venerdì 15 dicembre 2017

Giganti e nani

Operazioni come l’acquisizione di 21st Century Fox da parte di Disney sono così complesse da rendere difficile per chiunque valutarne le conseguenze a distanza di poche ore dalla comunicazione ai mercati. A maggior ragione è difficile per me. E, tuttavia, qualche riflessione mi sento di farla. Prendiamo spunto da un articolo di Matthew Garrahan e Shannon Bond su The Financial Times: https://www.ft.com/content/db933926-e0ee-11e7-a8a4-0a1e63a52f9c.
Buona stampa.

Questa acquisizione, come efficacemente illustra il pezzo, è una mossa insieme difensiva e offensiva, che modifica i rapporti di forza nel mercato delle televisioni di intrattenimento e delle produzioni cinematografiche e televisive. E che, nelle intenzioni di Bob Iger, il capo di Disney, mira anche ad attenuare lo svantaggio che la sua azienda ha nei confronti di concorrenti come Netflix e Amazon, di dimensioni inferiori, ma forti della prevalenza nelle tecnologie di distribuzione via internet, destinate a sostituirsi a quelle finora più diffuse.
Si può anche ritenere che l’operazione sancisca la presa di coscienza da parte di Rupert Murdoch e dei suoi figli maggiori delle difficoltà che 21st Century Fox era destinata a incontrare se fosse rimasta indipendente. E, forse, dimostra che l’imprenditore australiano, ormai oltre la soglia degli ottanta anni, intende mettere mano a una riorganizzazione che renda meno complessa la sua successione.
Aggiungo un’ultima considerazione: se è difficile dire se e quanto la decisione di Iger si rivelerà giusta per l’azienda che guida ed è anche più difficile prevedere le possibili reazioni dei concorrenti vecchi e nuovi, a me pare del tutto evidente chi sono i perdenti in questa storia. Lo erano, in realtà, già prima, ma oggi la loro assoluta marginalità viene sancita in maniera definitiva, spazzando via qualsiasi loro velleità. Mi riferisco agli operatori europei. La produzione cinematografica e televisiva europea è irrilevante a livello mondiale. Con la sola eccezione di poche serie inglesi (spesso prodotte con capitali americani) e di rarissimi casi di opere realizzate in altri paesi europei, nel mondo la fanno da padroni gli americani, il cui dominio assoluto non si estende, per ovvie ragioni, solo in paesi culturalmente estranei o politicamente ostili (India, Cina e Medio Oriente).
Sul versante degli sconfitti, in particolare, penso all’Italia e alla Francia e a due gruppi, Mediaset e Vivendi, che sono tra i maggiori in Europa, ma quasi esclusivamente grazie alle posizioni dominanti nei paesi di origine e neppure paragonabili ai colossi americani. 
Penso a Berlusconi e Bolloré e mi vengono in mente i capponi di Renzo. E mi viene in mente, scusate la volgarità, un meraviglioso proverbio triestino che era solito ripetere un cugino di mia madre, persona assolutamente fuori del comune: “Meglio una torta in quattro che una merda da soli”.
Da oltre un anno Berlusconi e Bolloré litigano per un contratto non andato a buon fine sulla tv a pagamento del primo, Mediaset Premium. Per intenderci: si fanno la guerra per poche centinaia di milioni di euro di fatturato. Numeri risibili? A me pare di poter rispondere affermativamente. E si tratta, tra l’altro, di numeri possibili perché il nostro mercato televisivo è quanto di più lontano si possa immaginare da un mercato autenticamente concorrenziale. Voi tre conoscete meglio di me la storia della televisione italiana negli ultimi quaranta anni, non devo certo raccontarvela. Mi permetto, tuttavia di osservare che, guarda caso, la vita della televisione via etere o via satellite, nel nostro paese, durerà più che altrove perché la diffusione di internet è modesta e la bassa velocità media della connessioni impedisce a molti consumatori di servirsi di Netflix o di Amazon o di altri servizi televisivi simili.
Guarda caso, Bolloré non ha solo comperato il 29,9% del capitale di Mediaset, ma ha acquisito anche una posizione di sostanziale controllo in Telecom Italia, evidentemente interessato a sfruttare potenziali combinazioni di affari tra due posizioni di dominio su mercati assai poco competitivi. E guarda caso, l’ha fatto in Italia. Dubito che altrove avrebbe trovato condizioni simili.
Prima di salutarvi, non posso evitare di scrivere qualcosa sulla vicenda delle banche italiane. Non mescolerò la mia voce a quella delle decine di migliaia commissari tecnici della nazionale trasformatisi in esperti di tecnica bancaria e di finanza. Mi permetterò di fare due osservazioni di carattere, per così dire, estetico. 
Gianni Zonin, già presidente di Banca Popolare di Vicenza, davanti alla Commissione sulle crisi bancarie presieduta da Pierferdinando Casini, ha voluto precisare che il tracollo dell’istituto da lui guidato per circa vent’anni gli ha procurato perdite patrimoniali. Senz’altro una prova di grande buon gusto. Quanto alle reali conseguenze che la sua famiglia ha subito o subirà dal fallimento della Popolare di Vicenza, può essere interessante leggere questo articolo: http://www.corriere.it/economia/17_novembre_19/popolare-vicenza-donazioni-zonin-altri-ex-occultare-beni-bc77815c-cca6-11e7-b192-e3062d909ba1.shtml.
Buona stampa.
Altra prova di senso della misura e di buon gusto l’ha offerta Maria Elena Boschi ieri sera durante la trasmissione 8 e mezzo su La7. Mi concentro solo su una delle affermazioni del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (sulle altre troverete anche troppi commenti): Boschi ci ha tenuto a evidenziare che la sua famiglia, per il fallimento di Banca Etruria, ha perso qualche migliaio di euro. Immagino che abbiano dovuto saltare molti pasti per questo.
Buonanotte e buona fortuna.

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