domenica 16 giugno 2013

Decreto del fare?


Buona stampa. E’ la dimostrazione, ancora una volta, di come un uomo intelligente non abbia bisogno di tante parole per spiegare il proprio pensiero. E di come anche gli umani diversamente intelligenti (avete capito perfettamente cosa intendo dire) abbiano bisogno di poche parole per rivelarsi tali.
E veniamo al governo guidato da Enrico Letta, il quale continua a mostrarsi, come tanti politici italiani e non, incapace di rinunciare a Twitter e alla comunicazione in generale. Viene quasi da ridere nel constatare che, dopo aver cinguettato per oltre un mese e mezzo, si sia finalmente deciso a varare il cosiddetto “decreto del fare” il quale, a prima vista, non sembrerebbe fare poi così tanto, salvo forse nel campo delle cause civili.
Letta & Co. hanno scalciato dal loro cammino qualche sassolino, ma i macigni restano lì, ben difficili da spingere sul ciglio della strada o perché cementati da assurde promesse elettorali o perché imbullonati da storiche alleanze per la conservazione. Ok, questo è cerchiobottismo allo stato puro, me lo dico da solo, tuttavia non c’è dubbio che, da un lato, il tizio decrepito ha fatto delle promesse (prevalentemente disattese) il tratto principale della sua esperienza politica e che, dall’altro, Pd e CGIL da tempo immemorabile si sostengano l’un l’altra e che questa storica alleanza sia sostanzialmente “conservatrice”, ossia per nulla incline a incidere su materie quali, per esempio, mercato del lavoro e funzionamento della pubblica amministrazione, ambiti in cui, al contrario, è indispensabile intervenire e con determinazione.
Il “decreto del fare”, in sostanza, mi sembra soprattutto “fare” piacere al tizio decrepito e a Epifani, che, infatti, ne parlano gran bene, probabilmente perché non tocca nessuno dei loro interessi e neppure quelli delle loro “aree d’influenza”.
E guarda caso non piace a molti commentatori, soprattutto quelli che insistono sulla necessità di agire rapidamente per alleggerire il carico fiscale sul lavoro e semplificare effettivamente la vita delle imprese e dei cittadini, sfoltendo la barbarie degli innumerevoli assurdi adempimenti, molto spesso anche vessatori, loro imposti da una burocrazia il cui unico scopo è giustificare la propria esistenza e procurarsi retribuzioni che non hanno eguali in nessun paese civile.
Il “decreto del fare” è il tema del giorno, perciò non dovete far altro che andare a cercare articoli nei siti dei quotidiani. Tra quelli che ho letto, mi è piaciuto quello di Dario Di Vico sul Corriere (al momento non disponibile on line): condivido l’opinione che queste misure sono prevalentemente provvedimenti di modesto spessore, interventi fatti con il cacciavite, insomma nient'altro che aggiustatine...
Non vi ho dato collegamenti ai commenti sulle misure varate dal governo, ma vi propongo, a proposito di retribuzioni pubbliche, alcuni pezzi niente male, giusto per non dimenticare di cosa stiamo parlando. Sono articoli anche datati, ma non per questo privi d’interesse, al contrario: http://www.lettera43.it/economia/macro/41011/manganelli-stipendio-da-re.htm,
Buona stampa. Sbaglio o c’è qualcosa che non quadra nel rapporto tra lo stipendio del Presidente degli Stati Uniti (400.000,00 dollari, ossia euro 300.684,05) e quello del Capo della Polizia di Stato italiana (ossia oltre 621.000,00 euro)? E tra quello del capo dello staff della Casa Bianca (172.000,00 dollari, ossia 129,294.14 euro) e quello del Segretario Generale della Camera dei Deputati (oltre 406.000,00 euro)?
Non sbaglio, non quadra nulla nelle retribuzioni dei membri della pubblica amministrazione italiana e sarebbe il caso di metter mano alla questione con il decespugliatore, non con le cesoie, e cancellando dal dizionario quella locuzione intollerabile, diritto acquisito, che fa parte a pieno titolo delle assurdità semantiche con le quali politici, sindacalisti e burocrati hanno nel tempo legittimato la spoliazione della collettività, i benefici immeritati e spropositati di pochi a fronte dei sacrifici sempre più dolorosi dei molti.
Meglio finirla qui e, prima di passare alla musica, dedicare due righe all’amico del tizio decrepito, il quale ha fatto ordine a Istambul, con metodi non troppo diversi da quelli impiegati da coloro i quali, spudoratamente, ha criticato e continua a criticare. Non sarà certo Assad, ma sembra sempre più simile a un generale egiziano, solo un po’ più integralista. Lasciamo perdere…
Ketil Bjørnstad è un pianista norvegese di cui vi ho già parlato in occasione di un post in cui ho proposto ascolti dalla terra di confine tra classica e jazz. Oggi ve lo ripropongo in una versione strettamente jazz (anche se il jazz dei musicisti scandinavi si può quasi considerare un genere a sé stante). Il pezzo, Remembrance 3, è tratto dall’album Remembrance, pubblicato da ECM nel 2009. Accanto a Bjørnstad ci sono il sassofonista Tore Brunborg e il batterista Jon Christensen, anche loro norvegesi.


Chiudiamo con un altro ascolto di jazz. Anche Charlie Haden è già stato “ospite” del mio secchiello d’acqua. In realtà è uno dei musicisti che ha trovato più spazio nel blog, come conseguenza del fatto che occupa un ampio spazio anche nella mia personale classifica…
Land of The Sun è un album del 2004, vincitore di un Grammy Award nel 2005 per il jazz latino. E, in effetti, si tratta di un disco in cui Haden si è circondato di musicisti di tradizione cubana o latinoamericana (tra tutti cito soltanto il pianista Gonzalo Rubalcaba). Ho scelto il quarto brano, Solamente una Vez, ovviamente perché è uno dei miei preferiti, ma sono sicuro che piacerà anche a voi tre.


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