mercoledì 23 agosto 2017

L'ideologia non si spinga dove non arriva la scienza

Nel cuore di questa torrida estate hanno avuto, direi giustamente, parecchio spazio le numerose aggressioni verbali e le minacce rivolte a Laura Boldrini attraverso la rete.
Non si può che condannare parole e auspici che giudico disgustosi, espressione di protervia e volgarità inaccettabili in un paese civile.
Vero è, però, che atteggiamenti del genere non hanno per bersaglio solo la Presidente della Camera e che protervia e volgarità non sono monopolio solo di comuni cittadini incattiviti (che, proprio perché protervi e volgari, avrebbero torto anche nel caso in cui avessero qualche argomento fondato).
Il linguaggio e i modi del dibattito politico nel nostro paese, ormai da anni, offrono un esempio vergognoso agli italiani e ne giustificano, sia pure in misura modestissima, gli atteggiamenti e i toni con i quali manifestano le proprie opinioni e giudicano chi non la pensa come loro, chiunque esso sia.
Nello specifico degli attacchi di cui è stata oggetto Laura Bordini, mi sembra indispensabile considerare il tema all’origine degli stessi: la migrazione di migliaia di persone dall’Africa e dal vicino Oriente che cercano di raggiungere l’Europa e, in misura prevalente, cercano di farlo attraverso l’Italia.
Sul tema credo che Laura Boldrini si sia espressa più volte attingendo argomenti soprattutto dal proprio bagaglio ideologico, in modo che considero inadatto alla posizione che occupa, ossia la terza carica della Repubblica Italiana. Il Presidente della Camera, credo, ha il compito di favorire un clima di coesione nazionale, non certo quello di alimentare le divisioni e le contrapposizioni.
Boldrini ha spesso espresso opinioni che, oggettivamente, l’hanno posta al centro dei conflitti più aspri e più opportunistici su un tema divisivo, che una figura fondamentale dell’ordinamento statale dovrebbe affrontare in maniera equilibrata e ponderata, tenendo conto della complessità straordinaria dell’argomento, che non si presta a semplificazioni e a generalizzazioni, soprattutto se basate su convinzioni personali rispettabili, ma inevitabilmente di parte. Esattamente come quelle di chi si trova sul fronte opposto.
Non credo di dover dimostrare, avendolo fatto già più volte, che considero dovere di un paese civile come il nostro accogliere chi fugge da situazioni di guerra, di persecuzione e di miseria senza speranze. E non perché, fino ad anni non troppo lontani, anche cittadini italiani si sono trovati in condizioni simili, sotto il profilo economico, tanto da aver dato vita a un flusso che ha portato milioni di nostri concittadini a vivere in paesi lontani.
Le migrazioni sono, con ogni probabilità, uno dei fenomeni che più caratterizzano la presenza dell’uomo sul nostro pianeta. Un fenomeno così profondo e ampio e complesso da mettere in discussione le convinzioni di chiunque riguardo all’identità delle popolazioni di quasi ogni paese, incluso il nostro.
Vari studi, grazie all’analisi del DNA, confermerebbero che la matrice comune dell’uomo va ricercata in Africa e e che, attraverso successivi spostamenti determinati da fattori climatici, alimentari e sociali prima, anche culturali e religiosi poi, i nostri antenati si sono spostati in ogni angolo del mondo.
In rete si trovano numerosi contributi sull’argomento, più o meno estesi e più o meno complessi. Ve ne propongo alcuni in modo un po’ casuale.
Il primo, in realtà, è un dossier della rivista americana National Geographic, che da oltre dieci anni ha avviato un progetto proprio per approfondire l’argomento (questo è il collegamento al sito: https://genographic.nationalgeographic.com/about/), mentre qui trovate due schede sintetiche sul fenomeno migratorio: https://genographic.nationalgeographic.com/migratory-crossings/ e https://genographic.nationalgeographic.com/human-journey/.
Buona stampa. C’è molto di più di quello che vi ho suggerito, decidete voi se approfondire.
L’analisi del DNA può talvolta riservare delle sorprese, anche non piacevoli, come raccontano un articolo di The Washington Post (https://www.washingtonpost.com/graphics/2017/lifestyle/she-thought-she-was-irish-until-a-dna-test-opened-a-100-year-old-mystery/?tid=ss_mail&utm_term=.0774b283a4bd) e uno, meno recente, di The New York Times (https://www.nytimes.com/2017/04/23/us/dna-ancestry-race-identity.html).
Buona stampa. Per tutti e due.
Come si vede, l’argomento dell’identità trova ampio spazio anche altrove e, come documenta questo articolo dal Corriere, anche altrove si verificano scontri simili a quelli che accadono in Italia: http://www.corriere.it/cultura/17_agosto_09/bonazzi-mary-beard-britannia-meticcia-dibattito-9052570c-7d1c-11e7-9293-13df2eb6c4db.shtml.
Buona stampa.
La scienza, com’è evidente, non offre ancora un quadro definitivo, ma proprio per questo appare irragionevole assumere posizioni oltranziste come quelle di Laura Boldrini e dei suoi avversari. Ha ragione Mauro Bonazzi, autore dell’articolo del Corriere citato sopra, di cui riporto le parole: “Le certezze assolute, su chi siamo e da dove veniamo, non saranno mai troppe. Ma se vogliamo conoscerci un po’ meglio dobbiamo imparare a far dialogare i diversi saperi, scientifici o umanistici che siano. Pronti a cambiare idea, se le analisi mostrano che è ragionevole farlo, anche quando questo modifica il modo di considerare noi stessi e la nostra storia”.
Così come credo che abbia in larga parte ragione anche Ferdinando Camon, noto scrittore padovano, che ieri, sul proprio profilo Facebook (https://www.facebook.com/ferdinando.camon?fref=ts), ha scritto queste parole: “Non possiamo convivere con l’Islam terrorista, con l’Islam integralista, neanche con l’Islam semplicemente ortodosso. Un cittadino di qualunque parte del mondo, convinto di essere lui nella verità e tutti gli altri nell’errore, convinto che lui vale più di tutti gli altri, che lui uomo vale più di sua moglie e può picchiarla, che i suoi figli maschi valgono più delle sue figlie femmine, che la teocrazia è l’unico governo giusto e la democrazia è sbagliata, quest’uomo può vivere soltanto dentro la sua civiltà. Non può uscire. È inadatto all’espatrio. Non deve avere il passaporto. A stabilire questo dovrebb'essere l’Onu”.
C’è, forse, una nota troppo accesa nella parte conclusiva, ma condivido senza riserve la prima parte del suo ragionamento. La distanza che separa la cultura islamica ortodossa da quella occidentale è troppo ampia, temo incolmabile. E su questo, credo, farebbe bene a riflettere anche Laura Boldrini.

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