domenica 14 agosto 2016

Una china difficile da risalire

Oggi parliamo un po’ di stampa. 
Da pochi giorni si è conclusa la scalata ostile di Urbano Cairo alla RCS, la casa editrice del Corriere della Sera e de La Gazzetta dello Sport, realizzata attraverso un’offerta mista di contanti e azioni della propria società Cairo Communication S.p.a.
Al termine dell’OPAS Cairo controlla circa il 60% di RCS. Tra coloro che hanno aderito alla sua proposta ci sono sicuramente alcuni dei soci storici, ossia nomi celebri della finanza italiana che, evidentemente, non erano più così motivati a restare nel “salotto buono” di Via Solferino, dove, a ben vedere, hanno combinato assai poco, come dimostrano i pessimi bilanci recenti di RCS. Vedremo se Cairo saprà invertire la tendenza e riportare in acque migliori la storica casa editrice e rilanciare i due quotidiani. Mi auguro sinceramente che riesca, tuttavia non so se è la persona più adeguata per realizzare l’opera. Fatico a non restare perplesso quando sento parlare di sinergie tra l’editore di uno dei quotidiani più autorevoli del paese e quello di una nutrita schiera di fogli dedicati al pettegolezzo e simili (per farvene un’idea potete guardare qui: http://www.cairocommunication.it/Cairo-Editore/).
Non avrà, comunque, un compito facile: negli ultimi anni anche il Corriere e la Gazzetta, come tutti i principali quotidiani, hanno subito pesanti flessioni delle vendite cui non hanno corrisposto aumenti significativi degli abbonamenti alle edizioni digitali (con la parziale eccezione de Il Sole 24 Ore) e delle entrate pubblicitarie, che sono, al contrario, esse pure in calo.
A mio modesto avviso, della situazione difficile ha risentito, purtroppo, anche la qualità del Corriere, che leggo abitualmente da oltre quarant’anni (sic). I tempi sono ovviamente cambiati, ma il quotidiano milanese ha perduto la capacità di attrarre le voci migliori del paese. Non sono più gli anni in cui sulle sue pagine apparivano le firme di Montale, Buzzati, Moravia, Pasolini, Montanelli, Stille…
Certo, ci sono ancora personalità di spicco e di prestigio, ma accanto a loro, purtroppo, vi sono figure che suscitano perplessità se non vero e proprio fastidio.
Fatico a non sospettare che, proprio l’essere stato a lungo un presunto “salotto buono”, abbia finito per trasformare il Corriere in un giornale nel quale si poteva arrivare per merito e per capacità, ma anche per il sostegno di amicizie influenti.
Che l’aria non sia buona è dimostrato, come ho scritto a suo tempo, dalla vicenda (grottesca) della sostituzione di Ferruccio de Bortoli con Luciano Fontana. Da affezionato lettore, posso solo sperare che Cairo riesca, come promette, a rilanciare il Corriere e a riportarlo più vicino all’autorevolezza e al prestigio del passato di quanto sia oggi.
Dovrà dimostrare di saper distinguere e premiare chi sa davvero scrivere in italiano corretto e comprensibile, avendo assunto informazioni complete e verificato la loro attendibilità. Lo so, può sembrare banale, ma non è affatto così. Chi legge abitualmente i quotidiani, anche i migliori, scopre errori, imprecisioni, testi sgrammaticati, insomma, si trova di fronte a prove di come la qualità del lavoro giornalistico nel nostro paese stia scendendo sempre più in basso.
Probabile che questo sia frutto dell’organizzazione del lavoro, pesantemente influenzata dalla necessità di contenere i costi. Se ai giornalisti e ai redattori si chiede, in un dato tempo, di scrivere più testi di quanti sono effettivamente in grado di fare in modo corretto e informato, inevitabilmente si finisce per avere articoli scritti male, basati su dati insufficienti e non verificati adeguatamente e pubblicati senza neppure essere riletti.
Questo, però, non accade nei giornali inglesi e americani. Li frequento nelle edizioni on line e cartacee da anni e raramente ho trovato quello che mi trovo di fronte in quelli italiani. Non leggo a sufficienza la stampa in lingua francese e sono escluso per ignoranza da tutte quelle in lingue diverse, però sono portato a credere che in Francia o in Germania o in Svezia ancora si producano quotidiani e periodici di qualità mediamente superiore ai nostri.
Chiaro, non parlo di testate come The Sun o The New York Post… Anche altrove hanno senz’altro problemi, però la stampa autorevole è di livello mediamente superiore a quella italiana.
Il tema è caro a Luca Sofri, che oltre a un libro pubblicato lo scorso anno, ne parla nel suo blog su ilpost.it. Ecco, ad esempio, quello del 5 agosto: http://www.wittgenstein.it/2016/08/05/specchio-riflesso/.
Buona stampa.
Non ho citato i riferimenti editoriali del libro di Sofri perché li trovate in questo post di Roberto Plaja nel suo blog: http://www.theboxisthereforareason.com/2016/08/09/a-small-world/.
Se si perdono di vista i propri autentici obiettivi o se, comunque, si decide di privilegiare altro rispetto alla propria funzione, inevitabilmente, si fornisce un cattivo, se non pessimo, servizio. Che, tra l’altro, può anche costare caro all’editore. 
E a proposito di questo, chiudiamo con un sorriso e vediamo come Silvio Berlusconi, tra i tanti, abbia dovuto pagare anche agli avvocati difensori di alcuni giornalisti delle sue testate: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/berlusconi-condannato-spolpato-parcelle-ghedini-longo-era-meglio-58642.htm.
Ok, dagospia.com non è The Times o The Wall Street Journal, tuttavia in certe materie è bene informato e questo vecchio pezzo, tutto sommato, non è privo di una piacevole ironia. Adatto al clima ferragostano.

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