lunedì 19 dicembre 2011

Non sono stato io. Io non ho colpe.


Quale potrebbe essere il motto nazionale italiano? Quale frase riuscirebbe meglio a rappresentare un aspetto particolarmente significativo del nostro modo di essere?
La mia proposta odierna è quella che ho usato come titolo di questo post.
Noi non sbagliamo mai. Se c’è una cosa che proprio non sappiamo fare è assumerci le nostre responsabilità. Mentre eccelliamo nell’additare quelle, magari soltanto presunte, di qualcun altro e nel dedicare gran parte del tempo alla critica del lavoro altrui, senza mai perdere qualche minuto davanti allo specchio per fare un esame di coscienza.
Negli ultimi giorni, due signori non proprio di secondo piano ci hanno dato prova di questa straordinaria capacità di ignorare il frutto del proprio agire e di contestare, in maniera piuttosto aprioristica, l’operato di altri.
Cominciamo dall’inquilino di Marco Milanese (però dimessosi, soltanto da inquilino, dopo la scoperta del “co-affitto” saldato mensilmente con banconote per 4.000,00 euro ignote a Befera), il fiscalista che anche in famiglia riscuote poco successo, lo scaricato da tutto il suo partito (PDL al quale, apparentemente, appartiene ancora oggi), ma tuttora non preso a bordo dalla Lega, che forse non ha tanta voglia d’imbarcare un simpaticone del genere.
Il modesto e misurato Tremonti, così vuoto di sé, ha pensato bene di rompere il delizioso silenzio di cui ci aveva gratificati fino a oggi e di pontificare sull’operato del suo successore. Intendiamoci, dopo che il suo vecchio datore di lavoro, qualche giorno fa, aveva ritenuto opportuno dare del “disperato” al Presidente del Consiglio, anche l’erremosciato di Sondrio doveva esprimere la propria opinione. E che è? Il "cosetto di Arcore" (copyright di un mio omonimo che nominerò quando mi dirà di farlo) parla a manetta, come sempre piuttosto sopra le righe, e il trimultiplo di Monti si tace? Ma non pensiamoci proprio! E allora parla e disapprova. Giusto. Chi fa sbaglia e chi non fa critica. Peccato che il trimultiplo non è che abbia trascorso l’ultimo ventennio in Nepal e che sia rimasto del tutto estraneo alla gestione di questo nostro Paese. No, era qui e, poiché il suo capo era impegnato a organizzare cene, lui aveva potere di vita e di morte sui conti pubblici. Trovava anche il tempo per scrivere libri nei quali sosteneva, dopo, di aver capito tutto prima (e ne minaccia altri). Allora, visto che manca di memoria, mettiamo in fila un paio di cosucce che danno prova di quanto l’erremosciato sia estraneo alle difficoltà italiane. Punto primo: abolizione dell’ICI e copertura del mancato gettito. Tra le geniali misure adottate allo scopo di trovare risorse perdute grazie alla promessa elettorale del capo, Tremonti ha pensato bene, appena riconquistato il ministero, di aumentare l’incidenza dell’IRAP per banche e altre istituzioni finanziarie. Questo accadeva nel 2008, mica un anno qualsiasi… Ossia quando in tutto il mondo gli stati aiutavano (o nazionalizzavano) le banche. Eppure lui aveva capito tutto. Lo aveva capito così bene che, appena qualche mese dopo, si è rimangiato in parte l’aggravio dell’IRAP e si è inventato i famosi Tremonti Bond, che avrebbero dovuto consentire alle banche di migliorare gli indici patrimoniali (e della loro efficacia magari parleremo un altro giorno). Punto secondo: più volte nel suo ultimo mandato aveva promesso che la Pubblica Amministrazione avrebbe saldato i propri debiti nei termini prescritti dall’Unione Europea. Sforzatevi un po’ (non è che posso sempre fare io il lavoro sporco) e andate a cercare in rete i dati sull’andamento dei pagamenti degli enti pubblici ai fornitori nell’epoca del bleso. Quei termini di pagamento non rispettati hanno messo tantissime imprese italiane, soprattutto medie e piccole, in ginocchio e spingono i loro proprietari, persone che sanno cos’è il rispetto di sé e degli altri, per primi i loro collaboratori, a uccidersi. Orsù, dear Mr. 3Mounts, si ritaccia!
E veniamo a un altro simpaticone. Il signor Bonanni, il fratello minore di D’Artagnan che, purtroppo, ha rinunciato a servire il Re di Francia e ha preferito deliziare l’Italia come capo del secondo più grande sindacato dei (pochi) lavoratori (pochi grazie anche, e tanto, ai leader sindacali).
Pure lui parla, ma non ricorda. Anche lui è molto impegnato a lamentare gli errori degli altri, sempre che errori siano, e si guarda bene dal considerare tali i propri. E dimentica quanto i sindacati abbiano contribuito e ancora contribuiscano a complicare la vita dei cittadini e a impoverire lo stato grazie a norme che non hanno paragone negli altri paesi civili. Volete andare in pensione? Dovete passare per un ufficio sindacale, perché se vi presentate da soli all’INPS difficilmente ne venite a capo prima di qualche anno. Dovete presentare la dichiarazione dei redditi (anche quella teoricamente più semplice, una pensioncina e la casa di proprietà)? Impossibile riuscire da soli, ma niente paura c’è il CAAF, che riceve soldi pubblici per fare quello che, in un paese normale, a qualsiasi cittadino riesce possibile realizzare personalmente. Intendiamoci, come già detto, la CISL non è sola a beneficiare dell’eccesso di burocrazia italiano. Oltre agli altri sindacati, anche le Associazioni imprenditoriali sono ben felici di norme che, di fatto, attribuiscono loro compiti (ben retribuiti) che altrove non hanno. Pensate alla trafila per ottenere una licenza di commercio o alla presentazione della domanda per la cosiddetta PAC (Politica Agricola Comunitaria).
E non dimentichiamo questo numero 3.289.851,60… si tratta di euro, quelli ricevuti nel 2009 dal quotidiano della CISL grazie alla nostra vecchia conoscenza, la Legge 250/1990.
Dunque Bonanni, con travi in entrambi gli occhi, vede fuscelli in quelli altrui e si preoccupa dell’orticello dei suoi interessi e molto poco, anzi per niente, del vasto campo di quelli di tutti gli italiani. Bellissimo, con la preziosa sciarpa di seta vaporosa attorno al collo (persino LCDM e DDV vorrebbero portarla così), il pizzetto curato come il sederino di un bimbo nobile, D’Artagnanino Bonanni tira in ballo la famiglia, rispolvera un povero zio che, probabilmente, in realtà di economia ne capiva più di lui, e lo usa come termine di paragone con il Presidente del Consiglio.
Nel frattempo, i quarantenni del 2025 ringraziano per la lungimiranza, così come i cinquantenni senza lavoro di oggi. Anche delle sue chiacchiere ne abbiamo a sufficienza.
Si avvicina il Natale, dovremmo essere tutti più buoni… Fateci un regalo, signori che avete determinato le nostre vicende negli ultimi dieci e più anni e che avete contribuito con eccezionale determinazione a portarci sul baratro, statevi zitti fin dopo l’Epifania. Almeno questo, sotto l’albero che non avremo perché noi non ce lo possiamo permettere (come la sciarpa preziosa e il “co-affitto”), ci piacerebbe trovarlo.



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