martedì 20 settembre 2016

La tutela della concorrenza si fa altrimenti

Margrethe Vestager è una signora danese attiva in politica da molti anni, con alle spalle un’esperienza al vertice del governo del proprio paese, e dal 2014 è Commissario alla Concorrenza all’interno della Commissione europea (http://ec.europa.eu/commission/2014-2019/vestager_en).
Nelle ultime settimane ha fatto parlare parecchio di sé a causa della decisione nei confronti della Repubblica d’Irlanda e, indirettamente, della Apple (la prima dovrebbe chiedere alla seconda circa 13 miliardi di imposte che non avrebbe pagato in conseguenza di accordi con il governo irlandese che la Commissione europea considera non corretti).
Secondo quanto riportato ieri da The Financial Times (https://www.ft.com/content/e0df3138-7e4c-11e6-bc52-0c7211ef3198), la Commissione ha avviato una verifica sull’esistenza di condizioni di favore per la società francese Engie (già Gaz de France) da parte del Lussemburgo. L’ipotesi è che il Granducato abbia consentito a società del gruppo Engie di non pagare imposte su alcune operazioni finanziarie. Sempre riguardo al Lussemburgo, The Financial Times indica che ci sono indagini in corso su McDonald’s e Amazon, perché avrebbero esse pure ottenuto vantaggi fiscali in maniera ritenuta scorretta.
A prescindere dall’aspetto vagamente ironico del fatto che le vicende di cui parla il quotidiano inglese riguardano la nazione di provenienza del Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, a lungo (oltre 18 anni) alla guida del governo lussemburghese, la tendenza a servirsi di sanzioni in materia fiscale per ristabilire, forse, condizioni di concorrenza equilibrata tra imprese mi sembra favorire il sospetto che si cerchi di raggiungere determinati scopi per vie non esattamente dirette.
Detto più chiaramente: poiché a livello politico non è stato possibile indurre i paesi membri dell’Unione a uniformare i propri sistemi fiscali e a porre fine alla pratica di offrire vantaggi alle imprese insediate nel proprio territorio, si utilizza la strada delle sanzioni, aprendo contenziosi che potrebbero durare qualche anno e che, così mi pare, non risolvono la questione, ma, al contrario, la complicano e rendono più teso il clima tra gli stati e la Commissione. E senza produrre nessuna reale conseguenza sulla competizione tra imprese, quindi senza che il consumatore abbia alcun beneficio.
Con questo non intendo dire che disapprovo le ragioni profonde della Signora Vestagher e di chi condivide la sua linea. E’ certamente un grave problema quello delle differenze nell’imposizione fiscale e nella complessità e onerosità degli adempimenti. E’ persino inutile ricordare che le imprese tendono a insediarsi là dove il peso delle imposte è minore e che, non di rado, decidono di trasferire la propria sede proprio in base all’esistenza di vantaggi fiscali, sia ordinari sia frutto di accordi ad hoc. Le nazioni competono tra di loro anche servendosi di questi strumenti, niente di nuovo né di scandaloso. E neppure niente che si modificherà per effetto di sanzioni, come quelle in questione, da parte della Commissione europea, soprattutto in un momento come l’attuale.
Al contrario, temo che queste sanzioni finiranno per rendere più difficile la già difficilissima esistenza del processo di integrazione europea, del quale mi pare addirittura assurdo parlare di fronte ai continui, durissimi colpi che all’Europa vengono inferti dall’interno e dall’esterno.
Giorno dopo giorno, chi in un modo chi in un altro, i politici europei, siano essi attivi in ambito comunitario o abbiano solo un ruolo nei propri paesi, ci avvicinano a un punto dal quale sarà impossibile tornare indietro e la costruzione immaginata ed edificata da uomini e donne di ben altra qualità sarà demolita. Sotto le macerie, però, non troveremo nulla di quello che Grillo o Le Pen, Farage o Orbán avranno promesso. Saremo, appunto, soltanto sepolti sotto le macerie.
Causate anche dal populismo istituzionale della Signora Vestagher, perché di questo si tratta.

Nessun commento:

Posta un commento