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martedì 26 aprile 2016

Una soluzione che non risolve?

La nascita del Fondo Atlante, che molti salutano come potenziale risolutore dei problemi del sistema bancario italiano, a me sembra confermare quel che ho sostenuto in precedenti post, ossia che il governo guidato da Renzi ha trattato la questione dei crediti bancari in sofferenza con leggerezza, sprecando tempo nel percorrere strade senza sbocco, insistendo con ostinazione degna di miglior causa nel cercare un’approvazione impossibile da parte dell’Ue.

martedì 31 marzo 2015

Passare alla cassa


Alla fine, forse, i conti riusciremo anche a metterli a posto e ce la faremo a ridare fiato alla nostra economia, ma non ce la faremo a tenere la testa fuori dalla massa melmosa del ridicolo che da anni inonda il Paese grazie alla classe politica e ai burocrati.
Ieri, sul Corriere della Sera, Erika Dellacasa descriveva la situazione paradossale che si è creata in Liguria a seguito dello slittamento delle elezioni regionali: http://archiviostorico.corriere.it/2015/marzo/30/Liguria_consiglieri_casa_stipendio_resta_co_0_20150330_e36ce592-d69d-11e4-878a-89aec9a80d2b.shtml.
Buona stampa. La tentazione sarebbe di non commentare, così da preservare le coronarie, ma non si può non dir nulla di fronte a una simile enormità. Se il consiglio regionale è decaduto e la giunta non può più operare, allora non capisco perché dobbiamo pagare chi ne fa parte. Non c’è nessuna logica. Se, come sostengono i saggi (si fa molto per dire) burocrati regionali, i due principali organi politici regionali non possono svolgere i propri compiti perché è come se non esistessero più, allora non esistono neppure i presupposti per i generosi stipendi dei componenti degli organi stessi. Che poi non uno, non uno soltanto di questi signori e signore, abbia sentito il dovere di rinunciare a un emolumento non meritato non stupisce. Come dimenticare l’inchiesta sui rimborsi ai consiglieri regionali liguri?
Cambiamo argomento. Ritorniamo sulla complessa operazione finanziaria che consentirà al gruppo cinese ChemChina di acquisire il controllo della Pirelli. Salvatore Bragantini, uno dei commentatori che preferisco in materia finanziaria e industriale, ha scritto un articolo apparso ieri sull’inserto del Corriere della Sera dedicato all’economia. Il pezzo non è disponibile sul sito, quindi l’ho acquisito con lo scanner.


Buona stampa. Riprendo alcune osservazioni di Bragantini: “Il tema vero non è l’italianità, ma un altro; nell’interesse di chi è governata l’impresa, dell’impresa stessa, o dei suoi controllanti? Grava sulle nostre aziende un handicap pesante: i gruppi di controllo fanno di tutto per mantenerlo, ma nel contempo vogliono la diversificazione del portafoglio, che nella maggior parte dei casi quel portafoglio ha svuotato. Non è stanca litania ricordarlo: ne soffre l’impresa, ne beneficiano i controllanti”.
Bragantini ha ragione e sottolinea una propensione purtroppo abbastanza diffusa tra gli imprenditori italiani, soprattutto quelli di maggiori dimensioni, negli anni dello sventurato processo di privatizzazione della fine del secolo scorso. La ricerca di nuove attività in mercati protetti, che garantivano rendite sicure, ha spinto molti grossi nomi a trascurare la propria impresa originaria, sottraendole risorse finanziarie e manageriali. Pensiamo allo sperpero di risorse delle successive scalate di Telecom e al bagaglio di debiti che hanno lasciato in carico alla società. Ci sono, poi, i casi di famiglie proprietarie di aziende che semplicemente hanno passato la mano, accogliendo con entusiasmo le offerte di acquisto arrivate prevalentemente dall’estero: Loro Piana, Bulgari, Safilo, Valentino, Ducati i primi nomi che mi vengono in mente. Tutte aziende leader nei propri settori, aziende che, in qualche caso, avrebbero potuto assumere il ruolo di predatori, ma la proprietà ha preferito quello più facile e più remunerativo della preda.
Accanto a questi casi, che comportano, secondo me, una valutazione complessivamente negativa, ne esistono per fortuna altri che dimostrano l’elevato dinamismo di tanti imprenditori italiani. L’argomento trova spazio sulla stampa in questi giorni, com’è naturale dopo l’operazione Pirelli. Vi segnalo due pezzi, uno dal Corriere (http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/affari-non-solo-usa-brasile-l-italia-vince-contropiede-055de042-d780-11e4-82ff-02a5d56630ca.shtml) e uno dal Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-31/la-crisi-non-ferma-predatori-italiani-074416.shtml?uuid=ABfgH7HD&fromSearch).
Buona stampa. Se Tronchetti Provera si lamenta dei lacci e lacciuoli, vien da chiedersi cos’abbiano in testa i suoi colleghi di Campari o di Luxottica? Per loro lacci e lacciuoli non ci sono? Io una risposta ce l’ho: sono due modi diversi di intendere il ruolo dell’impresa e quello dell’imprenditore, oltre che il senso di responsabilità a esso associato.
Con questo non voglio negare il ruolo dello Stato e nascondere l’effetto disincentivante, ad esempio, dell’ipertrofia legislativa, della corruzione e dell’inefficienza del sistema giudiziario, ma osservo che c’è chi affronta i problemi e li risolve. E chi preferisce passare alla cassa.
Chiudiamo ricordando un paio di anniversari. Il primo riguarda la Tour Eiffel, che, come segnala sul suo profilo Facebook il mio amico Dario Marenesi (https://www.facebook.com/dario.marenesi?fref=nf), veniva aperta il 31 marzo 1889.
Il secondo consente anche di continuare la nostra battaglia, perché in questi giorni cade il cinquantenario della pubblicazione di uno storico album di Herbie Hancock, Maiden Voyage (http://en.wikipedia.org/wiki/Maiden_Voyage_%28Herbie_Hancock_album%29). Si tratta di una vera pietra miliare del jazz, realizzata con il gruppo di formidabili strumentisti elencati su Wikipedia, allora ci concediamo un paio di ascolti.
Il primo brano è quello che da il titolo all'album.


Il secondo pezzo è Dolphin Dance. E mi fermo qui, anche se vorrei davvero continuare.


martedì 31 dicembre 2013

Dalla A alla Z


Come un qualsiasi esponente della classe dirigente italiana mi rimangio quel che ho detto e torno a occuparmi di politica. Beh… non sono proprio come quelli che ci guidano (ci guidano?).
In effetti mi limito a suggerirvi caldamente la lettura dell’articolo di Milena Gabanelli sul Corriere di oggi: http://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/tutto-quello-che-non-ha-fatto-politica-noi-faremo/df04e168-71ad-11e3-acd7-0679397fd92a.shtml.
Buona stampa. Anzi di più. Come spiega il titolo di questo post, ne condivido anche la punteggiatura. E sono forse anche un po’ innamorato di lei. Scherzi a parte, la considero una dei migliori giornalisti italiani (uomini e donne) e una vera risorsa per il paese.
Dopo aver letto un articolo come quello di Gabanelli, voi tre starete già immaginando che chiuda cedendo al mio irrimediabile pessimismo. E invece, molto a fatica lo riconosco, provo a dare a voi, e prima ancora a me stesso, una spinta non già all’ottimismo (come potrei?), ma alla combattività. Una bella canzone malinconica che invita a non arrendersi. Si tratta di Don’t give up, che Peter Gabriel ha scritto e interpretato per la prima volta con Kate Bush (http://en.wikipedia.org/wiki/Don%27t_Give_Up_%28Peter_Gabriel_and_Kate_Bush_song%29). Le parole le potete trovare qui: http://www.azlyrics.com/lyrics/petergabriel/dontgiveup.html.


Come molti brani belli e di successo, anche questo è stato interpretato da altri artisti. Io l’ho riscoperto nell’esecuzione di Pink e John Legend nell’album The Imagine Project di Herbie Hancock (http://en.wikipedia.org/wiki/The_Imagine_Project), che mi sembra giusto proporvi.


Auguri.

lunedì 22 ottobre 2012

Brain storming


Credo siamo d’accordo sul fatto che nei maggiori partiti italiani, ma anche in quelli meno grandi, regni una rimarchevole confusione. Questo, se non gettasse pesanti ombre sul futuro dell’Italia, potrebbe anche far sorridere per le assurdità prodotte giornalmente dai dissidi interni tra esponenti anche di notevole importanza (è tutto relativo, ovviamente, e non serve far nomi, ma, come si dice: in terra caecorum monoculus rex. Questo abbiamo e questo, almeno sino alle prossime elezioni, ci dobbiamo tenere).
Ammetto, sono di parte, ma mi pare che il disordine sia più accentuato e più grave nel centrodestra, nel quale volano stracci da quel dì (quello del famoso ”che fai, mi cacci?” detto dal parente degli immobiliaristi monegaschi).
Ammetto, inoltre, di essere ancor più di parte nel sostenere che tale stato di cose è dovuto soprattutto al modo di agire di Berlusconi, da sempre preoccupato da vicende che, con l’interesse nazionale e collettivo, avevano e hanno poco a che fare. Non mi addentro su questo tema: è una mia personale opinione. Osservo, e su questo credo che difficilmente posso essere contraddetto, che per Berlusconi l’apparenza conta più di qualsiasi altra cosa. Lo dice, sia pure nel suo modo piuttosto obliquo e in un articolo particolarmente contorto, persino Giuliano Ferrara su Il Giornale (di famiglia): http://www.ilgiornale.it/news/interni/quei-saggi-anziani-pronti-farsi-parte-848847.html.
Stampa così e così. Se si vuol forzare la realtà per farla aderire alle proprie convinzioni, inevitabilmente, si finisce incartati anche quando si è intelligenti e colti (molto intelligenti e molto colti) come Ferrara.
Che anche dalla parte del Pd debbano arieggiare le stanze non si discute e, purtroppo, con il passare dei giorni a sinistra vengono fuori le contraddizioni di un partito che non ha saputo liberarsi di troppi fantasmi del passato e di troppi signori che hanno di sé un’opinione assai alta. Troppo alta.
Torniamo al Pdl il cui futuro sembra non affidato alle mani di Alfano quanto piuttosto al team di cervelli che Berlusconi ha chiamato attorno a sé per decidere come muoversi. Un team che, a quanto pare, è composto prevalentemente di donne, tutte note per i loro eccellenti curriculum di studio (anche se non sempre attendibili) e le cattedre conquistate nei migliori atenei del mondo.
Il Corriere della Sera dedica un occhio di riguardo al difficile processo di rinnovamento in atto nel centrodestra e a questo susseguirsi di brain storming al più alto livello intellettuale e culturale planetario. A farlo è, in particolare, Fabrizio Roncone, il quale, in rapida successione, ha raccolto il meglio del pensiero di due delle consigliere più ascoltate di Berlusconi. Merita che leggiate entrambe le interviste: ve le propongo in ordine cronologico e anticipo che sono a Mariarosaria Rossi e Micaela Biancofiore. Ecco il link: http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_21/per-il-cavaliere-pdl-non-finito-bunga-bunga-diciamo-squit-squit-roncone_3a3d717c-1b4b-11e2-9e30-c7f8ca4c8ace.shtml e
Buona stampa. Roncone, quando non ha di fronte la Santanchè, si ricorda chi è. Le due intervistate, invece, forse dovrebbero parlarsi, di tanto in tanto… Un’osservazione personale sulla Biancofiore. Mi è capitato di vederla qualche giorno fa a Otto e mezzo: aveva appoggiato sul tavolo un tablet. E mi sono chiesto a che accidente (avrei voluto scrivere ben altro!) le servisse: la sola risposta che sono riuscito a darmi è che, nella nostra epoca tecnologica, i pupari non si servono dei fili, ma di internet…
Torniamo a bomba: chiunque vinca nel centrosinistra avrà vita facile se Berlusconi si affida a consigliere di simile caratura. Il che, però, non vorrà dire che gli italiani voteranno per Renzi o Bersani o, quasi peggio che peggio, per Vendola… Questi signori non possono illudersi di convincere a votarli la maggioranza imponente di elettori intenzionati, in vario modo, ad astenersi.
Meglio che mi fermi qui, prima di arrivare a parlare di un’ipotesi che mi rifiuto di considerare. E consoliamoci con il miglior farmaco per lo spirito.
Joni Mitchell fa parte del nocciolo duro. Insieme a pochi altri è una passione destinata a seguirmi per sempre. Si tratta di un’artista eccezionale, che ha percorso con immensa curiosità e straordinario amore la musica degli ultimi, fatico a scriverlo, cinquant’anni.
Stasera sono in vena di esagerare e di ripetere il giochino delle molteplici versioni. Il brano è River, tratto dall’album Blue, quello in cui comincia il graduale avvicinamento alla musica jazz, un processo che, a mio modesto parere, ha permesso a Joni Mitchell di esprimere interamente il suo valore.
Ve ne propongo tre versioni.
Cominciamo con l’originale di Joni.


Segue poi quella tratta dal disco che Herbie Hancock le ha dedicato (e che s’intitola come la canzone: River: the Joni Letters) cantata da Corinne Bailey Rae e con il sax di Wayne Shorter.


Per finire quella di Madeleine Peyroux e k.d. lang.


Penso che mi sarete più grati per questa splendida musica che per le righe, forse troppe, che precedono…