Come un qualsiasi esponente della classe dirigente italiana
mi rimangio quel che ho detto e torno a occuparmi di politica. Beh… non sono
proprio come quelli che ci guidano (ci guidano?).
Buona stampa. Anzi di più. Come spiega il titolo di questo
post, ne condivido anche la punteggiatura. E sono forse anche un po’ innamorato
di lei. Scherzi a parte, la considero una dei migliori giornalisti italiani
(uomini e donne) e una vera risorsa per il paese.
Dopo aver letto un articolo come quello di Gabanelli, voi
tre starete già immaginando che chiuda cedendo al mio irrimediabile pessimismo.
E invece, molto a fatica lo riconosco, provo a dare a voi, e prima ancora a me
stesso, una spinta non già all’ottimismo (come potrei?), ma alla combattività.
Una bella canzone malinconica che invita a non arrendersi. Si tratta di Don’t give up, che Peter Gabriel ha scritto e
interpretato per la prima volta con Kate Bush (http://en.wikipedia.org/wiki/Don%27t_Give_Up_%28Peter_Gabriel_and_Kate_Bush_song%29). Le parole le potete trovare qui: http://www.azlyrics.com/lyrics/petergabriel/dontgiveup.html.
Come molti brani belli e di successo, anche questo è stato
interpretato da altri artisti. Io l’ho riscoperto nell’esecuzione di Pink e
John Legend nell’album The Imagine
Project di Herbie Hancock (http://en.wikipedia.org/wiki/The_Imagine_Project),
che mi sembra giusto proporvi.
Stampa così e così. Massaro non va a scavare dove dovrebbe,
lasciando che sia Mansi a guidare le danze. E la Signora lo fa da esponente
qualificata della classe dirigente italiana, ossia rivelandosi portatrice di
certezze granitiche, poco ferrata in storia (anche recente), pronta alle più
ardite arrampicate pur di far apparire convincente la “realtà” che vuol rifilare
al lettore.
Potrei continuare e dettagliare, ma non vale la pena: c’è
chi spiega come veramente stanno le cose meglio di me e vi rinvierò a lui tra un attimo. Un
paio di considerazioni, infatti, le voglio proprio aggiungere.
Primo: in tutta l’intervista, Antonella Mansi si guarda bene
dal citare gli altri azionisti, i dipendenti e i clienti di Banca Montepaschi,
i quali sono portatori d’interessi e di aspettative (del tutto legittimi) rispetto
alla Banca quanto o più della Fondazione che la Signora presiede.
Secondo: non so dove la Signora Mansi trovi ragioni per la
spavalderia con cui sostiene che, facendo slittare l’aumento di capitale di
cinque o sei mesi, la Fondazione potrà collocare le proprie azioni di Banca
Montepaschi a condizioni migliori, incassando quanto serve per tappare le
falle. Forse anche lei dovrebbe leggere l’articolo, pubblicato sempre sul
Corriere di oggi, di Salvatore Bragantini, il quale la realtà la conosce e la
descrive, non la ricrea a proprio uso e consumo: http://www.corriere.it/opinioni/13_dicembre_30/buon-senso-salvare-banca-reputazione-27052e4c-7135-11e3-acd7-0679397fd92a.shtml.
Buona stampa.
L’importante, nel nostro paese anche più che altrove, è
apparire, far sentire la propria voce (anche quando si dicono sciocchezze e
senza preoccuparsi del tono impiegato), imporre una propria verità persino per
pochi minuti o per poche ore, pronti a dimenticarsi di averla affermata. E’
grave, ma, almeno in qualche misura, comprensibile, che i politici e le persone
con un ruolo pubblico tendano a comportarsi così. Gravissimo e inaccettabile
che gli organi di stampa si prestino al loro gioco e rinuncino a svelarne le
contraddizioni, consentendo che l’opinione pubblica venga ingannata o, quando
va bene, fuorviata.
Ieri a Siena si è svolta l’Assemblea Straordinaria di Banca
Montepaschi S.p.a., terzo gruppo bancario italiano, da tempo in grave
difficoltà. Si può sostanzialmente sostenere che è sotto il controllo dello
stato e dell’Unione Europea, nel senso che il primo è il principale creditore,
attraverso i cosiddetti Monti Bond, e la seconda vigila sul tentativo di
risanamento per assicurarsi che avvenga con modalità rispettose della normativa
comunitaria in materia di concorrenza e aiuti statali.
L’assemblea di ieri avrebbe dovuto deliberare un aumento di
capitale per 3 miliardi da effettuarsi entro il prossimo gennaio. L’aumento di
capitale è stato rinviato al mese di maggio 2014, così come pretendeva la
Fondazione Montepaschi, ossia l’ente guidato da Antonella Mansi, espressione
della politica locale, in particolare Comune e Provincia di Siena.
Per capire le ragioni dei dirigenti della Banca e quelli dei
responsabili della Fondazione non dovete far altro che sfogliare i quotidiani
di oggi o navigare tra i vari siti, gli articoli non mancano certamente.
Io, che qualcosa ho già letto oggi e qualcosa avevo letto
nei mesi e giorni passati, penso che questa vicenda ci faccia guadagnare altri
punti nella classifica del ridicolo internazionale, dove, peraltro, primeggiamo alla
grande e senza fatica.
La Signora Mansi, Presidente della Fondazione Montepaschi,
ha ragione quando sostiene che l’aumento di capitale effettuato in gennaio,
riducendo di molto il peso percentuale della partecipazione della Fondazione
stessa nella banca, priverebbe la partecipazione di gran parte del suo valore,
quel valore che la Mansi spera di recuperare per tappare i buchi nel bilancio
dell’ente (sono certo che voi tre sapete benissimo come si sono creati).
Quello che, tuttavia, la Signora Mansi dimentica è che lei è
stata indicata per la presidenza della Fondazione dopo mesi di patetici
tiramolla tra correnti del PD senese e toscano, esattamente come i suoi
colleghi membri dell’organo di controllo (che, noblesse oblige, si chiama Deputazione Generale, mica Consiglio di
Amministrazione: stiamo parlando di gente che si sbrodola addosso dal 1472,
mica da ieri).
Pretendere altro tempo, dopo tutto quello che è già andato
sprecato in mesi di patetiche schermaglie tra gerarchetti locali mi sembra
davvero troppo, soprattutto se si considerano le conseguenze che potranno
derivare alla banca da questo ritardo nella ricapitalizzazione.
Il rinvio costa svariate decine di milioni di euro di
interessi per il mancato rimborso dei Monti Bond, ossia comporta un appesantimento
del conto economico. Questo, però, potrebbe anche non essere l’unico risultato
negativo: le banche, soprattutto negli ultimi anni, dipendono sempre più dai
capitali che reperiscono sui mercati finanziari e possono contare sempre meno
sul denaro raccolto presso i risparmiatori. Il mancato aumento di capitale
potrebbe comportare (evito di scrivere comporterà, ma non sbaglierei se lo
facessi) un incremento dei costi ulteriore (perché prestatori riluttanti pretendono maggiori interessi), con ovvie conseguenze sulla
redditività di Banca Mps. Mi trattengo dal considerare quello che potranno
pensare i risparmiatori che, nonostante tutto, hanno deciso finora di mantenere
i propri depositi presso la banca senese. Osservo che la Signora Mansi non è
sembrata preoccuparsi troppo della loro opinione, concentrandosi assai di più
sulle esigenze di quel sistema di potere costruito nel tempo tra Fondazione,
Banca ed enti locali. Un sistema di potere che, guarda un po’, è quello che ha
portato Mussari alla guida di MPS e Mancini alla guida della Fondazione, con
quei bei risultati che sappiamo.
Se tutto questo non è ridicolo, che cosè? Io penso (e
scrivo) che è peggio che ridicolo: è assurdo e moralmente inaccettabile e
illustra anche troppo bene quanto poco abbiano capito i politici italiani,
specie quelli attivi a livello locale.
Bisogna dire che il Ministro del Tesoro e la Banca d’Italia
non si sono fatti sentire molto nella vicenda di ieri, almeno per ora. Io, che
in certe materie mi ispiro sempre al pensiero di Andreotti, penso che
Saccomanni e Palazzo Koch abbiano la coda di paglia. Tanto per capirci, quando
Banca MPS ha messo in atto la folle acquisizione di Antonveneta, l’operazione
che è la madre di tutti i suoi problemi, l’attuale Ministro del Tesoro era
Direttore Generale della Banca d’Italia, ossia l’ente di controllo che non ha
saputo vedere quello che accadeva realmente a Siena.
Finiamola qui, perché ho già detto abbastanza. E mi stanno
già prudendo anche troppo le mani.
Torniamo a It Never
Entered my Mind, che è di gran lunga più gratificante delle squallide
vicende italiane.
Riprendiamo il cammino dal 1957, con la versione del mitico
quintetto di Miles Davis, in cui il trombettista è affiancato da John Coltrane,
Red Garland, “Philly” Joe Jones e Paul Chambers.
La versione successiva è quella di un altro trombettista a
me particolarmente caro, tanto da essere, forse, uno dei musicisti più citati ne ilmiosecchiellodacqua, Chet Baker. La sua interpretazione è tratta da Chet, uno dei suoi album più celebri (http://en.wikipedia.org/wiki/Chet_%28Chet_Baker_album%29).
Chiudiamo con Frank Sinatra, dall’album Put Your Dreams Away del 1958.
Non è che io abbia disimparato a scrivere o che abbia smesso
di leggere i giornali. Tutt’altro. I miei prolungati “silenzi” nascono dal
sentimento di disgusto che suscita in me seguire le vicende politiche italiane.
Non ne posso davvero più. Non vedo alcun segno in base al quale illuderci che
la classe dirigente sappia imprimere quella svolta che, sola, può offrire al
nostro paese un futuro meno desolante di quello che ci attende.
Quanto politici e burocrati siano lontani dal preoccuparsi
delle reali esigenze degli italiani lo dimostra il fatto che siano riusciti a
partorire un decreto (il cosiddetto Salva-Roma) così delirante da indurre
Napolitano a non firmarlo e a rispedirlo al mittente. E mentre mettono insieme
provvedimenti legislativi che si possono soltanto definire colossali schifezze,
proclamano ai quattro venti di aver fatto diosache. No, non voglio più farmi il
sangue cattivo io e farlo fare cattivo a voi. Eviterò di parlare di questi
ignobili parassiti che, si fa per dire, amministrano il nostro paese. Voglio
solo aggiungere che mi trovo costretto (e sa il cielo quanto la cosa mi procuri
sconcerto e imbarazzo) a condividere l’opinione espressa pochi giorni fa dal
Presidente della Regione Veneto. Zaia ha sostenuto che per l’Italia sarebbe
meglio essere commissariata dalla cosiddetta Troika (UE, BCE e FMI). Temo non
esista altra strada per porre in atto le misure di cui il Paese ha
drammaticamente bisogno. Solo un’entità esterna, fornita di poteri
straordinari, potrebbe far eliminare i privilegi che politici e burocrati
pubblici, legati da una complicità sordida, si sono attribuiti e per arginare
il flusso di denaro pubblico che viene sperperato ad ogni livello, dal vertice
dello Stato alla più minuscola amministrazione locale.
Buona stampa. Dalla pagina che vi ho segnalato, potete
ripercorrere tutte le tappe di questa che, per chi la legge, si può soltanto
definire una via crucis.
Buona stampa. Anche se, lasciatemelo dire, mi sembra
paradossale che il settimanale non abbia reso disponibile on line il testo, che
fortunatamente è pubblicato in rete dal sito del Monastero di Bose. Enzo
Bianchi è un grande italiano, un uomo di straordinaria intelligenza e di
straordinaria cultura, doti che gli consentono di illuminare persino il percorso
di chi non ha il dono della fede.
Anche in questa intervista sa dire parole rare e preziose.
Chiudiamo con la musica, alla quale, forse, dedicherò ancora
più spazio in futuro, così da mantenere vivo il rapporto con voi tre non più
con i miei commenti politici (scusate la presunzione) o con i miei suggerimenti
per letture giornalistiche.
E procediamo con l’ascolto di un brano in diverse versioni.
Si tratta di un classico del jazz, It Never Entered my Mind, a buon diritto uno standard di prima grandezza,
tanto da essere interpretato da una vasto schiera di artisti. La prima
esecuzione, nell’ambito del musical per il quale fu scritto, avvenne nel 1940 (http://en.wikipedia.org/wiki/It_Never_Entered_My_Mind).
Il testo lo potete trovare qui: http://www.stlyrics.com/songs/e/ellafitzgerald1351/itneverenteredmymind862036.html.
E proprio dalla versione del 1956 di Ella Fitzgerald prendiamo avvio.
Passiamo poi a due maestri del sassofono tenore: Ben Webster
e Coleman Hawkins, affiancati da altri grandi come Oscar Peterson e Ray Brown.
La registrazione risale al 1957.
Per la terza versione ci affidiamo a un’altra grandissima
voce femminile, quella di Sarah Vaughan, da un album registrato nel 1958.
E per oggi ci fermiamo qui, ma nei prossimi giorni vi
proporrò altre versioni.
Parlare del tizio decrepito? Vorrei evitarlo. Non ne posso
più di lui, dei suoi nemici, dei suoi fidi lacchè e di tutto il frastuono
attorno alle sue vicende, un rumore che serve soprattutto per nascondere quello
che il tizio decrepito, i suoi nemici e i suoi fidi lacchè producono continuando
a ingozzarsi. Non parlerò del tizio decrepito. Mi limiterò a segnalarvi qualche
commento sulla decadenza da senatore, in maniera del tutto casuale, senza dare
giudizi e senza indicare le mie eventuali preferenze, che, comunque, voi tre
saprete sicuramente individuare.
Fine. I tanti altri articoli, su quotidiani italiani e
stranieri, potete andare a leggerli per vostro conto. Adesso vorrei parlare
d’altro. Parliamo della nostra classe politica e dei costi che essa impone ai
cittadini, argomento non nuovo da queste parti, ma non possiamo cedere alla
stanchezza. Non ho fiducia che si possa cambiare uno stato di cose
intollerabile, però non dubito che la sola strada disponibile sia quella di
insistere nel parlarne, di mantenere viva l’attenzione e la critica, di far
sentire quotidianamente quanto siamo indignati. Alternative rispettose della
legalità non ne vedo, purtroppo… Stampa e sistema giudiziario sono le nostre
sole armi democratiche. E’ importante che avvertano in consenso e il sostegno
degli italiani.
Non c’è un particolare fatto di attualità che m’induce a
tornare sull’argomento. Lo stimolo a parlarne ancora una volta viene dal lavoro
encomiabile di Roberto Perotti sul sito LaVoce.info, che ospita gli articoli in
cui l’economista analizza i conti delle istituzioni pubbliche italiane. Questo
è il link generale, da dove potrete accedere ai vari pezzi: http://www.lavoce.info/category/rubriche/speciale/.
Buona stampa. Leggete tutto. Per chi non avesse tempo, come
già ha fatto Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, trascriverò un paio di frasi
di Perotti che la dicono lunga sul tipo di problema che noi cittadini abbiamo
di fronte e sulle difficoltà che dovremo superare per riuscire a risolverlo: E’ interessante notare che in Lazio il
CORECOCO (il Comitato Regionale per il Controllo Contabile, presieduto dalla
consigliera 5 Stelle Valentina Corrado), da me contattato innumerevoli volte
dall’ inizio di settembre fino a metà novembre, non è stato in grado di
fornirmi i dati sulla spesa per il personale del consiglio regionale, né alcuna
informazione utile su come e dove ottenerli. Tentativi con altri uffici finora
non hanno avuto successo. Semplicemente, la regione Lazio non sa quanto spende
per i dipendenti del Consiglio Regionale, e soprattutto sembra non essersi mai
posta il problema.
Cos’altro potrei aggiungere? Niente, ovviamente. Potrei,
però, suggerire la lettura di un breve articolo di Ernesto Galli della Loggia
pubblicato oggi su Style, mensile del Corriere della Sera. Non è reperibile on
line, ma siccome mi piace, faccio lavorare lo scanner:
Anche del suo pezzo merita evidenziare un passaggio: E’ fatta di questa miseria sociale, ormai,
la classe politica italiana che preme dalle retrovie locali: ma provarne una
profonda pietà sul piano culturale può esimere dalla necessità di ricacciarla
indietro da dove è venuta?
Potrei fermarmi qui, vorrei, ma non posso… Premetto che lo
squallore indecente di questa classe politica è distribuito equamente nei vari
schieramenti, inclusi quelli che si vantano di essere migliori degli altri, tuttavia non
riesco a togliermi dalla testa che gli atteggiamenti e le scelte del tizio
decrepito abbiano dato un contributo fondamentale al deterioramento del livello
di moralità del paese. Ecco, l’ho scritto e mi sono rimangiato l'impegno a non occuparmi di lui… Anche la mia parola non vale granché…
A parte un po’ d’impegni e, per fortuna, anche un week-end
nelle Langhe da ricordare (per la compagnia, i cibi e le bevande…), a tenermi
lontano dalla tastiera è soprattutto il crescente senso d’inutilità e d’insofferenza
che suscita in me l’idea di mettermi davanti al computer per provare a
scrivere.
La situazione italiana non mostra alcun segno di
miglioramento, checché ne dica il Presidente del Consiglio. E comincio a
pensare che il Presidente della Repubblica dovrebbe fare sentire la propria
voce con assai maggior vigore di quanto non abbia fatto finora per cercare di
smuovere la melma che avvolge i palazzi della politica.
Resto addirittura sbigottito nel leggere, giorno dopo
giorno, articoli ed editoriali che mettono in evidenza la drammaticità della
situazione e la distanza siderale tra la natura e la dimensioni dei problemi
italiani e la comprensione e la volontà di risolverli che mostrano i politici,
di tutti gli schieramenti e di tutti i livelli, e i massimi esponenti della burocrazia pubblica.
Buona stampa. Se ci fosse un po’ di dignità dalle parti dei
leader dei partiti… Lasciamo perdere.
Spostiamo lo sguardo sulla Pubblica Amministrazione, alla
quale non par vero di poter scambiare favori con la classe politica così da
accelerare la demolizione del Paese.
Un rapporto dell’Ocse ha messo in evidenza la sproporzione
esistente tra le retribuzioni dei dirigenti pubblici italiani e quelli degli
altri principali paesi aderenti all’organizzazione.
Cronaca. Risibile la difesa del Ministero della Funzione
Pubblica: la norma che limita le retribuzioni pubbliche è stata ed è tuttora
largamente disattesa. Gran parte delle promesse di risparmio su questo fronte
sono rimaste tali.
Buona stampa. E conferma (agghiacciante vi pare troppo?)
della totale indisponibilità degli Organi e dei dipendenti dello Stato di
affrontare il nodo del loro costo spropositato.
Veniamo a un grande musicista, di cui fra qualche giorno
ricorrerà il primo anniversario della morte. Si tratta di Dave Brubeck, uno dei
grandi pianisti del jazz, di cui vi propongo Three to Get Ready, tratto da Time
Out, uno dei suoi album migliori. Un pezzo ricco di ritmo, allegro, direi
addirittura scanzonato. Niente di meglio per questa giornata grigia, non solo
per la pioggia…
Manca una manciata di minuti alla riunione in cui, secondo
le anticipazioni dei quotidiani, il tizio decrepito intende riappropriarsi del
partito che presiede (io non mi ero reso conto che glielo avessero sottratto) e
con, ogni probabilità, sancire la fine dell’esperienza di governo inauguratasi
appena qualche mese fa.
La mia convinzione è che, così procedendo, il tizio
decrepito sancirà, nel modo più ignominioso, la conclusione del ventennio in
cui è stato al centro della politica italiana. Sia chiaro, non lo do certo per
morto e neppure per moribondo, lo avremo tra i piedi ancora per qualche tempo,
ma il suo seguito difficilmente raggiungerà i livelli toccati negli anni dei
suoi grandi successi elettorali.
Le ragioni che lo inducono a “riprendersi” il partito e a
ribattezzarlo con il nome di quello fondato all’inizio della sua “carriera”
politica sono, con tutta evidenza, lontanissime dai problemi dei cittadini
italiani e tutte incentrate sulle sue vicende giudiziarie e sulla percezione
che lui ha della sua persona e del suo ruolo nel paese.
Questo giustifica la convinzione sopra espressa. Se
effettivamente la riunione del Pdl porterà alla rottura della maggioranza e al
tentativo disperato di arrivare in tempi brevi a nuove elezioni, questo
suggellerà un ventennio di promesse non mantenute, di magniloquenti programmi
mai usciti dal mondo dei sogni, di volgarità e macchiette che hanno gettato
discredito sul paese e sulle sue istituzioni (in molte delle quali, grazie al
tizio decrepito e al suo modo di intendere e usare la politica, hanno trovato
posto personaggi che definire inadeguati e impresentabili è eufemistico).
La smisurata e patologica considerazione di sé, infine,
spinge il tizio decrepito a riaffermare il suo presunto potere sulla schiera di
lacchè di cui si è circondato per anni, preoccupato non già di risolvere i
problemi italiani, ma di sentirsi dare ragione e di essere venerato dai
“fedelissimi” servitori e, più ancora, di “riformare la giustizia” così da
ridurre le inchieste che lo riguardavano e i rischi di condanna. E questo è
anche oggi il suo unico interesse.
Per chi, come me, ha sempre considerato un’impostura la
presenza in politica del tizio decrepito, questa lunga fine di commedia non è,
però, motivo di soddisfazione, al contrario. Lui uscirà di scena lentamente,
magari ottenendo ancora qualche successo elettorale, senz’altro oltraggiando la
grande maggioranza degli italiani con il suo volgare egocentrismo. E questo
allontanerà ancora, sempre che sia possibile, l’inizio di una risalita che, se
avverrà, sarà dolorosa e difficile.
Nell’ultima settimana, sul Corriere della Sera, sono apparsi
editoriali firmati da uomini di cultura e orientamento politico diversi, tutti preoccupati dalla nostra classe dirigente, nella quale non si vedono le
capacità e la moralità necessarie per allontanare il paese dalla situazione
drammatica in cui si dibatte.
Giornata politica piuttosto convulsa. Mi guardo bene dal
proporre interpretazioni, convinto di non essere neppure lontanamente in grado
di capire quello che succederà non già nei prossimi giorni, ma neppure nel
prossimo quarto d’ora.
Non parlerò del tizio decrepito, convinto che, presto o
tardi, sarà la Storia a fare Giustizia (quella vera, per l’appunto con la
maiuscola), con buona pace dei Pubblici Ministeri e dei Giudici, di Zanda e
della Bindi, della Santalacchè e di tutto il suo silicone.
Parlerò del tale che, per dedicarsi alla politica italiana,
sostiene di aver rinunciato al Premio Nobel per l’Economia. Che uomo! Oggi,
pochi minuti prima che il tizio decrepito pronunciasse il suo “discorso” al
Senato, il povero Brunetta, molto compito, senza neanche sventolare le manine,
spiegava che il Partito dei Lacchè aveva deciso “all’unanimità” di votare la
sfiducia al Governo presieduto da Letta. A quanto pare non si era accorto che
il tizio decrepito aveva votato contro.
Magari sbaglio, ma temo che il Premio Nobel si stia
allontanando da lui a grandi passi, ammesso che siano mai andati nella medesima
direzione…
Santanché: "Offro la mia testa".Pur di evitare la scissione interna Daniela
Santanché, consigliera privilegiata del Cavaliere, a un certo punto annuncia:
"Mi risulta che il segretario Alfano ha chiesto la mia testa come
condizione per mantenere l'unità del Pdl-Forza Italia - scrive in una nota -
Detto che ciò dimostra la strumentalità della protesta in corso da parte dei
nostri ministri dimissionari, non voglio offrire alibi a manovre oscure e
pericolose. Pertanto la mia testa la offro spontaneamente al segretario Alfano,
su un vassoio d'argento, perchè l'unica cosa che mi interessa per il bene dei
nostri elettori e dell'Italia è che su quel vassoio non ci finisca quella del
presidente Berlusconi". Parole che, semmai ne avessimo bisogno, dimostrano che Santalacchè, pardon
Santanchè, non ha certo offerto la sua parte più pregiata.
Ecco una preziosa lezione di giornalismo, grazie alla quale
sono riuscito a mantenere confinata la mia ira, che prosegue da mercoledì,
ampliata nella sera di sabato, da quando, insomma, ho letto delle brillanti
altruistiche ultime decisioni del tizio decrepito. Mentre lui, il tizio decrepito,
continua a sproloquiare senza vergogna, Bill Emmott, già direttore di The Economist (se ben ricordo, direttore
anche al tempo della famosa copertina in cui il settimanale affermava che il
tizio decrepito non era adatto a governare l’Italia, cui seguiva all'interno un articolo che si suggerisco di rileggere o leggere: http://www.economist.com/node/587107), pubblicava un editoriale
sul sito del Financial Times (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/e3bc9a98-29b9-11e3-9bc6-00144feab7de.html#axzz2gOvnVFsJ).
Buona stampa. Emmott, oltre a conoscere bene il nostro
paese, sa anche andare al di là della contingenza e indicare un percorso che,
purtroppo, difficilmente i nostri politici, di qualsiasi partito, si sogneranno
di imboccare. Il cambiamento, di cui abbiamo un disperato bisogno, è un
pericolo per tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra (per usare una
terminologia in voga qualche anno fa).
Buona stampa. E sottolineo un dettaglio, che avrei voluto
trovare in qualche editoriale italiano: l’atteggiamento del tizio decrepito è
definito come chutzpah, vocabolo di
origine Yiddish credo inteso, anche
in base al contesto, nel significato originario, non certo in quello più
recente assunto nella lingua inglese (http://en.wikipedia.org/wiki/Chutzpah).
Insolenza è una buona traduzione del termine e rende
perfettamente la situazione che stiamo vivendo. Il tizio decrepito è insolente ieri
come oggi come vent’anni fa: insulta i suoi concittadini propinando promesse e menzogne
senza sosta, con l’arroganza di chi usa il potere per obiettivi diversi da
quelli che indica. Un figuro che pretenderebbe di sottrarsi indefinitamente alle
conseguenze dei propri comportamenti, manipolando le persone e piegando ai
propri interessi le Istituzioni (si, uso ancora la maiuscola!).
Giusto perché uno di voi tre non possa pensare che trovo i
miei argomenti su Il Fatto Quotidiano, ecco, un esempio tra tanti, come descriveva il Financial Times
la vicenda del Senatore De Gregorio qualche mese fa:
Finisco tornando in Italia, suggerendovi di guardare queste
immagini sul sito del Corriere della Sera: http://www.corriere.it/politica/foto/09-2013/berlusconi/pdl-riunione/riunione-parlamentari-pdl-_41884126-29f7-11e3-ab32-51c2dea60815.shtml#1.
Immagini, appunto, fotografie, ma più efficaci di qualsiasi mia
parola. Il tizio decrepito, i suoi scherani e i suoi servi pensano a tutto
fuorché ai problemi e alle necessità degli italiani. Un autocompiacimento come
quello che traspare dai loro volti dice tutto sul modo in cui si confrontano
con la realtà. Se poi volete che vi dica cosa penso della chirurgia plastica,
sorriderò, che altro potrei fare di fronte alla patetica maschera incapace di
nascondere il vecchio…
Alessandro Manzoni, nel descrivere l’assalto al forno delle grucce…
L’ultimo post si chiudeva con queste parole, suggerite dalla
patetica vicenda delle dimissioni dei parlamentari del Pdl:
“Ecco,
vi ho annoiato con queste trascurabili storielle e, intanto, c’è qualcuno che
si preoccupa per le sue faccende personali e la servitù si adegua. E Letta
twitta e suona la campanella di Wall Street…”
Non mi cito per gratificare la mia vanità, ma per
ricordare quanto fosse già stato grave che il tizio decrepito imponesse ai
parlamentari del suo partito di consegnare le lettere di dimissioni ai
capigruppo, pretendendo da loro uno strumento per esercitare ulteriore
pressione sul Presidente della Repubblica e sul Presidente del Consiglio, dai
quali lui vorrebbe che cancellassero le conseguenze legali dei suoi
comportamenti.
E poi è arrivato sabato…
Per il momento non dico nulla di quel che penso riguardo
a quanto accaduto ieri. Mi limiterò a suggerirvi la lettura dei due editoriali
nei quali mi riconosco maggiormente tra quelli letti nei quotidiani di oggi.
Buona stampa. Per entrambi. La sola riserva è che, anche in
questa occasione, usano nei confronti del tizio decrepito un tono che ormai non
è più giustificato in alcun modo. Il tizio decrepito, con il sostegno dei suoi
più volgari scherani e dei suoi più viscidi servi (i nomi li conoscete
certamente), ha dimostrato che nulla gli interessa oltre la sua persona, che
non ha rispetto per nulla che non sia sé stesso e, forse, i suoi familiari. Non
gli dobbiamo, dunque, più nessun rispetto e mi piacerebbe che ne tenessero
conto anche Napoletano e Calabresi, sebbene il loro atteggiamento “morbido”
nasca da intenti strumentali che posso intuire e, in minima parte, arrivare a condividere.
Avevo in animo di parlare di Telecom Italia da qualche
settimana, perché il destino della società che possiede e gestisce la rete
telefonica fissa italiana era già abbastanza delineato da tempo, da quando
Assicurazioni Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo (quest’ultima meno
nettamente) avevano fatto sapere di non voler più restare nel patto di Telco e
di mirare alla cessione della propria quota. Detto altrimenti, avevano sfilato
le loro carte dal castello, per definizione fragile, su cui si reggeva il
controllo azionario di Telecom.
La storia recente di Telecom Italia è lunga e complessa. Non
mi azzardo certamente a ricostruirla io. Lo fanno molto meglio di me tanti
giornalisti dei maggiori quotidiani italiani. Visto che il tema, per l’appunto,
è di quelli pesanti, affido il fardello a un paio di voci.
Sul piano storico, io aggiungerei un paio di dettagli.
Il primo è che nel valutare le vicende di Telecom Italia, ma
anche in quelle di altre società quotate italiane, non si può dimenticare il
ruolo avuto da uno degli italiani giustamente più rispettati nel mondo: Mario
Draghi. Draghi dal 1991 al 2001 è stato Direttore Generale del Ministero del
Tesoro e dal 1993 al 2001 Presidente del Comitato Privatizzazioni del Ministero
stesso, quindi ha avuto un ruolo cruciale nelle vicende che hanno portato alla
cessione di una parte importante del patrimonio dello Stato. Ha anche firmato
la legge che ha apportato importanti modifiche al diritto delle società quotate
in Borsa (nota, appunto, come Legge Draghi), alcuni punti della quale sono
stati e sono tuttora controversi.
Non c’è un giudizio di valore in quanto precede, ma
soltanto, come ho detto, l’intento di aggiungere qualche utile dettaglio
storico e qualche spunto di riflessione.
Il secondo aspetto su cui vorrei attirare la vostra attenzione
è che, quando Colaninno, Gnutti e compagni lanciarono l’OPA su Telecom nel 1999, il Presidente del Consiglio era Massimo D’Alema e Stefano Fassina (attuale
Viceministro dell’Economia e delle Finanze) era al Dipartimento Affari
Economici della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo perché non si
dimentichi chi assistette senza interferire nella prima scalata che, caricando
Telecom Italia di debito, ha seminato la pianta di cui oggi cogliamo gli amari
frutti.
Ovviamente, D’Alema e Fassina si guardano bene dal
considerare criticamente il proprio operato. Si sa, da queste parti nessuno ha
mai colpa di nulla, tutto accade senza che i politici abbiano mai alcuna
responsabilità e, soprattutto, che siano chiamati a pagare per i loro errori.
Buona stampa. Migliore di qualsiasi mia ricostruzione.
Ovviamente, mi piace in particolare la conclusione.
Ecco, vi ho annoiato con queste trascurabili storielle e,
intanto, c’è qualcuno che si preoccupa per le sue faccende personali e la
servitù si adegua. E Letta twitta e suona la campanella di Wall Street…
Io la chiamo presa in giro. E uso quest’espressione un po’
datata e desueta (se ne adoperano di assai più esplicite, le conosco e, in
altre circostanze, me ne servo) per il solito impegno a non dare spazio nel
blog alla volgarità che viene così generosamente offerta dai mezzi di
comunicazione più frequentati.
Cronaca. Che concede un po’ troppo spazio alle solite
considerazioni a misura di Twitter con cui, ormai, i nostri politici alimentano
(o meglio: cercano di alimentare) la propria popolarità, a scapito dell’azione
e della qualità dell’azione. Detto altrimenti: si tratta delle solite
chiacchiere per strappare qualche istante di attenzione ai mezzi di
comunicazione, parole destinate a volar via leggere e inconcludenti, mentre i
problemi degli italiani restano lì irrisolti.
Poi mi ritrovo a leggere un articolo di Sergio Rizzo sul
Corriere di oggi, dedicato alla selva delle società controllate dagli enti
locali. Sfortunatamente non è reperibile on line, la nave e il tizio decrepito,
a quanto pare, hanno bisogno di spazio… Spero arrivi nei prossimi giorni, ve lo
segnalerò.
Ah, il povero Saccomanni… viene vituperato da quasi tutti
perché cerca di impedire che, per mantenere questa o quella promessa elettorale,
si aprano voragini nei conti pubblici e, nel frattempo, a Roma come a Napoli come a Trento come in
qualunque regione, provincia e comune d’Italia si buttano montagne di denaro.
L’IVA non si deve aumentare, ma il magnamagna deve continuare.
Buona stampa. Anche questo pezzo, temo, rimarrà inascoltato,
come qualsiasi richiamo alla difesa della legalità. Ormai politica e pubblica
amministrazione hanno, perdonate l’espressione, calato le braghe. Chiunque lo
può verificare girando per le nostre strade ogni giorno: non esistono controlli
adeguati, si può compiere qualsiasi infrazione, dalla più trascurabile alla più
grave, con la certezza di farla quasi certamente franca. E non trascuriamo
quanto contribuisca ad alimentare la propensione all’illegalità diffusa
l’atteggiamento di totale spregio della legge da parte di innumerevoli membri
della classe politica, anche tra quelli considerati “più rispettabili”
(virgolette obbligatorie, il comparativo, infatti, non significa gran che).
Cronaca. Di quella che, come mi tocca dire spesso, fa
prudere le mani. Solo due annotazioni, giusto per proteggere le mie e le vostre
cellule epatiche. Prima: la riconferma di Mussari alla presidenza dell’ABI
avvenne quando già il dissesto del Monte dei Paschi era ben noto (e in un paese
normale di riconferma non si sarebbe neppure parlato) e Amato non poteva non
saperlo. Seconda considerazione, che è piuttosto una domanda: cosa ci
scommettiamo che Amato diventerà, prima o poi, Presidente della Corte
Costituzionale (e anche questo, in un paese normale, difficilmente accadrebbe)?
E, adesso, facciamo un salto indietro di qualche giorno. Sul
tema della legalità e dell’importanza che riveste il suo rispetto da parte di
chi guida una nazione, Claudio Magris aveva scritto un articolo apparso il 9
settembre sul Corriere. Un pezzo che merita assolutamente di essere letto e
stampato e conservato per trasmetterlo ai posteri (se uno ha già dei posteri o progetta di averne): http://www.corriere.it/opinioni/13_settembre_09/magris-storia-cannone-parla-anche-noi_697bdb16-192b-11e3-965e-2853ac612ccd.shtml.
Oggi, ne sono veramente felice, posso raccontarvi una bella
storia, qualcosa che, non penso di sbagliare, è motivo di conforto per tutti
noi.
Voi tre non ci crederete, ma è successo che un
amministratore locale, il responsabile del settore agricolo di un’importante
regione, sia stato licenziato per aver fatto acquistare,
a spese dei contribuenti, un’auto estremamente lussuosa che, per dimensioni,
consumi, finiture esagerate, mal si conciliava, tra l’altro, con le convinzioni
ecologiste dell’assessore in questione.
Era ora, non vi pare? Noi stringiamo la cinghia e questi
spendono e spandono a carico nostro. Per fortuna si stanno mettendo in riga.
Bene. Direi che dobbiamo essere grati al suo superiore diretto che l’ha
costretto alle dimissioni. Chi sarà stato? Cota, Governatore del Piemonte? No,
lui non governa con gli ecologisti, si preoccupa (e ne ha motivo) di un verde
diverso. Che sia Nichi Vendola, alla guida della Regione Puglia, uno che delle
convenzioni se ne frega, ma è ben attento al potere e a tutto quel che serve per
raggiungerlo e mantenerlo? Acqua! Acqua profonda!
Cosa dite? Mi domandate se sono sicuro che sia accaduto qui,
in Italia?
Buona stampa. Mattia Feltri, diversamente da Vittorio Feltri
(suo padre), non nutre molta simpatia per il tizio decrepito (andate a leggere
gli altri suoi pezzi e mi darete ragione), ma non è per questo (o non solo per
questo, lo ammetto) che ve ne ho suggerito la lettura. L’ho fatto perché apprezzo
molto lo spazio che La Stampa offre a Gramellini, Jena e Feltri (Mattia), le
cui rubriche ci aiutano a sorridere o, quantomeno, a riportare
verso l’alto le pieghe delle labbra. E ripenso con nostalgia a Controcorrente, lo spazio de Il Giornale (quello di Indro Montanelli). Era un piacere (quasi) quotidiano. Quasi perché non sempre risultava all'altezza delle aspettative. Ma si sa, sono le aspettative a essere esagerate.
Non quando si parla di musica. In particolare quando si parla di grandi voci e di grandi brani. Questa sera torniamo alla "tradizione" di questo blog, ossia alle versioni multiple di pezzi particolarmente importanti nella storia della musica. La canzone che vi propongo è Little Girl Blue, come molti standard tratta da un musical (http://en.wikipedia.org/wiki/Little_Girl_Blue_%28song%29).
E andiamo a razzo, senza commenti, o quasi. Cominciamo con Janis Joplin.
Passiamo a Chet Baker: guardate le immagini di questo straordinario video dedicato a un gigante della musica, così meravigliosamente fragile, e godetevi il piano di Enrico Pieranunzi.
E poi a Nina Simone, dal vivo a Montreux nel 1976.
Mi fermo qui, perché Nina Simone è semplicemente stupenda. Potete riascoltarla, o se preferite, continuare voi la ricerca su YouTube, troverete tante altre esecuzioni degne di ascolto.