domenica 7 febbraio 2016

Chi paga il conto?

Il governo avrebbe dovuto approvare venerdì le disposizioni relative alla cosiddetta bad bank destinata a favorire la cessione, da parte delle banche italiane, del loro pesante fardello di crediti deteriorati. La discussione del provvedimento è stata, però, rinviata. 

Questa è l’ennesima dimostrazione di quanto poco abbiano capito della questione Renzi (e ciò non mi sorprende affatto) e Padoan (e ciò mi sorprende abbastanza, ma meno di quanto mi avrebbe sorpreso qualche mese fa). E anche di quanto poco efficace sia il provvedimento in questione, come spiega questo articolo di Angelo Baglioni pubblicato qualche giorno fa dal sito LaVoce.info: http://www.lavoce.info/archives/39492/bad-bank-un-accordo-per-salvare-la-faccia/.
Buona stampa. Anche se Baglioni non approfondisce due conseguenze della scarsa o nulla efficacia della misura che, dopo troppo tempo, il governo arriverà forse ad adottare: l’andamento del corso delle azioni delle banche e gli effetti che ne derivano sulle possibili (e auspicate dal governo) operazioni di consolidamento del sistema.
Ci concentriamo sul primo aspetto. Non si può, ovviamente, stabilire una rigida correlazione diretta tra l’andamento delle quotazioni dei titoli bancari e il travagliato e ancora non concluso percorso per arrivare alla realizzazione della bad bank. E’, tuttavia, plausibile ritenere che da esso dipenda gran parte della flessione subita dalle azioni delle banche italiane negli ultimi tempi.
Guardiamo un po’ di dati e di grafici messi a disposizione dal sito di Borsa Italiana. Come ho già detto, la capitalizzazione delle banche ha un’elevata incidenza sull’intera capitalizzazione del mercato borsistico italiano (al 31.12.2015 risultava pari al 21,6%, come riportato da questa tabella: http://www.borsaitaliana.it/borsaitaliana/statistiche/statistiche-storiche/capitalizzazioni/2015/201512/capitalizzazionesettoriale_pdf.htm).
Tale dato deve essere tenuto in considerazione quando si valuta l’andamento del mercato finanziario italiano perché il peso delle banche fa sì che le flessioni nel corso dei titoli bancari producano un sensibile effetto sul valore complessivo del mercato.
Se consideriamo l’indice generale FTSE MIB negli ultimi sei mesi, vediamo che ha perso il 26,51%, passando da 23.911,81, il valore del 5 Agosto 2015, a 17.250,26, il valore al 5 Febbraio 2016. Graficamente questa è la rappresentazione.

FTSE MIB

Se guardiamo all’indice settoriale delle banche, i dati sono questi: nei medesimi sei mesi l’FTSE Italia Banche ha perso 39,27%, mentre in valore si è passati da 18.057,83 a 10.684,08. Questo è il grafico.

FTSE Italia Banche

Dunque, una parte significativa del calo subito dall’indice generale è stata causata da quello del settore bancario. Per la verità, i due indici si muovono in maniera abbastanza simile, ma la maggior perdita dell’FTSE Italia Banche si può spiegare con la crescente incertezza che, nell’ultimo bimestre del 2015, ha caratterizzato il progetto di bad bank del governo italiano, quando è apparso chiaro che la Commissione Europea non ne approvava l’impostazione e l’avrebbe respinto. Se si guarda i grafici, si osserva, infatti, che la discesa ha subito un’accelerazione a partire dalla fine di ottobre.
Anche più evidente l’effetto sulle quotazioni di alcuni singoli titoli. Negli ultimi sei mesi, ad esempio, Banca Monte Paschi ha perso il 70%, Banco Popolare il 50% e Unicredit il 49%. Si tratta di istituti che, a torto o a ragione, sono considerati più fragili di altri, perciò più sensibili all’aggressività degli operatori finanziari.
Questi sono i grafici: anch’essi evidenziano l’accelerazione da ottobre in poi.

Banca Monte dei Paschi di Siena

Banco Popolare

Unicredit

L’incertezza è un’arma messa a disposizione dei mercati, sui quali, ovviamente, gli operatori si muovono con decisione per sfruttarla a proprio vantaggio.
Il modo palesemente velleitario e confuso con cui il governo italiano, per oltre un anno, ha portato avanti la propria (presunta) soluzione per il problema delle sofferenze bancarie, fino scontrarsi irrimediabilmente con le autorità europee, è all’origine della pesante flessione subita dai corsi azionari delle banche. 
Che nessuno, tra i tanti consulenti di Renzi, abbia pensato di considerare gli effetti collaterali dei propri comportamenti appare sconcertante e assai grave e induce a porsi domande sulle capacità effettive del presidente del consiglio e dei suoi collaboratori di affrontare con la necessaria lucidità i problemi economici italiani. Dalle parti di Palazzo Chigi, anziché prendere coscienza dei propri errori e rivedere le proprie posizioni, si ripetono messaggi di vuoto ottimismo e si polemizza anche aspramente con le istituzioni europee, allontanando in tal modo la soluzione positiva delle tante partite aperte. Questo mentre i dati che vengono resi noti dall’ISTAT ridimensionano sia la situazione del mercato del lavoro sia la crescita (già asfittica) del 2015 che quella, ovviamente ipotetica, del 2016. Non si tratta di valori trascurabili, anche se in senso assoluto sono modesti: per un paese come il nostro, un decimo di punto percentuale in meno di crescita del PIL pesa come un macigno e far finta di niente è irresponsabile. Per fortuna, gli italiani si mostrano assai più prudenti e più saggi di chi li governa: mantengono una buona propensione al risparmio e non si lasciano incantare dalle promesse né dalle mediocri misure, spesso contraddittorie e dettate da obiettivi elettorali, di Matteo Renzi. Per oggi basta, ma torneremo a occuparci delle banche e anche delle colpe di coloro che hanno preceduto Renzi e Padoan.
Accanto a noi, nella guerra contro i nemici della cultura e della musica, oggi abbiamo un gruppo americano che si è mosso, con successo, a cavallo di vari generi. Si tratta di Earth, Wind and Fire, il cui fondatore Maurice White è morto il 4 febbraio. Per ricordarlo vi propongo un paio dei loro brani più famosi. Il primo è Boogie Wonderland.


Il secondo s’intitola Fantasy.


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