lunedì 1 luglio 2013

Capitalismo di relazione


Nell’ultimo post, nel descrivere molto sommariamente le vicende di Cosecon-Attiva, alludevo alle distorsioni nel mercato italiano del credito, proprie di quel “capitalismo di relazione” che, purtroppo, è il paradigma cui s’ispira il nostro sistema finanziario.
Al “capitalismo di relazione” si devono vicende come quelle dei Ligresti (dei quali, mi perdonerete, non voglio più parlare: per quanto sorprendente, anch’io posso provare un po’ di pietà, per voi e per me, ben inteso) e quelle di Zaleski.
Ho citato soltanto due nomi, ma ce ne sono svariati altri. Cercate voi, non è che posso sempre fare io il lavoro sporco. Scherzi a parte, di Ligresti ho scritto molto, sul caso Zaleski vi suggerisco un pezzo de Il Fatto Quotidiano dello scorso febbraio (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/12/banche-pronte-a-dare-ancora-anno-di-tempo-al-debitore-vip-zaleski/497187/) e uno del Sole 24 Ore di qualche giorno fa (http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-27/nuovo-piano-banchezaleski-salvataggio-064600.shtml?uuid=Abj1ns8H&fromSearch), giusto per darvi un po’ il senso di come la situazione sia evoluta, in peggio, nei mesi scorsi, anche a causa della volatilità dei mercati azionari.
Sul “capitalismo di relazione” in generale potete leggere un articolo di Libertiamo del gennaio 2012 (http://www.libertiamo.it/2012/01/03/una-buona-giustizia-per-battere-il-cattivo-capitalismo-di-relazione/), da qui potete anche navigare per conto vostro.
L’argomento, in realtà è molto complesso e internet, nonostante offra molte risorse informative, non è sufficiente per affrontarlo in maniera adeguata. Non intendo banalizzare e, quindi, mi limito a darvi uno spunto di riflessione: è evidente che casi come quelli di Ligresti e di Zaleski sono esempi macroscopici, tuttavia, come prova la vicenda di Cosecon-Attiva, a quelli si aggiungono esempi meno eclatanti, ma probabilmente assai più numerosi, di destinazione inefficiente delle risorse del sistema bancario. Detto altrimenti e un po’ semplicisticamente: le banche concedono credito in maniera non ottimale, privandone aziende meritevoli e favorendo altre che meritevoli non sono affatto e questo accade per ragioni “di relazione”.
Ovvio che questo stato di cose accentua gli effetti della crisi attuale. Come se non bastasse, non è certo il terreno migliore perché si sviluppi un sistema economico sano, limpidamente competitivo, che premia merito e capacità. Al contrario, all’ombra dei cespugli spinosi del "capitalismo di relazione", sono nati e cresciuti innumerevoli comportamenti variamente scorretti o addirittura forme di corruzione.
Per fortuna, accanto a situazioni che sembrano confermare le cattive abitudini, ce ne sono altre, dalle quali sarei portato a guardare con un po’ di ottimismo al futuro del nostro sistema finanziario e industriale. Quello che sta accadendo sull’asse Milano-Trieste, che non è, in questo caso, quello dell’autostrada A4, ma quello che congiunge Mediobanca alle Assicurazioni Generali, sembra dimostrare la volontà dei manager della banca d’affari e della compagnia assicurativa di incidere su molti dei legami che le hanno contraddistinte in passato e che hanno favorito tante decisioni non "opportune" per le società e per i soci. E’ un segnale che mi pare importante; non vorrei sopravvalutarlo, ma vedere qualcosa che sembra un fiore in mezzo al fango fa accendere un barlume di ottimismo anche in me.
Intendiamoci, anche nell’armadio di Alberto Nagel ci sono scheletri (in primis nel caso Ligresti). E anche Mario Greco avrà degli amici cui deve riconoscenza. Eppure credo sia giusto vedere nelle loro decisioni più recenti la volontà di cambiare, magari a fatica e lentamente, ma cambiare.
Che sia necessaria una revisione seria del nostro sistema finanziario, oltre alle storie dei Ligresti e degli Zaleski, lo dimostra anche questa: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-06-29/faro-consob-segreti-onda-084109.shtml?uuid=Ab3w2e9H&fromSearch.
Buona stampa. L’articolo di Claudio Gatti mostra quanti pessimi frutti generi la cattiva pianta del “capitalismo di relazione”.

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