martedì 13 dicembre 2011

Togli qua, togli là...


La maggior parte dei quotidiani oggi non è in edicola per lo sciopero, ma le edizioni on line sono aggiornate e, purtroppo, a leggerle par di capire che, poco per volta, dal cosiddetto “Decreto salva Italia” vengano tolti pezzi importanti, soprattutto sotto il profilo simbolico, ma non solo.
Nei giorni scorsi, vedendo le numerose inserzioni a pagamento di organizzazioni rappresentanti gli interessi di varie “corporazioni”, mi ero illuso che il Governo Monti stesse procedendo nella giusta direzione. Se ordini professionali piuttosto che associazioni di categoria si mettono a spendere per chiedere al Presidente del Consiglio di non varare un provvedimento, evidentemente, vuol dire che quel medesimo provvedimento va a toccare posizioni di privilegio che, ovviamente, chi ne trae vantaggio fa il possibile (e anche l’impossibile) per tenere in vita.
Oggi, cliccando qua e là sul sito del Corriere, del Sole 24 Ore, della Repubblica e di Libero (poi sono andato a fare una passeggiata con Doc, impiego migliore del tempo di entrambi), ho iniziato a dubitare che, effettivamente, anche il Governo Monti possa riuscire a intaccare un numero adeguato di situazioni tra le tante che, a spese della collettività, consentono ad alcuni di godere di benefici più o meno grandi.
Verrebbe da dire, rimescolando le parole dette da Churchill riguardo ai piloti della R.A.F., che mai così pochi presero tanto a così tanti. E questi pochi, siano politici o imprese o giornali, stanno difendendo con le unghie e con i denti i loro vantaggi, indifferenti agli sforzi chiesti ai cittadini per il risanamento dei conti.
Come esempio, anche perché si collega al tema dei contributi all’editoria, vi rimando al sito della Federazione Italiana Editori Cattolici, dove si può leggere la lettera inviata al Presidente del Consiglio dai direttori di alcuni quotidiani  e dalla medesima Federazione Italiana Editori Cattolici (http://s2ew.fisc.it/fisc_home_page/dicembre/00000777_TAGLI_CONTRIBUTI_EDITORIAGravissimi_riflessi.html).
Non svilupperò tutti gli aspetti che avrei inteso affrontare nel tirare le somme sul tema, attendiamo di vedere cosa accadrà effettivamente della Legge 250/1990.
Mi limito a toccare qualche punto.
Una ricerca del Reuters Institute for the Study of Journalism della Oxford University (scaricabile a questo indirizzo: http://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/fileadmin/documents/Publications/Working_Papers/Public_support_for_Media.pdf) confronta i sistemi di sostegno pubblico ai media di Italia, Francia, Germania, Finlandia, Regno Unito e Stati Uniti. Lo studio è ampio e complesso e probabilmente ne riparleremo. Il punto per oggi è questo: nel 2008 solo Francia e Italia avevano contributi diretti per la stampa, quelli francesi superiori a quelli italiani (438 milioni di euro contro 161), ma destinati non a finanziare giornali aventi determinate strutture proprietarie o determinati rapporti con partiti politici, come accade da noi, bensì investimenti di aggiornamento tecnologico effettuati da qualsiasi tipo di giornale.
E’ evidente che il nostro sistema, come ho già osservato, si caratterizza come un meccanismo parallelo di sostegno ai partiti e come uno strumento discrezionale di distribuzione di risorse, quindi si presta a “interferenze”. Anche il numero delle fattispecie previste (e il loro cambiamento nel tempo) induce a temere un certo grado di arbitrarietà.
Un sistema, dunque, che, se non eliminato, merita di essere rivisto in maniera radicale.
Qualsiasi cosa si vorrà fare in materia, oltre a impedire la discrezionalità, è indispensabile introdurre la trasparenza assente sino a oggi. Quindi tempestività nell’indicazione degli importi assegnati. Ancora: nella presentazione dei dati la Presidenza del Consiglio dovrebbe fornire, oltre a riepiloghi e confronti, informazioni complete e aggiornate sulle società beneficiarie, così che i cittadini possano realmente sapere a chi vanno i fondi. Da ultimo, si dovrebbe imporre a chi ottiene contributi, di esporre con la massima evidenza l’ammontare del finanziamento e di pubblicare on line i bilanci e ogni altra rilevante notizia di natura patrimoniale, commerciale e societaria, come ad esempio le retribuzioni dei giornalisti.
Pochi o tanti che siano i soldi erogati in base alla legge 250/1990 (e i contributi per l’editoria non sono somme che compromettono i nostri conti pubblici) non importa. La trasparenza è la chiave di volta di uno stato democratico, nel quale il rispetto per il cittadino passa attraverso la disponibilità delle informazioni indispensabili per valutare l’operato degli amministratori di tutti i livelli. Basta nebbia!
Fermiamoci qui, per oggi.



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