mercoledì 24 aprile 2013

E già, un'invenzione...


Cominciamo con un brano tratto da un articolo di  Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella pubblicato due giorni orsono dal Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2013/aprile/22/amaro_Risultato_troppi_Scandali_quelle_co_0_20130422_ea51d486-ab0b-11e2-9260-08feb7aff50c.shtml): …Di Massimo D'Alema. Che dopo aver sbuffato che «i costi della politica sono un'invenzione di giornalisti sfaccendati», si avventurò a dire (ci scusino i lettori per la citazione non voluta) che la parola Casta «compare nel dibattito pubblico italiano per la prima volta in un documento delle Brigate Rosse e ha mantenuto quella impronta; ogniqualvolta la si usa, bisognerebbe pagare una royalty agli ideatori, e lo si fa culturalmente». Un parallelo, per dirla in dalemiese, tra una battaglia di giornalismo civico e una stagione in cui i brigatisti assassini sparavano alla nuca di docenti, dirigenti, capireparto, giornalisti, operai... E concluse: «Nei Paesi evoluti non si protesta contro la Casta, ma contro Wall Street». Questo è vero. Ma perché accada lo lasciamo dire a Napolitano: «I tanti fenomeni di degrado del costume e di scivolamento nell'illegalità, insieme ad annose inefficienze istituzionali ed amministrative, provocano un fuorviante rifiuto della politica».
Quando si leggono certe parole, vien da chiedersi come e perché si continui a considerare D’Alema un politico degno di occupare le massime cariche della nostra malandata Repubblica. Lo Stalinuccio di Gallipoli, che, non dimentichiamolo, ha litigato con i quotidiani che chiedevano trasparenza sui conti della Fondazione da lui creata (ossia chiedevano di sapere da dove arrivavano migliaia di euro di contributi), non sembra dimostrare più rispetto per la democrazia e le istituzioni di questa nazione di quanto ne dimostra Beppe Grillo, solo che pochi lo dicono o lo scrivono. Quando un politico si spinge a parlare in quel modo della stampa, dimostra che non ha nessuna considerazione per l’opinione pubblica e per il solo strumento disponibile perché l’opinione pubblica possa controllare l’agire dei propri rappresentanti e delle persone chiamate a rivestire ruoli fondamentali nell’amministrazione del Paese.
Continuiamo (senza allontanarci granché dall’argomento) con questa notiziola dall’edizione romana del Corriere della Sera: http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_aprile_23/gifuni-condannato-lavori-castelporziano-212813312907.shtml.
La colpevolezza sarà provata solo da una sentenza passata in giudicato, ovviamente. Certo è che si può soltanto restare annichiliti nel leggere che: …Nel corso del processo la difesa ha sottolineato lo scarso valore economico del peculato attribuito a Gifuni: poco più di 2.500 euro il valore della manodopera utilizzata e circa 2.000 euro quello del legno.
Gaetano Gifuni guadagnava già nel 1993 il controvalore di oltre 500.000 euro (http://archiviostorico.corriere.it/2007/gennaio/27/Colle_costa_224_milioni_primi_co_9_070127081.shtml). Tale retribuzione annua ne faceva (se ricordo bene) il più pagato dipendente pubblico. E la sua posizione (Segretario Generale della Presidenza della Repubblica) ne faceva, probabilmente, uno dei funzionari dello Stato più potenti.
Vedremo se la condanna sarà confermata nei prossimi livelli di giudizio, tuttavia, se dovesse essere confermata, penso che lo scarso valore economico del peculato attribuito a Gifuni dovrebbe essere considerato un'aggravante, non un’attenuante.
Non riesco a cavarmi dalla testa due parole: squallore e meschinità.
E non riesco neppure a cavarmi dalla testa che stiamo parlando di una delle presunte punte di diamante della nostra pubblica amministrazione… Cosa questo significhi, beh, ognuno può deciderlo per proprio conto. 

Nessun commento:

Posta un commento