mercoledì 10 febbraio 2016

Ancora su borse, banche e dintorni

Per provare a capire quello che accade, anche oggi, nelle borse di quasi tutto il mondo è il caso di tornare a un articolo di Morya Longo pubblicato ieri da Il Sole 24 Ore. Il testo non è disponibile sul sito del quotidiano, ma lo potete leggere su pressreader.com: http://pressreader.com/bookmark/VADsxG-sQtbdgUzfSjNgGEegQhIjYvV53Yxu2wuZstc1/.
Buona stampa. Lo spazio, tra l’altro anche ristretto, di un editoriale non è certo sufficiente per illustrare dettagliatamente una situazione complicata e in evoluzione come quella che caratterizza l’avvio di quest’anno. Longo, tuttavia, pone in evidenza alcuni dei fattori che, sicuramente, sono all’origine del brusco calo degli indici mondiali. E non si può non condividere senza riserve l’opinione che la responsabilità di quanto accade va attribuita in larga parte alla politica, le cui carenze si stanno rivelando sempre più gravi un po’ ovunque nel mondo. L’incapacità di affrontare e risolvere i problemi di natura economica, ma non solo quelli, alimenta l’incertezza che, come ho già scritto, fornisce armi agli operatori che, legittimamente, cercano di approfittare di condizioni dalle quali si possono trarre importanti guadagni.
Pur non appartenendo alla schiera di coloro che vedono nei mercati finanziari dei mostri avidi di sangue, riconosco facilmente che, nonostante le promesse, ben poco è stato fatto dopo il 2008 per spuntare le armi che vengono impiegate in maniera più spregiudicata e al di fuori dei controlli delle autorità di vigilanza.
Un esempio è la cosiddetta “finanza ombra”, della quale mi sono occupato altre volte, tutt’ora attiva, anche se non è necessariamente responsabile di quello che accade e potrebbe, in determinate circostanze, anche svolgere un ruolo positivo.
La realtà è diversa da come, alla luce di quel che resta delle ideologie, alcuni cercano di dipingerla. La maggior parte delle vittime  degli attuali andamenti dei mercati difficilmente sono piccoli risparmiatori italiani, molti dei quali, probabilmente, non si sono mai azzardati a investire in qualcosa di più rischioso di un BOT trimestrale.
Nulla vieta (anzi è probabile che sia accaduto) che in queste settimane le perdite abbiano colpito anche grandi investitori, molti dei quali tuttora “sono positivi” e hanno continuato a comperare titoli delle più varie tipologie. In ogni mercato c’è sempre qualcuno che perde a fronte di qualcuno che guadagna. Non è detto che tra chi sta guadagnando in questo periodo ci siano soltanto gli avidi abitanti dello zoo di Wall Street (locuste, sanguisughe e via dicendo). Così come è possibile che alcuni degli avidi animali in questione stiano leccandosi le ferite.
Buona stampa. Dovrebbe essere evidente che non si può semplificare in questa materia e che, come in tutte le cose, i pregiudizi vanno lasciati fuori dalla porta e non fatti rientrare dalla finestra.
E ancora, a riprova del fatto che non è detto che i “cattivi” stiano brindando con costoso champagne, vediamo un articolo di Andrea Franceschi sempre dal 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-02-09/chi-vende-forte-mercati-tre-indizi-che-inchiodano-fondi-sovrani-092130.shtml?uuid=ACFAuWQC.
Buona stampa. Che non deve indurci a fregarci le mani per la soddisfazione che i sauditi si siano dati una pesante zappa sui piedi. Non abbiamo nulla di cui gioire per il fatto che il formidabile calo del prezzo del petrolio stia mettendo in difficoltà molti paesi produttori. Situazioni come quelle che si vanno delineando in alcune di queste nazioni non sono affatto rassicuranti e non si deve mai dimenticare che le tensioni interne, quando sono prive di valvole di sfogo adeguate, spesso vengono trasferite all’esterno. 
Per restare ancora qualche istante sull’andamento odierno delle borse, non mi azzardo a fare previsioni, ma mi spingo, però, a dire che il marcato rialzo italiano e quelli più moderati di altri paesi si spiegano soprattutto con ragioni tecniche. Tutte le cause fondamentali del cattivo andamento dei mercati sono ancora tutte lì, solide come rocce che nessuno ha intenzione di scalfire, soprattutto perché non ci sono leader politici in grado di farlo.
Torniamo adesso alla questione delle banche. Lo faccio, in primo luogo, per prevenire una possibile osservazione su quanto ho scritto nel penultimo post, in parte legittima: il calo dei corsi azionari non è stato solo un fatto italiano. Non ho mai sostenuto il contrario, ma meglio evitare fraintendimenti e mettere in chiaro che le azioni di aziende di credito degli altri paesi europei hanno subito esse pure pesanti flessioni. Vediamo qualche numero.


Non c’è dubbio che anche altrove le vendite abbiano interessato pesantemente il settore bancario e causato riduzioni dei corsi anche maggiori di quelle subite dalle banche italiane. Così come non mi sento di escludere che anche altrove, nell’eurozona, ci siano bachi nei bilanci delle banche.
E, in ogni caso, l’introduzione della normativa che prevede il cosiddetto bail in non crea difficoltà soltanto dalle nostre parti. Questo articolo del Financial Times di ieri spiega che i problemi non li abbiamo soltanto noi: https://next.ft.com/content/d2e01b1e-cf57-11e5-92a1-c5e23ef99c77.
Buona stampa. I problemi ci sono ovunque, ma diversamente da quello che accade da noi, si cerca di affrontarli il più rapidamente possibile. Già dal 2008, mentre a Roma tutti quelli che contavano ripetevano che tutto andava bene e che le nostre banche non avevano problemi, gli spagnoli, gli inglesi, gli irlandesi e i tedeschi i problemi hanno deciso di non nasconderli e di risolverli, anche a caro prezzo, sacrificando in qualche caso una parte della propria sovranità.
Mentre altrove i governi e le banche centrali agivano con determinazione e con rapidità per affrontare le situazioni di crisi (per esempio arrivando nel Regno Unito a nazionalizzare banche come Royal Bank of Scotland e Lloyds) da noi si vantava la presunta solidità del sistema e si inventavano i Tremonti Bonds, poi ridotti a Monti Bonds, soluzione della quale si sono servite, tra l’altro per periodi anche brevi, ben poche banche (solo Banca MPS è stata costretta a trasformare le obbligazioni in azioni).
Mentre altrove governi e autorità si preoccupavano di eliminare le cause di debolezza del sistema, arrivando a iniettare ingenti risorse nelle aziende di credito più compromesse, da noi si girava la testa dall’altra parte lasciando che ferite magari piccole degenerassero fino a incancrenire.
Tanto per parlare chiaro: tutte le aziende di credito di cui oggi chiunque vede le difficoltà e le condizioni critiche (di entità, natura e tipologia diverse) presentavano quelle difficoltà e quelle condizioni critiche già da almeno quattro o cinque anni, però non si è fatto nulla. O si è fatto molto meno di quanto era necessario per impedire che le difficoltà comportassero la distruzione di ricchezza prodotta, in vario modo, da quei casi. Governo e autorità di controllo hanno ignorato la cosa e preferito non interferire in realtà malate, ma al centro di quel consolidato sistema di relazioni spesso torbide che lega politica e imprese, soprattutto bancarie. 
Prima della musica, due rapide osservazioni sul debito pubblico. Cominciamo da un raffronto tra il nostro paese e gli altri principali membri dell’eurozona pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/02/10/debito-pubblico-in-europa-italia-al-13320-del-pil-peggiore-la-francia-con-14938/. Non si vedono segni di reale capacità di ridurre lo stock del nostro debito pubblico.
E guardiamo un grafico sull’andamento del differenziale dei tassi tra Btp e Bund negli ultimi tre mesi dal sito de Il Sole 24 Ore.


Opportuno non dimenticare che ogni aumento del differenziale comporta un pesante aggravio del costo del debito pubblico e tutto quel che ne deriva. Con buona pace degli amanti del cinguettio. 
Oggi contro i nemici delle cultura e della musica vi propongo per primo un brano nel quale confluiscono esperienze profondamente diverse come quelle di un polistrumentista tedesco, Sven Kacirek, e di alcuni musicisti giapponesi, tra cui Mr. Tonohara. Forse non è banale ricordare che la cultura unisce e arricchisce e rende migliori. Il titolo è Work Song.


Poi ascoltiamo un brano di Sven Kacirek da solo: Turned Into What You Listen To.


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