domenica 27 maggio 2018

Il senso di responsabilità di filosofi e politici


The Financial Times, due giorni fa, ha dedicato un lungo articolo al filosofo francese Bernard-Henry Lèvy: https://www.ft.com/content/c2b825f0-5e67-11e8-ad91-e01af256df68.
Buona stampa. Non si tratta di una classica intervista, ma di un ritratto intercalato dallo scambio di domande e risposte: un ritratto abbastanza originale di un personaggio controverso, il quale ha svolto un ruolo cruciale in alcune scelte della Francia in politica estera, in particolare in Nord Africa, in Libia, ma non solo. 
A riguardo, secondo quanto riporta il quotidiano inglese, BHL (sembra che ci si riferisca a lui con le iniziali) sostiene ancora oggi: “The intervention couldn’t have gone better than it has. One hopes Libya will be better one day.” Una considerazione che, mi pare, trascuri il fatto che il meglio, se mai arriverà in Libia, avrà avuto un costo altissimo, sia per la popolazione libica sia per le migliaia di sventurati che, nel caos seguito al rovesciamento di Gheddafi, sono in balia dei trafficanti di uomini. Non da ieri, ma dal 2011, anno nel quale, grazie ai suggerimenti di BHL, Sarkozy ha avviato l’intervento occidentale nella guerra civile libica. E’, ovviamente, impossibile dimostrare se quell’intervento ha avuto un esito positivo o negativo e quindi dare un giudizio sul medesimo. Si può, però, osservare che non ha impedito la dissoluzione dello stato libico, particolarmente fragile (come molti di quelli nati artificiosamente in Africa e in Medio Oriente dopo la Prima Guerra Mondiale) per la convivenza di etnie e tribù divise da ostilità secolari. Difficile non pensare che sia mancata del tutto, da parte francese, ma anche inglese e americana, la valutazione delle conseguenze della guerra civile e la predisposizione di un piano che impedisse l’instaurarsi del caos che tuttora vige in Libia.
Un errore forse causato dal fatto che le opinioni di un filosofo, per quanto di elevata statura, non necessariamente considerano, oltre agli alti principi, anche le basse questioni poste dalla concreta realtà di paesi nei quali è illusorio esportare la democrazia. 
Nell’intervista a The Financial Times emerge chiaramente che Bernard-Henry Lévy ha un’altissima opinione di sé. E che sia sempre incline a sfruttare questioni politiche per accentrare su di sé la luce dei riflettori.  Non stupisce, quindi, che anche lui non sia immune da una grave malattia del nostro tempo, quella che spinge a non ammettere mai di aver commesso un errore o di essere in torto.
C’è un altro passaggio che mi sembra meriti di essere riportato: «He warns that compared with previous anti-democratic movements such as Marxism, Nazism and Islamic fundamentalism, “Populism may be the one that works best, that’s most convincing.”»
Questa mi pare un’affermazione condivisibile e preoccupante, sulla quale mi sarebbe, però, piaciuto leggere un approfondimento da parte di BHL, soprattutto sul fatto che il fondamentalismo islamico sarebbe destinato all'insuccesso come Nazismo e Marxismo. Lui, anche perché non sollecitato, ha evitato di farlo. 
Tornando in Italia, l’immediata attualità ci dice che il tentativo di Giuseppe Conte si è concluso negativamente e che si apre un profondo e tutt’altro che rassicurante confronto istituzionale. Non intendo certo parlarne in questo momento, ma mi pare opportuno proporvi la lettura dell’editoriale odierno del Corriere della Sera, firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: https://www.corriere.it/opinioni/18_maggio_27/competenza-valoreche-non-si-puo-rifiutare-6674f34a-6114-11e8-9f1c-2fb6ab417c7d.shtml#.
Buona stampa. Ne riprendo un passaggio (ovviamente è stato superato dai fatti per un dettaglio) che mi piace particolarmente, perché ribadisce un tema a me caro e più volte presente su queste pagine: “Teoricamente le leggi le fanno governo e Parlamento e la burocrazia le applica. Sappiamo che non è così. Sia nella preparazione sia nell’applicazione delle leggi, gli alti burocrati dello Stato hanno un’influenza enorme. Le leggi le «fanno» anche loro e spesso soprattutto loro. Più il ministro è incompetente, o circondato da consiglieri anch’essi poco competenti, più sarà facile per il suo capo di gabinetto o capo dipartimento convincerlo che non c’è alternativa al fare ciò che lei o lui suggerisce. Soprattutto se la dimestichezza di Giuseppe Conte con l’apparato amministrativo dello Stato farà sì che quelle posizioni siano ricoperte da consiglieri di Stato, magistrati della Corte dei conti e altri alti burocrati. Accadde così durante il primo governo Berlusconi, nel 1994: infatti fu un governo che realizzò assai poco di ciò che aveva promesso”.
Le ore che ci attendono si prospettano tutt’altro che facili. Viviamo un momento di estrema fragilità istituzionale, dovuta il larga parte all’incompetenza e all’opportunismo vergognoso di una classe politica sì eletta, ma totalmente inadeguata. Da anni, da parte di quasi tutti i partiti, si prospetta al paese una visione distorta, volta a conquistare voti e potere, contribuendo alla diffusione di opinioni inconsistenti, aspettative irrealistiche, conflittualità internazionali pretestuose.
Buonanotte e buona fortuna.

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