sabato 13 agosto 2016

Siccità 2016

Per il momento, preferisco non commentare i dati diffusi ieri sull’andamento del PIL italiano negli ultimi mesi. Non posso, tuttavia, impedirmi di osservare che non è ha parlato neppure il Presidente del Consiglio. Forse ha mandato in vacanza Twitter. O forse anche lui è in difficoltà a presentare come una storia di successo la crescita nulla dell'economia nazionale.

Ciò detto sui pessimi dati del PIL italiano, torno ancora per un attimo a parlare di banche.
Su Il Sole 24 Ore di ieri c’era un interessante articolo di Morya Longo che ha cercato di capire le ragioni che frenano la vendita dei crediti deteriorati delle banche italiane all’ampia platea di investitori stranieri specializzati nella gestione di questo tipo di partite. Ecco il collegamento: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-08-11/sofferenze-tre-trucchi-venderle-care-221829.shtml?uuid=ADI9Kr4.
Buona stampa. Questo passaggio mi pare meritare una sottolineatura: 
«In Italia sul tema della qualità dei dati le banche sono invece ancora indietro - osserva Egidio Calegari, partner di Roland Berger attivo nel settore -. I modelli più avanzati si trovano in Germania e nel mondo anglosassone. Spesso in Italia mancano addirittura i dati sulle garanzie, il che rende difficile fare la due diligence per gli investitori». Servirebbero quindi investimenti sul tema. E, alla fine, il ritorno ci sarebbe: le sofferenze verrebbero vendute a prezzi più elevati”.
Dunque esistono carenze tecniche che trattengono i potenziali investitori dall'acquistare le tipologie crediti cui sono interessati o che li spingono a proporre prezzi molto bassi, che comporterebbero perdite pesanti per le aziende di credito venditrici. Il sistema bancario italiano (per il quale il problema delle sofferenze non si è evidenziato la scorsa settimana, ma è noto da anni) in qualche caso non si è neppure preoccupato di predisporre gli strumenti adeguati per classificare e suddividere i crediti in categorie omogenee. Molte banche parrebbero addirittura ignorare le caratteristiche delle garanzie che hanno ottenuto a fronte dell’erogazione di un prestito. Niente male, non c’è che dire. Mi piacerebbe capire dov’era la Vigilanza della Banca d’Italia in tutto questo tempo. E che cosa abbia fatto.
E’ arrivato il momento che in Via Nazionale cadano teste, molte teste. Se così non sarà, i problemi del sistema bancario italiano non verranno risolti né presto né bene.
Passo a un argomento del tutto diverso. Quasi quattro anni fa, il 6 agosto del 2012 per la precisione, ho pubblicato uno dei testi che hanno avuto maggior successo (http://ilmiosecchiellodacqua.blogspot.it/2012/08/siccita.html).
Il tema dello scritto, accompagnato da alcune immagini, era la siccità che aveva colpito piuttosto duramente la zona in cui si trova l’azienda agricola di cui mi occupo.
Qualche giorno fa, su The Boston Globe ho letto un articolo che mi ha immediatamente fatto ricordare quel mio vecchio post e, più ancora, Furore (The Grapes of Wrath), il bellissimo romanzo dedicato da John Steinbeck alla Grande Depressione, nelle cui pagine iniziali viene descritta la siccità che colpì l’Oklahoma originando una delle grandi migrazioni interne che ebbero luogo negli Stati Uniti in quegli anni.
Buona stampa. Michael Bodley ha saputo resistere quasi completamente alla tentazione di seguire le orme di Steinbeck. Per chi, come me, ha dimestichezza con l’attività agricola, è difficile restare indifferente alla descrizione degli sforzi, in larga parte inutili, compiuti dagli agricoltori del Massachusetts. E faccio fatica a non pensare, con sollievo, alla possibilità che abbiamo noi di irrigare almeno una parte dei raccolti, tra l’altro con un sistema grazie al quale il consumo di acqua e di carburante è molto contenuto, largamente inferiore agli altri di più comune impiego in Italia.
Nell'articolo di Bodley c’è un passo che va messo in evidenza, perciò copio e incollo:
He gambled on putting in a patch of carrots last week, stretching a watering tube thousands of feet — and past a plot of shriveling potatoes—to wet the soil. Planting a knee in the dirt, Kurth dug a finger-sized hole, checking on the carrot seedlings, like a parent fussing over a newborn.
“They’re OK for the moment, but they’ll need some water soon,” Kurth said. “It’s now or never.”
C’è qualcosa di tenero e di vigoroso insieme nel gesto di quest’uomo che si china e cerca un seme di carota nel terreno per controllarne le condizioni. C’è trepidazione e volontà di proteggere, unite all’ineliminabile consapevolezza che in assenza di pioggia il raccolto sarà perduto. Sono stati d’animo che conosce qualsiasi persona che si occupi di agricoltura in qualsiasi angolo del mondo, poco importa che si tratti di un produttore di frumento della pianura padana o un coltivatore di tabacco dei Caraibi, un viticoltore australiano o un frutticoltore inglese.
C’è un fatalismo che ci unisce tutti, ma ancor più ci accomuna la determinazione con cui cerchiamo di indurre la terra a produrre i suoi frutti migliori nella quantità più abbondante, il tutto, generalmente, con una ragionevole sobrietà, senza eccessi, guidati dall’esperienza tramandataci da chi ci ha preceduto, in base alla quale ciò che si ottiene di troppo in una stagione, la terra si riprende in quelle che seguono. 
Anche da noi, quest’anno, la mancanza di pioggia si è fatta sentire. Come dicevo, però, nella nostra azienda abbiamo in parte sopperito con un sistema di irrigazione goccia a goccia. Ecco alcune foto, scattate qualche giorno fa, dalle quali si può notare la differenza tra un campo di mais non irrigato e uno che aveva ricevuto tre cicli di irrigazione associata alla concimazione azotata, essenziale per questa coltura, soprattutto se effettuata nei momenti in cui maggiore è la necessità per la pianta. Dirlo dovrebbe essere superfluo, ma per i meno esperti preciso che le prime tre foto sono dell'appezzamento non irrigato, le seconde tre di quello irrigato.







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