giovedì 1 ottobre 2015

Più Financial Times e meno Dipiù

Martedì, grazie alla condivisione su Facebook da parte di un amico, ho avuto modo di leggere un articolo pubblicato dal settimanale americano The New Yorker: http://www.newyorker.com/news/john-cassidy/the-financial-times-and-the-future-of-journalism.
Buona stampa. Attraverso un colloquio con John Ridding, capo azienda di The Financial Times, il giornalista di The New Yorker John Cassidy ricostruisce la recente cessione del quotidiano inglese al gruppo editoriale giapponese Nikkei e le scelte strategiche e commerciali dell’ultimo decennio, soprattutto in relazione allo sviluppo dell’edizione digitale. Effettivamente il caso di The Financial Times è esemplare di come internet poteva e può essere sfruttata per realizzare e vendere in maniera profittevole informazione di qualità. E’ un caso indubbiamente particolare: si tratta di un quotidiano economico-finanziario, che si rivolge prevalentemente ai membri di una comunità abbastanza ben definita, che ha tra i suoi elementi caratterizzanti la lingua inglese e l’attenzione per i temi privilegiati dal giornale.

Nato in Inghilterra, The Financial Times, come altri quotidiani con una forte vocazione internazionale, nel tempo aveva avviato la stampa in più paesi e anche alcune edizioni realizzate fuori dal Regno Unito. Internet, ovviamente, ha offerto a giornali di questo genere la possibilità di raggiungere molto più tempestivamente e agevolmente la comunità dei propri lettori, la maggior parte dei quali aveva molto presto trovato nella rete un fondamentale strumento di informazione, di lavoro e di affari e, conseguentemente, disponeva della tecnologia più aggiornata, adeguata a fruire dei servizi offerti dai più innovativi tra i mezzi di comunicazione.
Oltre che rapido ed efficace nel rinnovare la propria offerta di notizie e commenti, The Financial Times è stato tempestivo anche nell’identificare i modelli di vendita adatti alla propria combinazione prodotto/cliente, come spiega molto bene l’articolo di The New Yorker.
Detto questo, c’è un altro tema sul quale, in particolare, mi sembra sia opportuno attirare la vostra attenzione. Riporto una frase di Ridding: “The newspaper industry shot itself in the foot by going for massive reach, low-quality circulation. (…) It did a lot of damage to itself.” Forse non serve la traduzione, ma eccola: “L’industria dei quotidiani si è sparata sui piedi da sola perseguendo la distribuzione di massa, la circolazione della bassa qualità. (…) Ha fatto un grande danno a se stessa”.
Nell’articolo viene anche citato il caso del Daily News, quotidiano di New York che vive una profonda crisi, non diversamente da testate simili di altri paesi, come alcune tra quelle inglesi del gruppo Murdoch, al capezzale delle quali è stata chiamata Rebekah Brooks, uscita indenne dal processo per le intercettazioni illecite. Un compito non facile il suo: la spazzatura si trova facilmente, mentre è difficile farla pagare quanto serve per fare bilanci soddisfacenti. 
Noi non abbiamo mai avuto quotidiani tipo Daily News o The Sun o Bild. L’unico esempio fu quello, sostanzialmente fallimentare, de L’Occhio, edito da Rizzoli e inizialmente diretto da Maurizio Costanzo, uno che sulla bassa qualità ha costruito buona parte della fase conclusiva (lunga e immagino più remunerativa) di una carriera in cui c’era stata anche molta alta qualità.
Il fatto che manchino tabloid tipo Daily News non vuol dire che da noi i mezzi di comunicazione non si occupino di spazzatura. Al contrario. Il fatto è che, purtroppo, se ne occupano, oltre a certe televisioni e a certa stampa periodica, anche i quotidiani principali del Paese. Anche su quotidiani come Corriere della Sera o La Stampa o La Repubblica trovano spazio notizie che difficilmente (avrei anche potuto non essere così prudente) The Financial Times pubblicherebbe. E questo mentre le tirature dei quotidiani stessi calano costantemente e la caduta dei lettori del cartaceo non viene compensata dall’aumento di quelli delle edizioni digitali. Tant’è che la maggior parte degli editori di quotidiani naviga in acque tutt’altro che buone. E non c’è da essere gran che ottimisti se ieri, sul Corriere, c’era una pagina di pubblicità del gruppo editoriale Cairo che celebrava la propria testata Dipiù (http://www.cairoeditore.it/index.php?option=com_flippingbook&book_id=3210&Itemid=83), risultata il giornale più venduto in Italia in luglio con 586.313 copie vendute tra cartaceo e digitale, ma immagino che il digitale sia trascurabile… Al secondo posto, se vi può consolare, abbiamo Sorrisi e Canzoni Tv. Troviamo il Corriere al 5° con 338.980 copie, Il Sole 24 Ore al 9° con 319.563 e La Repubblica al 10° con 319.215. Direi che non sono dati incoraggianti sulla salute attuale e futura dell’editoria che mi ostino a considerare “migliore”. E anche, in generale, sulle prospettive del Paese, ma restiamo nel mondo dell’informazione.
Anche la RAI, la società che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, da anni si dibatte in difficoltà di bilancio e non brilla certo per qualità dei propri prodotti, ma la storia è un po’ diversa. Ne ho già parlato e probabilmente ci torneremo, per ora vi suggerisco la lettura di questo articolo di Antonio Polito dal Corriere della Sera di ieri: http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_30/rebus-sinistra-televisiva-03d966fc-673a-11e5-9bc4-2d55534839fc.shtml#.
Buona stampa. Alcune osservazioni. La prima è che la RAI è un altro campo in cui Matteo Renzi aveva promesso di cambiare tutto e non ha cambiato un bel nulla. E se io fossi Bianca Berlinguer, ricordando il famoso “Enrico stai sereno”, non mi fiderei troppo delle parole rassicuranti del Presidente del Consiglio. La seconda è che in questi giorni è arrivato a conclusione il processo di primo grado agli amministratori e dirigenti di Alitalia coinvolti nel dissesto precedente il 2008 e culminato con il passaggio ai “patrioti” di CAI (se non ricordate, vi propongo una rapida sintesi da Lettera 43: http://www.lettera43.it/economia/aziende/alitalia-il-fallimento-di-berlusconi_4367577418.htm). Ecco, la RAI viene ancora trattata dalla politica in maniera poco diversa da quella in cui ha trattato Alitalia prima dell’ultimo passaggio a Etihad. E non mi pare che sia di buon auspicio, ma per ora mi fermo qui. Dovremo senz'altro ritornare su questo discorso.
Veniamo alla musica. Prima di proporvi l’ascolto di oggi, mi concedo una citazione che più di qualsiasi mia parola spiega perché dobbiamo combattere e vincere contro i nemici della cultura, della storia e della musica. Sono parole di Martin Lutero: “Una persona che… che non considera la musica come una meravigliosa creazione di Dio deve essere davvero uno zotico e non può essere chiamato essere umano; dovrebbe essergli consentito di ascoltare soltanto il ragliare degli asini e il grugnire dei maiali.”
Oggi la proposta è un po’ diversa dal solito, perché si tratta di un brano di un compositore italiano contemporaneo, famoso soprattutto per le colonne sonore cinematografiche, Nino Rota. Ascoltiamo un pezzo relativamente lungo, ma interessante, Il Concerto per Arpa e Orchestra.


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