Prendiamo le mosse da un articolo di Mario Deaglio su La
Stampa di oggi: http://www.lastampa.it/2013/08/11/cultura/opinioni/editoriali/dalla-crisi-un-paese-diverso-Pq3fSwYFfVOcqaVdUXDg5K/pagina.html.
Buona stampa. Anche se faccio fatica a immaginare che le sue
esortazioni trovino orecchie pronte ad ascoltare e menti pronte a porle in
essere. Ammesso e non concesso che ci sia una ripresa (e Deaglio spiega bene
che cosa, tecnicamente, si può considerare una ripresa), con la classe
dirigente che ci ritroviamo si fatica a non temere il peggio, ossia che si
faccia l’esatto contrario di ciò che andrebbe fatto: approfittare
dell’inversione del ciclo economico per porre in essere le riforme di cui
abbiamo grande bisogno da tempo e che, essendo mancate, hanno esasperato le
conseguenze della crisi sul nostro tessuto economico e sociale.
La stessa sorte, ossia quella di restare inascoltate, temo
subiranno le considerazioni svolte da Gian Antonio Stella in un articolo
apparso ieri sul Corriere della Sera: http://archiviostorico.corriere.it/2013/agosto/10/Ridiscutiamo_Diritti_tra_Generazioni_solidarieta_co_0_20130810_39d1f838-017e-11e3-ae0c-005a4b618eb7.shtml.
Buona stampa. Stella mette il dito nella piaga dei “diritti
acquisiti”, la foglia di fico dietro la quale si nascondono coloro i quali non
intendono metter mano ad alcuni dei cambiamenti indispensabili per risanare in
profondità il nostro paese.
Aggiungerei un altro formidabile diritto acquisito, oltre a
quello all’uguaglianza richiamato, correttamente, da Stella. Esiste anche il
diritto acquisito ad avere uno Stato che non impone ai cittadini quello che
evita alle proprie emanazioni, siano esse organi elettivi o pubblici
dipendenti. In altre parole, è ora di spazzare via sul serio tutta l’orgia di
privilegi con cui s’ingozzano parlamentari, consiglieri regionali, capi della
polizia, generali, manager di aziende pubbliche, consiglieri di stato, dirigenti
di ministeri, ecc.
E per cortesia non si dica che chiedere questo è
qualunquismo. E’ semplice buonsenso. Oltre a non poterci permettere di pagare
pensioni spropositate (quella da 90.000 euro/mese è solo la punta dell’iceberg
e, per certi aspetti, meno scandalosa di altre), non ci possiamo permettere
neppure di retribuire funzionari pubblici più di quanto sono retribuiti capi di
stato e di governo di paesi ben più ricchi del nostro. E non parliamo dei
confronti diretti a parità d’incarico. Provate, ad esempio, a comparare gli
stipendi dei nostri alti ufficiali con quelli degli omologhi americani. La paga
base del Generale Odierno, attuale capo di stato maggiore dell’esercito americano
è di 232.000 dollari l’anno (http://en.wikipedia.org/wiki/Chief_of_Staff_of_the_United_States_Army),
ossia, al cambio attuale, poco meno di 178.000 euro, che sarebbe come dire
parecchio meno della metà di quanto percepiva sino allo scorso anno il suo
omologo italiano (http://italia.panorama.it/Scure-sulle-retribuzioni-dei-manager-pubblici-piu-pagati-LA-LISTA).
Poi è venuto il decreto Salva Italia del Governo Monti che intendeva porre un
tetto alle retribuzioni pubbliche. Il taglio ha interessato soltanto alcuni dei
destinatari del provvedimento, altri, come confermano le cronache degli ultimi
giorni, non hanno perso neppure un centesimo. E, in ogni caso, non è che il tetto
di 290.000 euro mi sembri adeguato, visto che, per esempio, tornando al capo di
stato maggiore dell’esercito, quello italiano può, comunque, vantare oltre
centomila euro di vantaggio sull’omologo americano, il cui compito, credo,
comporta responsabilità, valutate in numeri, ben diverse (parliamo di numero
dei soldati comandati, degli armamenti e delle apparecchiature amministrati e,
infine, dei fondi da gestire).
No, non ci siamo proprio. Anche perché è la logica sostanziale
che è assurda: gli stipendi pubblici, compresi quelli di parlamentari e
consiglieri regionali, è parametrata a quella dei magistrati. Certo, qualche
ritocchino l’hanno fatto e, forse, lo faranno anche in futuro, ma c’è bisogno
di ben altro: bisogna uscire da questo meccanismo perverso in cui politici e
burocrati sono alleati nel garantirsi gli uni agli altri le retribuzioni che
vogliono. Un meccanismo perverso che è peggiorato con il deterioramento della
classe politica: tanto maggiore l’incompetenza degli uomini e delle donne ministri
o sottosegretari, tanto maggiore il potere che i funzionari pubblici possono
esercitare nei loro confronti, incluso quello di pretendere stipendi sempre più
alti cui i politici non sono in grado di opporsi perché non sanno neppure da
che parte si comincia ad amministrare la cosa pubblica e a controllare
l’operato dei burocrati, come dovrebbero fare ministri o sottosegretari.
Difficile, molto difficile che si riesca a venirne fuori.
Anche perché, quando su questi temi sono chiamati a pronunciarsi i giudici
della Cassazione o della Corte Costituzionale, possiamo star sicuri che fanno
tutto fuorché inimicarsi i colleghi dipendenti pubblici.
Prima di passare oltre, una precisazione: quando critico gli
stipendi dei dipendenti pubblici, non includo quelli di professori, poliziotti,
carabinieri e impiegati comunali. Non è lì che si genera lo spreco. Anzi. Lì si
tolgono risorse per pagare gli stipendi faraonici dei piani alti. E si abbassa
la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Credo di essere stato chiaro.
Di che cosa parliamo adesso? Di musica, ovviamente, perché
di politica ne abbiamo abbastanza tutti e quattro.
E faccio ammenda, perché in quasi due anni di vita del blog,
mi rendo conto di aver molto trascurato i musicisti italiani, che pure non
hanno nulla da invidiare a nessuno, in nessun genere.
Cominciamo con un ascolto che mette insieme due mondi.
Enrico Rava, straordinario trombettista jazz, uno dei più apprezzati a livello
mondiale, ha spesso percorso sentieri inconsueti e innovativi. E’ stato tra i
primi a rivisitare le arie d’opera, per esempio. O alcune delle più belle
canzoni dei nostri cantautori, come Lucio Battisti. Ecco, dunque, E penso a te, tratto dal CD What a Day, poco conosciuto e poco reperibile.
Molto bello il contributo alla chitarra di Riccardo Bianchi.
E, già che ci siamo, proseguiamo senza allontanarci troppo,
anzi. Ecco un altro eccellente trombettista italiano, Paolo Fresu, alle prese
con uno dei brani più famosi di Mia Martini, Almeno tu nell’universo, tratto dall’album Rosso, Verde, Giallo e Blu.
Infine, visto che magari per Ferragosto me ne vado a spasso,
spariamo un altro fuoco d’artificio: Dulce Pontes che canta Ennio Morricone. Il
brano è Your Love, dalla colonna
sonora del meraviglioso C’era una volta
in America di Sergio Leone.
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