domenica 20 ottobre 2019

16.200 km


In queste ore un aereo della compagnia australiana Qantas ha compiuto il primo volo senza scalo da New York a Sydney: un volo di oltre 19 ore effettuato a scopo conoscitivo, per valutare gli effetti su passeggeri ed equipaggio.


Se le prove daranno risultati positivi, il servizio di linea comincerà nel 2022 o 2023. Qualche notizia in più la trovate su The Guardian: https://www.theguardian.com/business/2019/oct/20/qantas-longest-commercial-flight-new-york-sydney-dreamliner-787.
Cronaca. Nella quale manca un dettaglio che, onestamente, faccio fatica a considerare trascurabile: il carburante costituiva poco meno della metà del peso al decollo del Boeing 787, si parla di circa 100.000 chilogrammi.
Qui, su Forbes, trovate l’elenco dei voli di linea senza scalo più lunghi attualmente effettuati: https://www.forbes.com/sites/ericrosen/2019/01/02/the-2019-list-of-the-longest-flights-in-the-world/.
Cronaca. Per me intrigante.
Perché vi racconto tutto questo? Non solo a causa della mia curiosità per il trasporto aereo nata tanti anni fa. Il motivo principale è che vedo un contrasto tra maggiore facilità di volare senza scalo anche a grandi distanze e diffusione, un po’ ovunque nel mondo, di sentimenti che tendono a creare barriere tra le nazioni e tra le popolazioni.
Sia Boeing che Airbus hanno messo a punto nuovi jet capaci di volare per 9.000 miglia marine, ma fatico a capire cosa ce ne faremo dei Boeing 777 e degli Airbus 350 a lunga percorrenza. Non posso evitare di chiedermi se si riveleranno inutili in un mondo sempre più chiuso, sempre più ostile agli scambi, sia economici che culturali. Mi sforzo di pensare che non lo saranno, ma si tratta di una speranza, non di una convinzione. La mia convinzione è che nel futuro, anche prossimo, il mondo che hanno conosciuto la mia generazione e quelle immediatamente successive non esisterà più.
In un modo o nell’altro, in tutti i continenti, agiscono forze che mirano alla disgregazione di molta parte delle istituzioni e degli accordi grazie ai quali, negli ultimi decenni, si erano creati legami di vario tipo, e a mio giudizio assai positivi, tra aree del mondo anche assai lontane tra loro.
Il fenomeno è certamente di una portata di gran lunga superiore alle mie competenze, quindi mi guarderò bene dal tentare anche una brevissima analisi adatta allo spazio del blog.
Mi permetterò, tuttavia, qualche osservazione. 
La prima è che la progressiva dissoluzione di vari legami tra stati e aree del pianeta mi pare particolarmente preoccupante perché in qualche modo si autoalimenta. Per esempio: secondo alcuni osservatori la soluzione prevista per l’Irlanda dagli accordi su Brexit potrebbe favorire l’unificazione tra nord e sud dell’isola e, nello stesso tempo, la dissoluzione del Regno Unito, dal quale uscirebbe anche la Scozia, oltre ovviamente all’Ulster. Non credo di dover spiegare quale effetto può avere su opinioni e atteggiamenti dei cittadini la creazione di linee di confine là dove non esistevano da secoli, magari in condizioni di consistente tensione. E come una classe politica preoccupata solo del consenso immediato sarebbe senz’altro pronta a incoraggiare e a gratificare nuovi impulsi nazionalistici. Benzina, non acqua sul fuoco.
Seconda osservazione. L’economia è uno dei terreni in cui maggiormente si producono gli effetti negativi del riemergere di isolazionismo ed egoismo nazionalistico. Le conseguenze delle guerre commerciali in atto da alcuni mesi (e originate soprattutto dalle misure messe in atto dagli Stati Uniti guidati da Trump) si vedono già nel calo degli scambi internazionali e, quel che è peggio, nel progressivo ridursi dei tassi di crescita di quasi tutte le maggiori economie mondiali, inclusi anche gli USA. La globalizzazione, come qualsiasi fenomeno prodotto dall’agire umano, aveva difetti, ma, anziché correggere questi, buona parte dei politici ha deciso di ritornare al passato, al mondo in cui il commercio tra stati era assai inferiore. Quanto costerà ai cittadini tutto questo a loro interessa poco, perché vogliono compiacerli immediatamente e non si curano di quel che penseranno anche solo tra sei mesi o un anno: i ricordi degli elettori si dissolvono piuttosto in fretta e, in società nelle quali la comunicazione di qualità va scomparendo, non è difficile deviare l’attenzione e mantenere il consenso con informazioni manipolate se non false.
Terza osservazione. Se il rallentamento delle economie maggiori (Cina e Germania, ma non solo) dovesse farsi più marcato, la mancanza di visioni comuni e di istituzioni internazionali solide e rispettate renderà difficile superare un’eventuale (tutt’altro che improbabile) recessione profonda e prolungata. E’, invece, realistico pensare che il maggior isolazionismo si tradurrebbe in misure che aggraverebbero anziché contrastare il rallentamento. Una situazione tanto più grave se si considera quanto difficile sarebbe, per le banche centrali, mettere in atto oggi misure espansive: i tassi di interesse sono negativi in molti paesi e la liquidità messa a disposizione dei mercati già enorme. L’armeria, dunque, è quasi vuota.
Come se non bastasse, venendo a mancare l’intento ad agire insieme per affrontare problemi comuni, si è consentito che si ricreassero alcune delle situazioni all’origine della disastrosa crisi iniziata nel 2007: nel mondo, oggi, ci sono 1.400 miliardi di dollari di titoli che, in buona parte, sono simili ai CDO, ossia gli agenti scatenanti del disastro finanziario del decennio scorso. Adesso si chiamano in modo poco diverso, ma la sostanza è sempre che qualcuno ha preso dello sterco e, dopo averlo impacchettato con una sfavillante carta argentata, lo ha venduto a qualche altro. Si tratta, meglio sottolinearlo, solo di una parte dei 1.400 miliardi di dollari, tuttavia nei mercati finanziari ci sono segnali di incertezza riguardo a qualche operatore, anche di rilievo, perché si dubita che, in caso di necessità, potrà liquidare rapidamente e senza perdite, magari pesanti, titoli come quelli o altri presenti nel suo patrimonio. 
Mi fermo qui, ho già abusato del tempo dei miei tre lettori. Cui mi pare il caso di rivolgere il saluto di Edward R. Morrow. Buonanotte e buona fortuna.

1 commento:

  1. La situazione è delle più fragili e tragiche penso e nn so come dovremmo attrezzarci x questa nuova forma di guerra:i dazi

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