolica. E questo con buona pace dei tanti “sindaci sceriffi”, di qualsiasi provenienza politica, i quali pensano (purtroppo a ragione per colpa della stampa) che proclami e promesse bastino a ridurre l’insicurezza che regna non solo nelle città, ma anche nei piccoli centri. Non sprechino tempo a produrre nuove disposizioni che vietano questo e quello. Facciano rispettare le leggi che esistono, spediscano sulla strada i tanti agenti della loro polizia che riempiono uffici inutili e controllino che facciano effettivamente il loro lavoro e non si limitino a camminare chiacchierando dei fatti loro nelle stradine più tranquille, evitando con cura ogni possibilità di trovarsi a dover svolgere il proprio compito di tutori della legge e dell’ordine.
A riguardo, non è per niente fuori tema il Buongiorno di Gramellini del 30 dicembre, anche se ispirato alla vicenda del traghetto Norman Atlantic (http://www.lastampa.it/2014/12/30/cultura/opinioni/buongiorno/capitano-ultimo-cPNKabNwrLpuGtQxDIcG0M/pagina.html).
Buona stampa.
Abbiamo uno straordinario bisogno di cose semplici, di riscoprire valori fondamentali che sono andati perduti sotto i colpi portati da una società dell’apparenza e del clamore, del lusso e dell’esibizione affermatasi in Italia con assai maggior successo rispetto alle altre nazioni, nelle quali, tuttavia, è pure presente in misura preoccupante.
Non si scosta troppo da questo tema l’articolo di Aldo Grasso pubblicato ieri da Sette, il settimanale del Corriere. Devo far lavora ancora lo scanner (per ragioni tecniche c'è anche la vignetta di Elle Kappa, che, però, mi sembra un po' inferiore al suo standard, solitamente elevato).


Buona stampa. Non si riesce neppure a sorridere, anche se forse a tratti questo è l’intento di Grasso. In realtà, comunque, è una vicenda ridicola, una delle tante. E che ha per protagonista un personaggio che ha trovato in Italia il Paese di Bengodi anche se, francamente, non capisco perché abbiamo dovuto far arrivare lei quando produciamo tantissime ragazze italiane almeno altrettanto dotate di quelle risorse che hanno portato Belen al successo. Come ho scritto a quello di voi tre che mi aveva segnalato a suo tempo la vicenda del cartellone di Corso Buenos Aires, noi importiamo ragazze disinibite (avevo usato un termine diverso che, per prudenza, censuro) ed esportiamo cervelli. Ho la sensazione che la cosa non sia poi così conveniente per il Paese.
Buona notte e buona fortuna.