martedì 3 luglio 2012

Due articoli da leggere


Oggi la pagina 38 del Corriere della Sera ospita due articoli importanti, che meritano entrambi di essere letti e ritagliati (o memorizzati sul disco fisso del vostro pc).
Uno, in effetti, continua dalla prima pagina, ed è firmato da Ernesto Galli della Loggia, il quale analizza da un punto vista molto interessante le intercettazioni delle telefonate tra Mancino e D’Ambrosio (http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_03/galli-della-loggia-stato-animo-testimone_d79c4e5a-c4e0-11e1-a141-5df29481da70.shtml).
Buona stampa.
Ecco, secondo me parlare della giustizia nel nostro paese non può prescindere dalle considerazioni di Galli della Loggia. Si tratta di una delle questioni centrali, un problema che ha effetti sulla vita dei singoli e delle imprese e sulle potenzialità di crescita economica. Eppure, sebbene da anni se ne discuta anche troppo, i risultati sono stati drammaticamente nulli. Se non cambia l’atteggiamento dei politici (quelli di una parte Galli della Loggia li descrive nitidamente quelli dell’altra li individua incidentalmente), il sistema giudiziario italiano continuerà a costituire un freno, un vincolo intollerabile, oltre che un meccanismo capace di incutere paura e di non offrire certezza del diritto.
Naturalmente, anche ai magistrati si richiede di compiere un grande sforzo: devono semplicemente smettere di essere una delle corporazioni che più ostacola il progresso del paese e che sacrifica sull’altare dei propri interessi quelli degli italiani.
Il secondo articolo è di Piero Ostellino (http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_03/ostellino-paesi-virtuosi-paesi-non-virtuosi_12c9d23c-c4e0-11e1-a141-5df29481da70.shtml), che ho già criticato altre volte e, non senza disagio, devo criticare anche oggi.
Mala stampa.
In parte condivido le osservazioni di Ostellino. Non c’è dubbio che il trasferimento di risorse dal privato al pubblico comporti un’imperfetta allocazione delle medesime. Non c’è dubbio che, in Italia, sia indispensabile rimuovere le innumerevoli assurde complicazioni a causa delle quali la vita dei cittadini e delle aziende è un vero calvario. Su questo è difficile non essere d’accordo con lui. Il punto, tuttavia, riguardo al suo articolo, sta nel fatto che le poche righe condivisibili della conclusione siano il frutto di argomentazioni in larga parte pretestuose.
La Federal Reserve non ha mentito ai cittadini. Ha semplicemente perseguito una politica monetaria rivelatasi sbagliata, che, peraltro, ha avuto ben pochi critici prima del 2007. E la politica di Greenspan si è rivelata sbagliata non tanto in sé, quanto piuttosto per com’è stata sfruttata dal settore finanziario americano che ci ha costruito sopra un castello di carta fragilissimo, che ha prodotto conseguenze micidiali (come anche Ostellino riconosce, ma solo di sfuggita).
La mia critica maggiore, tuttavia, sta in quello che avevo già accennato la scorsa settimana. Il libero mercato di Adam Smith, come osservava anche il Financial Times, non esiste più. E se anche esistesse ancora, ma non è affatto così, Ostellino non potrebbe trascurare il fatto che, ormai, manca una delle caratteristiche essenziali di un mercato in grado di funzionare regolarmente e, quindi, capace di autocorreggersi: la trasparenza. Dov’è la trasparenza quando le banche manipolano i tassi d’interesse che vengono utilizzati per calcolare i costi dei mutui e dei finanziamenti alle imprese? Dov’è la trasparenza quando si collocano sul mercato titoli costruiti artificialmente, così complessi e articolati da riuscire incomprensibili anche agli esperti e, ad ogni buon conto, corredati da valutazioni positive da parte di agenzie di rating pronte a chiudere un occhio, se non addirittura conniventi?
Il pensiero liberale va difeso con la consapevolezza di quanto di nuovo, e d’imprevisto, è intervenuto da quando quel pensiero fondamentale ha mosso i primi passi. Ostellino farebbe un favore alla sua intelligenza e alla sua giusta fama di giornalista se ne tenesse conto. E, se lo facesse, difenderebbe meglio proprio quelle idee che, invece, finisce per indebolire.

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