sabato 7 giugno 2014

Serve un tantō?


Se Venezia si trovasse in Svezia o in Giappone, in Australia o in Canada, le persone chiamate a occuparsi della salvaguardia di una città straordinaria, unica al mondo, un vero patrimonio dell’umanità, avrebbero inteso il loro compito in maniera assai diversa da quella che, purtroppo, ha caratterizzato politici e tecnici protagonisti dell’inchiesta dei magistrati veneziani.
In un altro paese, l’onore di partecipare a una storica impresa avrebbe fatto da baluardo a qualsiasi velleità di allontanarsi dallo scopo e di compiere anche la più blanda forma di illegalità. E se qualcuno lo avesse fatto, sarebbe stato inesorabilmente espulso dagli altri artefici dell’opera.
Purtroppo Venezia si trova in Italia e paga a questa sventurata condizione il declino che subisce da anni e che le barriere mobili del MOSE non potranno arrestare così come, secondo opinioni assai autorevoli, non arresteranno l’acqua alta.
Una breve, ma interessante storia di quello che resta un progetto controverso (oltre che, secondo l’inchiesta, meccanismo per la distribuzione illegale di un’enorme quantità di denaro pubblico) la trovate in un breve articolo della Nuova Venezia, che ha sentito Massimo Cacciari, uno che la vicenda l’ha vissuta a lungo come sindaco della città: http://nuovavenezia.gelocal.it/cronaca/2014/06/06/news/cacciari-sul-mose-quando-prodi-non-volle-neanche-ricevermi-1.9371891?fsp=2.2568.
Buona stampa. Non sarò simpatico, ma Cacciari è uno che le cose le sa e le sa spiegare bene.
Sul piano tecnico, io sarò sorprendentemente saggio ed eviterò di esprimere un’opinione e di dare una valutazione del progetto, entrambe fuori dalla mia portata. In rete ci sono tanti documenti sulla questione, cercate e troverete…
Io vorrei tornare all’inchiesta. L’edizione on line del Corriere, già ieri sera, riportava una nota emessa da Giancarlo Galan. Si, sempre quel Giancarlo Galan che, per farsi fare la barba a Montecitorio, si faceva passare per Giustina Destro (la somiglianza, com’è evidente in questa foto di Dagospia, è davvero incredibile: http://www.dagospia.com/img/foto/12-2009/43467.jpg).
Ecco il link alla pagina del Corriere in cui trovate le parole  di Galan o di chi per lui: http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_06/galan-non-mi-lascero-distruggere-misfatti-altri-8fcb157a-ed97-11e3-8271-5284bdbf132d.shtml.
Forma e contenuto sono abbastanza discutibili.
Vediamo un primo passaggio: «Il processo mediatico è mostruoso. Leggo profili della mia persona che stento a credere anche solo immaginabili. Non poter rispondere o difendermi sin da subito è umanamente molto difficile». Guarda un po’, anche Galan si lamenta dei mezzi di comunicazione quando si occupano delle sue presunte malefatte, mentre non se ne lamentava affatto quando, fino all’altro giorno, era ansioso di far giungere al pubblico la sua opinione o di farsi immortalare mentre inaugurava questo o quello o partecipava alla Prima della Scala o altri esclusivi avvenimenti.
Non esiste un processo mediatico, esiste l’informazione, compito fondamentale di uno dei baluardi della democrazia: la Stampa. Galan dovrebbe rinfrescarsi le idee. Non sarà facile, però. Non si può non diffidare di qualcuno che scrive una frase come questa: profili della mia persona che stento anche a credere solo immaginabili…
Non è male neppure questa: «Sono pronto a dimostrare che stanno tentando di scaricare su di me nefandezze altrui». Cosa vorrebbe dire? Che i presunti datori di mazzette dicono di aver dato a lui somme in realtà finite ad altri? Che i magistrati farneticano quando sostengono che la ristrutturazione della sua villa è stata pagata da altri? Se è così, non deve diffondere note, ma soltanto copie di estratti conto bancari e di contabili di bonifici e della dichiarazione dei redditi, nella quale, come qualsiasi normale cittadino, avrà portato in detrazione le spese sostenute per la ristrutturazione stessa, come consentito dalla legge. Questo farebbe chiunque, in un altro paese, si trovasse al posto suo e fosse, come lui sostiene, innocente ed estraneo a tutto ciò di cui è accusato. E chiunque si trovasse nella sua situazione in un altro paese, si guarderebbe bene dal prendersela con la stampa, che, per fortuna, cerca di adempiere al proprio compito e di informare l’opinione pubblica.
Come ha fatto Il Mattino di Padova andando a riprendere una notizia del 2012: http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2014/06/05/news/quando-galan-diceva-mi-pesa-stare-senza-stipendio-1.9365228.
Buona stampa.
Per non farvi restare senza bile, anzi procurarvene dosi micidiali, riporto per esteso alcune delle parole agghiaccianti di Galan, fulgido esempio di politico italiano (che non è esattamente una categoria prestigiosa, come voi tre ben sapete): «Pesa non avere entrate, uno stipendio, pesa moralmente e psicologicamente, Io credo di poter sopportare questa situazione per un po’ di mesi ma poi la situazione deve cambiare, Spero che si facciano le elezioni prima o poi in questo Paese per tornare a fare il politico».
Non viene neppure sfiorato dal dubbio di tornare a fare il mestiere che faceva prima… quello stesso mestiere al quale la moglie, parlando con i giornalisti due giorni fa, sostiene lui abbia rinunciato per il bene del paese, per realizzare tutte le cose meravigliose che avrebbe (lo sostiene sempre la moglie) fatto per i veneti e gli italiani. Forse farebbero meglio a mettersi d’accordo...
Chiudiamo con una nota di pettegolezzo… O forse è un’osservazione per niente secondaria… I testimoni di nozze di Galan sono stati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Se ricordo bene si tratta di due pregiudicati.
Proviamo a risollevarci con la musica.
Vi propongo un brano il cui titolo non è scelto a caso, tutt’altro. Un augurio indispensabile per il nostro paese è che arrivino giorni migliori. Il pezzo s’intitola, per l’appunto, Better Days e lo interpreta Sofia Pettersson (http://www.sofiapettersson.com/site/index.html).


P.S. Il tantō (http://it.wikipedia.org/wiki/Tant%C5%8D) o la spada wakizashi (http://it.wikipedia.org/wiki/Wakizashi) erano le armi usate dai samurai per il harakiri.

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