venerdì 23 dicembre 2016

Chi paga davvero il conto?

Prima ancora che per esperienza diretta, sono caratterialmente portato a pensare che in ben poche occasioni il trascorrere del tempo semplifichi i problemi. Al contrario: più una questione insidiosa e complessa viene lasciata senza soluzione, più si aggrava e cresce la dimensione delle conseguenze. 
Il caso del Monte dei Paschi di Siena mi pare offrire solidissimo supporto alla mia convinzione. Non ho letto un commento che approvi l’atteggiamento temporeggiatore del governo, anzi dei governi (le colpe non sono tutte di Renzi). E temporeggiatore è un eufemismo del tutto inadeguato alla situazione.
Ieri, prima ancora dell’approvazione notturna del decreto che, di fatto, ha sancito la nazionalizzazione della banca senese, l’economista Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera, aveva sottolineato come l’attendismo dei governi italiani degli ultimi anni abbia consentito al virus, inoculato dalla crisi originatasi nel 2007 negli Stati Uniti, di diffondersi più di quanto avrebbe fatto in presenza di un intervento più tempestivo e deciso.
Buona stampa. Avrei, però, preferito che l’indicazione delle responsabilità fosse un po’ più decisa e puntuale. Non un nome appare nell’articolo di Giavazzi. Non quello di un Presidente del Consiglio. Non quello di un Ministro dell’Economia. Non quello di un Governatore della Banca d’Italia. Una scelta che, onestamente, mi piace poco: le responsabilità del fallimento di Banca MPS (perché di questo si tratta, inutile prendersi in giro) sono tante e diverse e risalgono a ben prima del 2013, anno cui Giavazzi si riferisce citando il rapporto del Fondo Monetario Internazionale che avvertiva del profondo dissesto dell’istituto senese.
Il dissesto di MPS, in realtà, ha origini forse anche più lontane del 2007, anno in cui fu decisa la scellerata acquisizione di Banca Antonveneta. In ogni caso, nel novembre del 2007, quando l’operazione fu attuata, Presidente del Consiglio era Prodi, Ministro dell’Economia era Tommaso Padoa-Schioppa e Governatore di Banca d’Italia era Mario Draghi.
Sia chiaro: la responsabilità di avere deciso l’acquisto di Antonveneta ricade soprattutto sugli organi societari e, indirettamente, su quelli della Fondazione che allora controllava il capitale della banca con quasi il 50% delle azioni. Tuttavia sappiamo tutti e quattro perfettamente che l'acquisizione non sarebbe mai avvenuta senza il consenso non solo del governo e della Banca d’Italia, ma anche delle maggiori forze politiche. Che il neonato PD di Veltroni l’appoggiasse ovviamente non stupisce, poiché “controllava” sia la banca (tramite Giuseppe Mussari) sia la Fondazione (tramite Gabriello Mancini). Non stupisce, però, neppure che anche i maggiori partiti di opposizione non sollevassero obiezioni di sorta: alcuni, infatti, erano presenti negli organi di controllo di entrambi gli enti, quindi godevano essi pure del rapporto clientelare da questi instaurato con il territorio.
Quanto il sistema fosse condiscendente rispetto all’agire di Mussari e incline a non voler vedere quel che accadeva, a mio modesto avviso, risulta confermato anche dal fatto che Mussari è stato presidente dell’Associazione Bancaria Italiana dal 2010 al 2013, ossia quando già si iniziavano a conoscere le condizioni di MPS e il modo assai poco trasparente con cui era stata attuata l’acquisizione di Antonveneta.
Chi lo vorrà, comprenderà perché ora io vi suggerisca la lettura di questo pezzo di Giuseppe Guastella pubblicato dal Corriere della Sera l’anno scorso e, apparentemente, estraneo all’argomento: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_21/ruby-ter-assegni-olgettine-ragioniere-spinelli-a8c746ec-cf97-11e4-b8b8-da1e3618cfb1.shtml?refresh_ce-cp.
Buona stampa. E tutt’altro che estranea al tema.
Torniamo all’attualità. Il decreto approvato dal governo la scorsa notte stanzia 20 miliardi di euro per sostenere il sistema bancario in generale. In altri termini: la somma dovrebbe consentire di far fronte ad altre situazioni di crisi, come quelle di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, e anche, più in generale, di aiutare la bonifica dei bilanci del sistema bancario, appesantiti da una massa enorme di crediti deteriorati. Spero di sbagliare, ma penso che sia illusorio ritenere che la somma sia adeguata allo scopo. Non vi annoio con numeri, ma i numeri mi danno ragione.
Venendo allo specifico di MPS, il governo si propone anche di gestire il salvataggio evitando di procurare danni a quella parte dei risparmiatori che detiene circa il 50% delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, soprattutto per finanziare l’acquisto di Antonveneta. Detto altrimenti, il governo si propone di impedire l’applicazione della normativa europea sui fallimenti bancari che prevede, per i portatori di obbligazioni subordinate, di subire almeno in parte l’effetto del dissesto. Non basta, il governo si propone di creare condizioni di maggior favore rispetto a quanto previsto dall’originario piano elaborato dalla banca stessa quando aveva offerto il riacquisto delle obbligazioni in questione.
Considero questa decisione governativa un gravissimo errore e l’ennesima dimostrazione di come la politica italiana si preoccupi di cercare il consenso di pochi scaricando il costo su tanti. Un ricordo personale giustifica questa mia affermazione.
Nel 2007 ero cliente di Banca Antonveneta. Dopo l’acquisizione da parte di MPS, il mio referente per gli investimenti mi propose l’acquisto di obbligazioni subordinate. Ero poco incline a sottoscriverle, ma, per non mettere in crisi il rapporto, accettai di acquistarne un importo non proprio trascurabile rispetto alla dimensione dei miei risparmi (circa il 2,5%). Lo feci con la consapevolezza di comprare un titolo che, a fronte di interessi abbastanza superiori rispetto a quelli medi di mercato e indubbiamente attraenti, mi esponeva al rischio di perdere il capitale nel caso, non così remoto, di insolvenza della banca. Questo avveniva nei primi mesi del 2008, quando già la crisi del sistema finanziario era evidente (Bear Stearns era defunta e si sapeva che altri traballavano parecchio); ero quindi consapevole dei rischi cui mi esponevo.
Nei primi mesi del 2013, quando ormai era ormai chiaro che MPS non attraversava, per così dire, un periodo di buona salute, decisi di vendere le obbligazioni. Non fu facile: i miei ordini piazzati attraverso il sistema di trading on line della banca senese non trovavano compratori neppure a valori inferiori al corso indicato. L’unico acquirente possibile, in realtà, era MPS stesso. Alla fine, accettando una perdita di circa il 40% rispetto al valore nominale, riuscii a vendere. E l’ho fatto senza troppo tormento, consapevole che si trattava della scelta corretta e che subivo una perdita accettabile in considerazione della natura del titolo. Potevo prendermela solo con me stesso: avevo scelto di correre un rischio, per qualche anno ne avevo tratto un beneficio in termini di rendimento del capitale, ma poi i nodi erano venuti al pettine, nodi la cui esistenza non mi era ignota al momento della sottoscrizione. Il mondo della finanza funziona così. La correlazione tra rischio e rendimento è una condizione cui non si sfugge. E non c’è qualcuno su cui scaricare il costo delle nostre decisioni. O non ci dovrebbe essere.
Il governo italiano, la notte scorsa come in altre occasioni (tante, anche in tempi meno recenti), ha deciso che qualcuno non deve subire le conseguenze delle proprie decisioni di investimento e che altri devono pagare per i rischi che ha deciso di correre.
Dico questo con serenità, perché sono pochissimi, tra coloro che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate di MPS piuttosto che acceso mutui in Ecu o Marchi venti e più anni fa, quelli che ignoravano effettivamente i rischi insiti nelle loro scelte.
A conferma di questo vi suggerisco la lettura di questo pezzo di Bloomberg, che si basa su analisi della Banca d’Italia: https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-12-22/italian-bank-bondholders-gentiloni-aims-to-shield-aren-t-so-poor.
Buona stampa. Sempre che la fonte sia attendibile…
Avrei voluto parlarvi anche di Mediaset e Vivendi, ma ho già abusato della vostra pazienza. Lo farò un’altra volta.

1 commento:

  1. Hai ragione sicuramente. ma adesso provo a metterla in ridere. Il temporeggiatore più famoso di tutti, Quinto Fabio Massimo, non si occupava di banche. Ma, come insegnano nei libri di storia, passò alla storia per un diverso motivo.
    Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore, pagando una marchetta scopava per tre ore.
    Ciao a tutti, Marco

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