domenica 29 dicembre 2013

Ritornando sulla strada per Siena


Ieri a Siena si è svolta l’Assemblea Straordinaria di Banca Montepaschi S.p.a., terzo gruppo bancario italiano, da tempo in grave difficoltà. Si può sostanzialmente sostenere che è sotto il controllo dello stato e dell’Unione Europea, nel senso che il primo è il principale creditore, attraverso i cosiddetti Monti Bond, e la seconda vigila sul tentativo di risanamento per assicurarsi che avvenga con modalità rispettose della normativa comunitaria in materia di concorrenza e aiuti statali.
L’assemblea di ieri avrebbe dovuto deliberare un aumento di capitale per 3 miliardi da effettuarsi entro il prossimo gennaio. L’aumento di capitale è stato rinviato al mese di maggio 2014, così come pretendeva la Fondazione Montepaschi, ossia l’ente guidato da Antonella Mansi, espressione della politica locale, in particolare Comune e Provincia di Siena.
Per capire le ragioni dei dirigenti della Banca e quelli dei responsabili della Fondazione non dovete far altro che sfogliare i quotidiani di oggi o navigare tra i vari siti, gli articoli non mancano certamente.
Io, che qualcosa ho già letto oggi e qualcosa avevo letto nei mesi e giorni passati, penso che questa vicenda ci faccia guadagnare altri punti nella classifica del ridicolo internazionale, dove, peraltro, primeggiamo alla grande e senza fatica.
La Signora Mansi, Presidente della Fondazione Montepaschi, ha ragione quando sostiene che l’aumento di capitale effettuato in gennaio, riducendo di molto il peso percentuale della partecipazione della Fondazione stessa nella banca, priverebbe la partecipazione di gran parte del suo valore, quel valore che la Mansi spera di recuperare per tappare i buchi nel bilancio dell’ente (sono certo che voi tre sapete benissimo come si sono creati).
Quello che, tuttavia, la Signora Mansi dimentica è che lei è stata indicata per la presidenza della Fondazione dopo mesi di patetici tiramolla tra correnti del PD senese e toscano, esattamente come i suoi colleghi membri dell’organo di controllo (che, noblesse oblige, si chiama Deputazione Generale, mica Consiglio di Amministrazione: stiamo parlando di gente che si sbrodola addosso dal 1472, mica da ieri).
Pretendere altro tempo, dopo tutto quello che è già andato sprecato in mesi di patetiche schermaglie tra gerarchetti locali mi sembra davvero troppo, soprattutto se si considerano le conseguenze che potranno derivare alla banca da questo ritardo nella ricapitalizzazione.
Il rinvio costa svariate decine di milioni di euro di interessi per il mancato rimborso dei Monti Bond, ossia comporta un appesantimento del conto economico. Questo, però, potrebbe anche non essere l’unico risultato negativo: le banche, soprattutto negli ultimi anni, dipendono sempre più dai capitali che reperiscono sui mercati finanziari e possono contare sempre meno sul denaro raccolto presso i risparmiatori. Il mancato aumento di capitale potrebbe comportare (evito di scrivere comporterà, ma non sbaglierei se lo facessi) un incremento dei costi ulteriore (perché prestatori riluttanti pretendono maggiori interessi), con ovvie conseguenze sulla redditività di Banca Mps. Mi trattengo dal considerare quello che potranno pensare i risparmiatori che, nonostante tutto, hanno deciso finora di mantenere i propri depositi presso la banca senese. Osservo che la Signora Mansi non è sembrata preoccuparsi troppo della loro opinione, concentrandosi assai di più sulle esigenze di quel sistema di potere costruito nel tempo tra Fondazione, Banca ed enti locali. Un sistema di potere che, guarda un po’, è quello che ha portato Mussari alla guida di MPS e Mancini alla guida della Fondazione, con quei bei risultati che sappiamo.
Se tutto questo non è ridicolo, che cosè? Io penso (e scrivo) che è peggio che ridicolo: è assurdo e moralmente inaccettabile e illustra anche troppo bene quanto poco abbiano capito i politici italiani, specie quelli attivi a livello locale.
Bisogna dire che il Ministro del Tesoro e la Banca d’Italia non si sono fatti sentire molto nella vicenda di ieri, almeno per ora. Io, che in certe materie mi ispiro sempre al pensiero di Andreotti, penso che Saccomanni e Palazzo Koch abbiano la coda di paglia. Tanto per capirci, quando Banca MPS ha messo in atto la folle acquisizione di Antonveneta, l’operazione che è la madre di tutti i suoi problemi, l’attuale Ministro del Tesoro era Direttore Generale della Banca d’Italia, ossia l’ente di controllo che non ha saputo vedere quello che accadeva realmente a Siena.
Finiamola qui, perché ho già detto abbastanza. E mi stanno già prudendo anche troppo le mani.
Torniamo a It Never Entered my Mind, che è di gran lunga più gratificante delle squallide vicende italiane.
Riprendiamo il cammino dal 1957, con la versione del mitico quintetto di Miles Davis, in cui il trombettista è affiancato da John Coltrane, Red Garland, “Philly” Joe Jones e Paul Chambers.


La versione successiva è quella di un altro trombettista a me particolarmente caro, tanto da essere, forse, uno dei musicisti più citati ne ilmiosecchiellodacqua, Chet Baker. La sua interpretazione è tratta da Chet, uno dei suoi album più celebri (http://en.wikipedia.org/wiki/Chet_%28Chet_Baker_album%29).


Chiudiamo con Frank Sinatra, dall’album Put Your Dreams Away del 1958.



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