domenica 21 settembre 2014

Storia vecchia


Aldo Grasso, nella sua rubrica domenicale in prima pagina del Corriere, si occupa solitamente di personaggi che, per diverse ragioni, si meritano un ritratto ironico, a volte beffardo.
Oggi, nel parlare di Matteo Salvini, mi è parso voler aggiungere, alla consueta vena satirica, un tocco di sottile perfidia, perché nulla nuoce più della nomea di iettatore.
Buona stampa. Che Salvini meriti il ritratto, non c’è dubbio. Che porti iella, è possibile. Che per questo se ne vada o lo costringano ad andarsene, è improbabile. Che un eventuale sostituto sia meglio di lui, è impossibile. La qualità, nei partiti carismatici, se c’è, è quasi sempre limitata al leader, attorno c’è prevalentemente fuffa. La Lega era un partito carismatico: prima che la classe dirigente possa cambiare, devono trascorrere anni.
Quanto precede, purtroppo, non significa che i partiti non carismatici abbiano una classe dirigente superiore. Il PD, ad esempio, non apparteneva e non appartiene neppure oggi alla categoria, ma i suoi “uomini migliori” non sono esattamente tali. Lasciamo stare Renzi, almeno per il momento. Parliamo dello Stalinuccio di Gallipoli, D’Alema, e del suo fedele maggiordomo, Bersani. E ne parliamo a proposito della ferma opposizione che intendono portare avanti al progetto di rinnovamento del mercato del lavoro che Renzi ha deciso di chiamare (sic) Jobs Act, manco fosse alla Casa Bianca.
Bersani ha rilasciato un’intervista al Sole 24 Ore di oggi nella quale cerca di scappare da tutte le parti, incurante delle contraddizioni e dei paradossi di una posizione che è ormai indifendibile, se non considerando che una certa parte del PD si appiattisce sulla posizione della CGIL perché spera, così, di garantirsi, come accadeva in passato, una prevalenza all’interno del partito. Laddove si dimostra che chi, come Bersani, non riesce a liberarsi dagli schemi interpretativi appresi in gioventù e ormai superati, sceglie ricette inadatte sia per i problemi del Paese sia per tentare di riprendere il controllo del partito.
Buona stampa. Forquet è bravo e ci prova a trattenerlo, ma Bersani è peggio di un’anguilla…
E di memoria corta. Sono stati in tanti a comprendere che le rigidità della normativa sul lavoro avrebbero danneggiato le prospettive di sviluppo italiano. Persino D’Alema, nel 1999, quand’era Segretario dei DS, mise in evidenza la necessità di cambiare le cose, ma poi prese paura di Cofferati, come ricorda, sempre sul 24 Ore di oggi, Emilia Patta (il pezzo non è disponibile sul sito, dovete fidarvi di me).
Vi segnalo, sempre sul tema, l’editoriale di Folli, ancora dal 24 Ore di oggi: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-21/piu-malfa-che-thatcher-piano-renzi-081104.shtml?uuid=ABQN3lvB.
Buona stampa. Dove si trova conferma a quel che dicevo, ossia che la questione dell’articolo di 18 viene usata in modo strumentale. Forse anche da Renzi, ma soprattutto dai suoi oppositori interni al PD.
Gli artefici della conservazione sono numerosi e presenti in tutti gli schieramenti. E non intendono certamente arrendersi, anzi. I difensori di privilegi assurdi e intollerabili si annidano ovunque, operano subdolamente, gettano sabbia negli ingranaggi che, a stento, si cerca di far ripartire. Volete una prova? Leggete questo pezzo di Sergio Rizzo dal Corriere di ieri: http://www.corriere.it/politica/14_settembre_20/maxi-indennita-funzione-cosi-si-aggira-tetto-stipendi-36d4bc54-4095-11e4-ada3-3c552e18d4d4.shtml#.
Buona stampa. Una classe politica inetta si fa abbindolare da una burocrazia avida e sfrontata oltre ogni limite del lecito. E non mi consola che, a quanto pare, i francesi (Marine Le Pen permettendo) si potrebbero trovare a dover scegliere di nuovo tra Hollande e Sarkozy…
Un paio di ascolti musicali. Cominciamo da Mark Isham, trombettista e compositore americano (http://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Isham) di cui ascoltiamo In a Silent Way: Milestones, un brano piuttosto lungo dedicato a Miles Davis.


Passiamo al secondo pezzo, meno evanescente e, apparentemente, più tradizionale, in cui abbiamo modo di ascoltare una pianista e compositrice americana: Mary Louise Knutson (http://www.marylouiseknutson.com/biography.htm). Il brano s'intitola How will I Know? ed è una sua composizione che non ha nulla a che vedere con la canzone resa famosa da Whitney Houston. La Knutson è accompagnata da Gordon Johnson al basso e Phil Hey alla batteria.


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