La scelta del titolo oggi non è stata immediata. Ero incerto tra “Smentite e conferme” e quello che vedete: poche parole in tedesco (lingua che ignoro pressoché totalmente) con le quali, ieri, avevo accompagnato su Facebook la condivisione di questo video della BBC: http://www.bbc.com/news/world-europe-34162844.
Quello che succede in Italia e nel mondo, come ne parla la stampa e quel che ne penso io. Con attenzione per politica, economia e finanza.
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domenica 6 settembre 2015
Ich bin ein Münchner
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martedì 18 agosto 2015
Da che pulpito
Prendiamo avvio da un articolo di Piero Ostellino, pubblicato oggi da Il Giornale: http://www.ilgiornale.it/news/politica/papa-predica-mondo-che-non-c-1160729.html.
Mala stampa. Ostellino è stato un ottimo corrispondente del Corriere della Sera da Mosca e da Pechino, poi, da editorialista (al Corriere, di cui è stato anche direttore, e, da qualche mese, al quotidiano della famiglia Berlusconi), la sua autorevolezza mi sembra si sia pian piano dissolta, fagocitata dalla volontà di accreditarsi come unico vero esegeta del pensiero liberale in Italia e dalla propensione alla polemica, non di rado gratuita. Così è per l’articolo di oggi, nel quale ripete varie volte che la politica risponde all’etica della responsabilità e, sulla base di questo assunto, nega validità all’approccio che il Papa suggerisce per la questione dei migranti.
Come i politici che vuole difendere, Ostellino non sa offrire nulla di concreto, ma solo la sua personale (e piuttosto fuorviante) interpretazione del pensiero di Max Weber, invocato per sostenere che gli argomenti del Pontefice nulla hanno a che vedere con quel che fanno o che dicono i politici di governo e di opposizione e per ridurre la questione esclusivamente a materia di finanza pubblica, come se non vi fossero altri aspetti cruciali nel quotidiano arrivo di migranti, anche estremamente pratici e urgenti (e dei quali ho parlato anche troppo).
Tra l’altro, Ostellino impartisce questa lezioncina dalle pagine de Il Giornale, che appartiene alla famiglia di un signore il quale, nella sua esperienza come uomo politico, si è dimostrato abbastanza poco pratico di etica della responsabilità e che certo non ha, con i propri atteggiamenti e con provvedimenti dei suoi governi, rallentato il declino del senso di legalità nel Paese. Mi fermo qui su Ostellino, ma restiamo, almeno parzialmente, in tema di critiche alle posizioni ecclesiastiche.
Su Il Sole 24 Ore di sabato, in un articolo abbastanza lungo, Luca Ricolfi aveva valutato negativamente la posizione della Chiesa che si preoccupa dell’accoglienza dei migranti, ma sembra dimenticarsi del fatto che a causare il fenomeno sono i governi delle nazioni, sempre più numerose, da cui fuggono le migliaia di persone che cercano accoglienza in Europa e altrove.
Quella di Ricolfi, a mio parere, è una contestazione assai più fondata di quelle di Ostellino e, soprattutto, si inserisce nell’analisi di un tema di grande interesse, quello della propensione a traslare su altri le nostre responsabilità. Ecco il collegamento al suo articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-08-15/lo-spostamento-responsabilita-093706.shtml?uuid=ACw04Ai.
Buona stampa. Chi di voi tre mi segue da un po’ di tempo può immaginare la soddisfazione che ho provato nel leggere il pezzo di Ricolfi. Ne riprendo un periodo che precede la conclusione: “E' questo, talora, l'esito non previsto delle grandi campagne “pedagogiche”, in cui l'élite al potere prova ad educare la massa, giudicata rozza, incolta e bisognosa di essere illuminata. Così come gli eccessi del politicamente corretto, portati oltre una certa soglia, possono sortire una reazione uguale e contraria (vedi, in questi giorni, il successo dello scorrettissimo Donald Trump negli Stati Uniti)…”
Parole che condivido senza riserve e che dovrebbero essere mandate a memoria non soltanto dai politici (che un po’ ovunque nel mondo sembrano volersi occupare di ogni aspetto della vita dei cittadini, anche oltre i limiti del lecito), ma anche dai giornalisti, non solo italiani.
Sempre sabato, sul suo blog, Roberto Plaja ha considerato il caso di Donald Trump e la possibile decisione di escluderlo dai prossimi confronti televisivi tra i candidati repubblicani alle elezioni presidenziali del 2016. E’ un prezioso piccolo saggio sulla logica che dovrebbe guidare le scelte dei mezzi di comunicazione in casi simili: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/08/15/the-problem-with-trump/. Come di consueto, Roberto affronta il problema in modo semplice e diretto: un ottimo lavoro. Già che visitate il suo blog per il pezzo su Trump, date un occhiata anche a questo, pubblicato ieri: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/08/16/cracks-on-the-dam/. Roberto torna a occuparsi della sua materia di elezione, la finanza, e lo fa offrendoci utili spunti di riflessione sulla situazione assai complessa che si sta determinando sui mercati.
Passiamo alla musica. Come primo pezzo, ecco un classico del jazz, Body and Soul, nell’esecuzione di Donald Byrd e Kenny Burrell.
Il secondo ascolto è sempre un brano di jazz, eseguito da Ellis Marsalis (https://en.wikipedia.org/wiki/Ellis_Marsalis,_Jr.), padre di Wynton e Brandford. Il brano che vi propongo si intitola Never Let Me Go.
lunedì 15 settembre 2014
Si cambiasse verso...
Come ho già detto, i commentatori più autorevoli hanno
smesso di guardare a Renzi con la benevolenza adatta ai primi mesi di governo e
hanno cominciato a battere con decisione sui (purtroppo non pochi) elementi di
debolezza dell’azione del Presidente del Consiglio, il principale dei quali,
ovviamente, è l’aver promesso tanto e mantenuto quasi nulla.
Oggi, sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia
invita Matteo Renzi a un’operazione che, personalmente, credo lui si guarderà
bene dal porre in essere: dire chiaramente chi si oppone alle riforme che il
Presidente del Consiglio sarebbe intenzionato realizzare.
Ecco il collegamento all’editoriale di Galli della Loggia: http://www.corriere.it/editoriali/14_settembre_15/ora-renzi-faccia-nomi-5f3ae19c-3c98-11e4-95e1-a222c06f54b6.shtml.
Buona stampa. Anche se, mi ripeto, credo destinata a restare
una predica nel deserto. Contrariamente a quel che sembra pensare Galli della
Loggia (o, più probabilmente, a quello che finge di pensare nella speranza di
ottenere ascolto), io sono persuaso che a Matteo Renzi non interessi affatto
un’operazione di verità, grazie alla quale vengano smascherati tutti quelli,
persone o organizzazioni, che frenerebbero la sua azione di governo. La
trasparenza non è tra i suoi obiettivi, anzi.
Renzi è parte di un sistema e si muove al suo interno
esattamente come hanno fatto i suoi predecessori. Non c’è nulla di nuovo nel
suo modo di agire, salvo lo spropositato ricorso a Twitter, strumento scelto
per accreditare l’immagine d’innovatore presso quella parte della pubblica
opinione che non va in profondità e, quindi, viene influenzata dalla
comunicazione frettolosa dei social
network, alla quale, colpevolmente, la stampa si adegua, prestandosi al
gioco, così da trasformare i famosi 140 caratteri in notizie, anche se non lo
sono affatto.
Quali siano le vere intenzioni di Renzi lo dimostra la
decisione di riportare in primo piano la legge elettorale concordata con il
tizio decrepito. L’intento è chiaro: avere disponibile lo strumento per forzare
la mano all’opposizione (quella più pericolosa ce l’ha in casa) e garantirsi
che, in caso di difficoltà, può ricorrere alle urne con buone probabilità di
uscirne vincitore. Niente di diverso da quello che avrebbe fatto un qualsiasi
tizio decrepito.
I sondaggi
dicono che gli italiani ancora credono a Renzi, quindi…
In realtà, i sondaggi dicono anche che agli italiani non
piacciono affatto alcuni dei principali ministri e che sono insoddisfatti di
quanto (si fa per dire) attuato finora dal governo.
Renzi, intanto twitta o, parlando durante l’inaugurazione
della Fiera del Levante a Bari, annuncia che l’Italia non è ripartita, come se
fosse un evento sorprendente e, soprattutto, come se avessimo bisogno che ce lo
dicesse lui… E poche ore prima, piccato, replica a Katajnen sostenendo che
l’Italia non ha bisogno di lezioni. Affermazione piuttosto audace, alla quale
si era sentito in dovere di replicare persino Sergio Romano, il cui editoriale
sul Corriere della Sera di ieri metteva in evidenza come sia molto improbabile
che i nostri partner europei siano disposti concederci (ancora una volta)
fiducia senza impegni certi. L’articolo di Romano lo trovate qui: http://www.corriere.it/editoriali/14_settembre_14/sospetto-ricorrente-ab89d260-3bd5-11e4-b554-0ec832dbb435.shtml.
Stampa così e così. Romano si muove sull’onda con la
consueta prudenza, fedele fino alla morte all’insegnamento di Jaques de La
Palice. Tra l’altro, quando scrive le seguenti parole: “Ogni riforma, da quella del lavoro a quella della giustizia, trova
sulla sua strada un partito della contro-riforma, composto da corporazioni che
difendono i loro privilegi chiamandoli ampollosamente «diritti acquisiti»”,
suscita una discreta irritazione, dal momento che lui appartiene a una delle
tante corporazioni di cui parla. Sarebbe apparso assai più credibile e
convincente se, ad esempio, avesse contestato quanto scritto dal suo
dirimpettaio del sabato, Piero Ostellino, alcune settimane fa (http://www.corriere.it/editoriali/14_agosto_19/contratto-tradito-165d3e46-275f-11e4-9bb1-eba6be273e09.shtml).
Ostellino, il quale si atteggia a maestro del liberalismo e del giornalismo
senza macchia e senza paura, scrive: “La previdenza è una sorta di contratto che
il lavoratore stipula con lo Stato, in base al quale, dietro il pagamento di
contributi durante gli anni lavorativi, il cittadino riceverà una pensione”.
Questo è certamente vero, ma lo è soltanto in parte, nel senso che esistono
lavoratori che, ricevendo una pensione basata sul cosiddetto “sistema
retributivo” percepiscono una pensione commisurata non già a quanto hanno
versato, ma alla dimensione del loro ultimo stipendio. Un sistema che è stato,
e tuttora è, all’origine del disavanzo dell’INPS, l’istituto previdenziale
nazionale, e che, per fortuna, è stato eliminato, preservando però i “diritti
acquisiti”, che, a questo punto, nelle condizioni in cui versa il bilancio
dello Stato, non dovrebbero più essere considerati intoccabili, al contrario.
Chissà come mai Ostellino, che credo sia in pensione avendo
superato gli ottanta anni, preferisce non affrontare il problema previdenziale
considerando tutti i lati della medaglia? Che sia perché non vuol correre il
rischio di vedersi decurtata la pensione?
E il bello che, oltre a impartire lezioni di liberismo,
Ostellino non manca mai di criticare i suoi colleghi perché non svolgerebbero
bene il proprio lavoro e sarebbero asserviti a qualche parte o a qualche
interesse.
Torniamo a Renzi. E alla sua polemica con Katajnen e, in
generale, con l’Europa. Le lezioni ce le meritiamo, soprattutto perché, grazie
all’ostinazione con cui ha voluto imporre la Mogherini, ora si trova di fronte
dei mastini che, comprensibilmente, non sono intenzionati a far sconti
all’Italia. Come osserva acutamente Alberto Quadrio Curzio in un editoriale sul
Sole 24 Ore di ieri: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2014-09-14/l-italia-non-tema-vigilanza--135643.shtml?uuid=ABESSetB.
Buona stampa. Illuminante su molti aspetti dei problemi che
l’Europa e l’Italia hanno di fronte.
Renzi farebbe bene a cambiare verso. A sé stesso.
E noi passiamo alla musica. Il primo brano è un pezzo "di confine", in cui il jazz s'incontra con la musica classica. Il titolo è Picnic Suite - VI movimento - Tendre e l'esecuzione dell'autore Claude Bolling (http://fr.wikipedia.org/wiki/Claude_Bolling).
Come secondo ascolto, sparo un calibro pesante: Bill Evans al piano con Sam Jones al
basso e Philly Joe Jones alla batteria in un brano bellissimo, Young and Foolish. Che dite, lo avrò
scelto per caso?
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venerdì 10 agosto 2012
Chi giudica chi?
Qualche mese fa, grazie anche alle considerazioni di Ernesto
Galli della Loggia, avevo espresso le mie perplessità sul fatto che il Governo
Monti possedesse la cultura necessaria per differenziare profondamente, com’era
e com’è necessario, il proprio operato da quello dei governi precedenti. E
avevo indicato, quale causa principale di questa mancanza di cultura, l’elevata
percentuale di membri provenienti dalla carriera nella pubblica
amministrazione.
Oggi, con una misura sconcertante e in linea con altre simili
di tanti governi degli anni scorsi, è arrivato l’aumento delle accise sui
carburanti, sia pure nominalmente temporaneo. I quotidiani, in versione on
line, danno la notizia con varia enfasi. Scelgo il Giornale, anche se mi sarei
aspettato una maggiore aggressività dai collaboratori del mitico Sallusti: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/carburanti-domani-scatta-aumento-accise-828920.html.
Cronaca.
Spero sinceramente che il Presidente del Consiglio decida di
tornare sui propri passi e induca l’Agenzia delle Dogane (ente competente) a
revocare la misura. Ne guadagnerebbero non soltanto le tasche di noi poveri
cittadini, già piuttosto provate, ma anche l’immagine di un governo che aveva
fatto nascere in molti di noi la speranza di un cambiamento marcato rispetto al
passato.
Passiamo a una polemica, nata e cresciuta sul Corriere della
Sera, che coinvolge argomenti di notevole rilievo e, sebbene affrontati
attraverso uno scambio non proprio garbato, meritano riflessione, in primis da
parte dei due “duellanti”.
All’origine il pezzo scritto da Piero Ostellino per la sua
rubrica “Il dubbio” dello scorso sabato 4 Agosto: http://archiviostorico.corriere.it/2012/agosto/04/contrappongono_giustizia_politica_co_9_120804111.shtml.
Il Procuratore Aggiunto di Palermo Ingroia, evidentemente punto
sul vivo, ha replicato con una lettera pubblicata ieri con una controreplica di
Ostellino: http://archiviostorico.corriere.it/2012/agosto/09/Giustizia_Politica_Ragion_Stato_co_9_120809027.shtml.
Una precisazione: in quest’ultima pagina i due testi sono
fusi insieme, ma si capisce dove finisce quello di Ingroia e dove inizia quello
di Ostellino.
Stampa così e così.
Un tema di questa importanza non può essere affrontato in
maniera simile, lasciandosi trascinare al punto da trascendere anche dalla minima
correttezza formale indispensabile nel rapporto tra persone che occupano
posizioni di rilievo nel paese. Quest’ansia di sovrastare la voce dell’interlocutore
non porta da nessuna parte e rischia di impedire ai lettori di comprendere le
varie sfaccettature di un argomento assolutamente non banalizzabile.
Non si può negare che Ostellino, nel suo pezzo del 4 Agosto,
abbia impiegato un tono così platealmente provocatorio (se non offensivo) da
motivare, da parte di Ingroia, una risposta scritta con il medesimo
inchiostro. Un pessimo comportamento da parte di entrambi e poco importa
stabilire se la colpa prevalente sia del giornalista o del magistrato. Hanno,
con la loro ira e il loro egocentrismo, trasformato una questione come quella
della trattativa tra Stato e Mafia in una baruffa tra galletti in un pollaio
vuoto.
E ha sbagliato anche il Direttore del Corriere, de Bortoli,
a non intervenire o a non far intervenire un terzo in modo da sottrarre ai
litiganti aspetti giuridici e filosofici che non possono assolutamente essere
affrontati nello spazio e, soprattutto, nel modo in cui sono stati affrontati.
Aggiungerei che de Bortoli dovrebbe anche porsi la domanda
se sia giusto che un collaboratore del quotidiano da lui diretto, per quanto
importante quanto può essere un ex direttore quale Ostellino, si consideri
autorizzato ad attribuire patenti di ogni genere a chiunque abbia la (s)ventura
di attirare la sua attenzione o di entrare in polemica con lui. Il Corriere
della Sera, per interposto Ostellino, non deve dare patenti di esperto di
diritto piuttosto che di economia o di qualsiasi altro ambito del sapere umano.
Deve informare, nel senso più ampio e più nobile del termine. E farlo, magari,
con una punta di modestia in più di quella che si può misurare leggendo ogni
giorno il quotidiano e, servendosi degli indirizzi mail da loro stessi forniti,
colloquiando di tanto in tanto con i giornalisti.
Che poi una rubrica intitolata “Il dubbio” contenga la
celebrazione autoreferenziale di Piero Ostellino, che i dubbi li nutre sugli
altri e dedica a se stesso una smisurata certezza, beh, mi pare poco adatto al
Corriere della Sera.
martedì 31 luglio 2012
Un ottimo quotidiano
Ho avuto un nuovo diverbio via mail con Piero
Ostellino. Non ho ancora deciso se sia o meno il caso di pubblicarlo. Non per
me, ma per lui, visto che, per quanto pungenti, le mie parole non mi sembrano (posso sbagliare),
diversamente dalle sue, offensive e, per quanto maldestre, le mie
considerazioni mi sembrano dimostrare (posso sbagliare), diversamente da quanto sembrano dimostrare le sue, che ho letto e cercato di
capire le sue parole.
In ogni caso, pur avendo ancora le pale che frullano, devo riconoscere a Ostellino che è un interlocutore stimolante e divertente. E risponde ai lettori, il che gli va riconosciuto come un merito incontrovertibile.
Magari lo scambio di mail lo pubblicherò nei prossimi giorni, dopo aver parlato con la mia amica Carla, un’eccellente e grintosa donna di legge.
Nel frattempo, vi propongo un tuffo nel passato relativamente recente, con
una polemica tra Fiorenza Sarzanini e Ostellino stesso, nella quale de Bortoli,
direi correttamente, ha ritenuto di intervenire per chiudere la questione.
Torniamo al maggio del 2010, quando si discuteva del possibile intervento,
attraverso un progetto di legge dell’allora Ministro della Giustizia (di Grazia
e Giustizia, più precisamente) Angelino Alfano, sulla diffusione di notizie
relative a indagini della magistratura, ovviamente incluse le
intercettazioni telefoniche.
Cominciamo dall’editoriale di Sarzanini: http://www.corriere.it/editoriali/10_maggio_22/le_notizie_fanno_bene_a_tutti_fiorenza_sarzanini_4bd51e06-6560-11df-89b0-00144f02aabe.shtml.
Segue il pezzo di Ostellino:
E questo è l’intervento conclusivo di Ferruccio de Bortoli:
Un’osservazione: le date non sembrano collimare, ma come
potrete vedere, l’articolo di Ostellino reca due date (23 Maggio e 8 Luglio),
mentre l’articolo di Sarzanini è datato 22 Maggio e quello di de Bortoli
pure risulta datato 8 Luglio. Credo che il problema dipenda dal momento in cui gli articoli
sono stati pubblicati in rete. Come dimostra la citazione, da parte di de
Bortoli, di questo pezzo di Luigi Ferrarella del 20 Maggio 2010, che merita di essere letto come gli altri:
Adesso leggete e fatevi la vostra opinione. Domani è il 1°
Agosto, sicuramente avete il tempo per farlo.
Ah, dimenticavo...
Buona stampa. Queste cose fanno del Corriere un ottimo quotidiano.
Due modi diversi di difendere un'idea
Oggi torno a parlare di banche, argomento che m’interessa in
generale, ma che, in questi mesi, si è andato arricchendo di nuovi e frizzanti
aspetti.
Come prima segnalazione, un articolo del Sole 24 Ore,
firmato da Stefano Carrer, nel quale si racconta di come alcune piccole banche
americane abbiano iniziato a far causa agli istituti di maggiori dimensioni
coinvolti nelle pratiche (collusive) di aggiustamento dei tassi interbancari,
primo tra tutti il Libor (http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-07-31/guerra-banche-caso-libor-064248.shtml?uuid=AbtzW0GG&fromSearch).
Buona stampa.
Prima osservazione: questo scandalo nasce dal mondo
anglosassone, ma nel mondo anglosassone troverà anche la propria correzione in
sede giudiziaria. Intendo dire che il sistema si è dimostrato inefficace nel
prevenire i comportamenti illegali, ma offre gli strumenti per correggerne, almeno in parte,
gli effetti in tempi relativamente brevi. Da noi le cose andrebbero ben
altrimenti. A riprova del fatto che le banche coinvolte hanno timore delle
conseguenze legali dei loro comportamenti non fatevi sfuggire il dettaglio
relativo a HSBC: ha accantonato 2 miliardi di dollari per far fronte a
eventuali rimborsi.
Seconda osservazione: sono diversi anni ormai che il mondo
bancario rivela una propensione non proprio trascurabile all’operare sul
confine della legalità e anche al di là dello stesso (sempre Hsbc, per esempio,
risulta coinvolta in imponenti movimenti di riciclaggio di denaro).
La politica deve finalmente decidersi ad affrontare la
questione per cercare di risolverla in maniera efficace.
A tale proposito, capita a fagiolo un articolo di Luigi Zingales,
pure pubblicato sul 24 Ore di oggi: http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-07-30/spezzare-grandi-banche-cattive-230101.shtml?uuid=AbNoSzGG.
Buona stampa.
Mi piace lo stile di Zingales, è rapido, preciso, diretto. E
si pone abbastanza in discussione, cosa che non sono in molti a fare, specie
tra i giornalisti italiani. Mi piacerebbe che anche Piero Ostellino leggesse
questo pezzo di Zingales, forse (ripeto: forse) riuscirebbe lui pure a capire
che bisogna anche avere un po’ di capacità autocritica per apparire e,
soprattutto, essere credibili.
Andate a leggere il suo articolo di ieri, in gran parte
dedicato alla vicenda delle indagini palermitane sul rapporto Stato-Mafia e, in
particolare, al passaggio di denaro da Berlusconi a Dell’Utri: non c’è soltanto
la questione della villa nel mirino dei pubblici ministeri. La somma versata
per la proprietà sul lago di Como, infatti, rappresenta soltanto una parte del
flusso consistente di denaro tra i due. Guarda caso, Ostellino non se ne ricordava…
Il pezzo lo trovate qui: http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_30/ostellino-rifiuta-ragione-stato_77085ffe-da19-11e1-aea0-c8fd44fac0da.shtml.
Mala stampa. Soprattutto perché, ancora una volta, nel suo
furore polemico Ostellino perde di vista il giusto obiettivo della sua analisi,
ossia il fatto che il nostro sistema giudiziario soffre di alcune gravi
patologie, molte delle quali riconducibili all’organizzazione e alla cultura
dei magistrati. Come darsi la zappa sui piedi… Pensare che ha quasi il doppio
degli anni di Zingales. Dov’è finita la saggezza degli anziani?
domenica 8 luglio 2012
Dove si va con questi tre?
Non temo di essere considerato un estimatore di Piero
Ostellino. Ho detto più volte che non mi piace il suo modo (attuale) di fare il
giornalista e di non condividere la gran parte di quel che afferma. Mi spingo a confessare pubblicamente di trovarlo, sul piano personale, assai poco simpatico. Con
lui ho avuto alcuni scambi di mail, anche piuttosto bruschi, nei quali ci siamo
mandati al diavolo reciprocamente, ma, credo, in maniera sostanzialmente civile
(permalosità e presunzione non gli mancano, come non mancano neppure a me).
Bene, questo preambolo serve per dire che, per quanto io sia
lontanissimo dal trovarmi in sintonia con Ostellino, preferirei non aver
scoperto che qualcuno è tanto privo di buon senso da scrivere frasi come quelle
riportate ne “Il dubbio” di ieri (http://archiviostorico.corriere.it/2012/luglio/07/Gli_elogi_fanno_male_buon_co_9_120707100.shtml).
Non do un giudizio. Non sintetico almeno, perché sarebbe
inevitabilmente inadeguato. E' un pezzo con troppi aspetti diversi.
Come sempre Ostellino si esprime nel suo modo non lineare,
con collegamenti che mi paiono piuttosto male articolati, tuttavia scoprire che
c’è chi lo critica in quel modo e arriva ad augurarsene la morte, inevitabilmente, mi spinge a prendere le parti
del giornalista, per quanto non ne condivida il pensiero. Anche quello che,
così brutalmente, gli contesta il lettore (il cui nome non ripeto, anche se scritto qui non conquisterebbe notorietà). Non c’è alcun dubbio che, per
riaffermare il valore dei principi liberali, Ostellino analizzi la realtà in
maniera parziale, anche incompleta. Ho scritto che, nel suo precedente pezzo (http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_03/ostellino-paesi-virtuosi-paesi-non-virtuosi_12c9d23c-c4e0-11e1-a141-5df29481da70.shtml),
Ostellino usava argomentazioni pretestuose. Lo ribadisco. Non si può parlare
della crisi del debito senza tenere conto di quant’è costato a molte nazioni il
salvataggio delle banche messe in ginocchio dalla crisi dei mutui subprime, conseguenza non già di
interventismo pubblico, ma di disinvolta avidità (se non addirittura di
consapevole disonestà) di molte banche d’affari, principalmente americane, e di molte banche commerciali, queste sparse in tutto il mondo. Non
si può parlare del mercato come di un toccasana per tutti i mali del tempo
presente, non si può farlo perché abbiamo di fronte agli occhi le prove di
come, in molti mercati, manchino trasparenza e vera concorrenza, quindi siano
del tutto diversi da quelli ipotizzati dalle teorie liberali.
Se vogliamo, Ostellino è un fanatico esattamente come il pessimo tizio che lo minaccia: difende un principio indipendentemente dalla sua reale
applicabilità ai giorni nostri e pretende di convincere servendosi di argomenti
tutt’altro che solidi.
Questo, ovviamente, non è un buon motivo per minacciarlo come fa quel lettore, come dire?, parecchio disturbato. Criticarlo sì, com’è ho fatto sopra e come, con ancora maggior veemenza, farò
adesso.
Trovo intollerabile che un ex direttore del Corriere della
Sera concluda la propria rubrica settimanale come segue:
“Un ministro in carica ha comprato un appartamento a prezzo
d'affezione nei pressi del Colosseo dopo che l'area era stata definita «zona
sismica». Poi ha fatto ricorso contro il pagamento dell'Imu, impugnando la
misura governativa che ne esenta i terremotati e ottenendo soddisfazione. Mi
chiedo come avrebbero reagito i media - che oggi hanno ignorato la notizia - se
si fosse trattato di un ministro del governo Berlusconi; del quale - lo dico a
chi confonde i principi con la difesa di una parte politica - non sono stato né
elettore, né estimatore.”
Questo ministro, si presume, ha un nome e un
cognome. Il fatto che Ostellino citi la vicenda senza indicarli è, magari
sbaglio, gravissimo. E vile. Ancora una volta si dimostra che Ostellino usa gli
argomenti con opportunismo, direi anche subdolamente. Non mi piace per niente. Anche perché della storia della casa al Colosseo comperata a sconto dallo Stato si parla da mesi. E Patroni Griffi (questo è il cognome del ministro) ci ha fatto una figura men che mediocre.
Su Il Fatto Quotidiano, il cartaceo di oggi, ho letto che la notizia del mancato pagamento dell’Imu è smentita, tanto che Ostellino
sarà querelato.
E dovrebbero farla loro un’Italia migliore? Ma per carità…
Patroni Griffi e Ostellino sono della medesima pasta, quella che rende la
nostra classe dirigente pateticamente inferiore a quella di innumerevoli altri
paesi, non soltanto quelli cosiddetti avanzati. E non diciamo nulla sul lettore dalla lingua, o meglio tastiera, troppo lunga...
martedì 3 luglio 2012
Due articoli da leggere
Oggi la pagina 38 del Corriere della Sera ospita due
articoli importanti, che meritano entrambi di essere letti e ritagliati (o
memorizzati sul disco fisso del vostro pc).
Uno, in effetti, continua dalla prima pagina, ed è firmato
da Ernesto Galli della Loggia, il quale analizza da un punto vista molto
interessante le intercettazioni delle telefonate tra Mancino e D’Ambrosio (http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_03/galli-della-loggia-stato-animo-testimone_d79c4e5a-c4e0-11e1-a141-5df29481da70.shtml).
Buona stampa.
Ecco, secondo me parlare della giustizia nel nostro paese
non può prescindere dalle considerazioni di Galli della Loggia. Si tratta di
una delle questioni centrali, un problema che ha effetti sulla vita dei singoli
e delle imprese e sulle potenzialità di crescita economica. Eppure, sebbene da
anni se ne discuta anche troppo, i risultati sono stati drammaticamente nulli.
Se non cambia l’atteggiamento dei politici (quelli di una parte Galli della
Loggia li descrive nitidamente quelli dell’altra li individua incidentalmente),
il sistema giudiziario italiano continuerà a costituire un freno, un vincolo intollerabile,
oltre che un meccanismo capace di incutere paura e di non offrire certezza del
diritto.
Naturalmente, anche ai magistrati si richiede di compiere un grande
sforzo: devono semplicemente smettere di essere una delle corporazioni che più
ostacola il progresso del paese e che sacrifica sull’altare dei propri
interessi quelli degli italiani.
Il secondo articolo è di Piero Ostellino (http://www.corriere.it/opinioni/12_luglio_03/ostellino-paesi-virtuosi-paesi-non-virtuosi_12c9d23c-c4e0-11e1-a141-5df29481da70.shtml),
che ho già criticato altre volte e, non senza disagio, devo criticare anche
oggi.
Mala stampa.
In parte condivido le osservazioni di Ostellino. Non c’è
dubbio che il trasferimento di risorse dal privato al pubblico comporti
un’imperfetta allocazione delle medesime. Non c’è dubbio che, in Italia, sia
indispensabile rimuovere le innumerevoli assurde complicazioni a causa delle
quali la vita dei cittadini e delle aziende è un vero calvario. Su questo è
difficile non essere d’accordo con lui. Il punto, tuttavia, riguardo al suo
articolo, sta nel fatto che le poche righe condivisibili della conclusione
siano il frutto di argomentazioni in larga parte pretestuose.
La Federal Reserve non ha mentito ai cittadini. Ha
semplicemente perseguito una politica monetaria rivelatasi sbagliata, che,
peraltro, ha avuto ben pochi critici prima del 2007. E la politica di Greenspan
si è rivelata sbagliata non tanto in sé, quanto piuttosto per com’è stata
sfruttata dal settore finanziario americano che ci ha costruito sopra un
castello di carta fragilissimo, che ha prodotto conseguenze micidiali (come
anche Ostellino riconosce, ma solo di sfuggita).
La mia critica maggiore, tuttavia, sta in quello che avevo
già accennato la scorsa settimana. Il libero mercato di Adam Smith, come
osservava anche il Financial Times, non esiste più. E se anche esistesse
ancora, ma non è affatto così, Ostellino non potrebbe trascurare il fatto che,
ormai, manca una delle caratteristiche essenziali di un mercato in grado di
funzionare regolarmente e, quindi, capace di autocorreggersi: la trasparenza.
Dov’è la trasparenza quando le banche manipolano i tassi d’interesse che
vengono utilizzati per calcolare i costi dei mutui e dei finanziamenti alle
imprese? Dov’è la trasparenza quando si collocano sul mercato titoli costruiti
artificialmente, così complessi e articolati da riuscire incomprensibili anche
agli esperti e, ad ogni buon conto, corredati da valutazioni positive da parte
di agenzie di rating pronte a
chiudere un occhio, se non addirittura conniventi?
Il pensiero liberale va difeso con la consapevolezza di
quanto di nuovo, e d’imprevisto, è intervenuto da quando quel pensiero
fondamentale ha mosso i primi passi. Ostellino farebbe un favore alla sua
intelligenza e alla sua giusta fama di giornalista se ne tenesse conto. E, se
lo facesse, difenderebbe meglio proprio quelle idee che, invece, finisce per
indebolire.
giovedì 28 giugno 2012
Il comunismo alle porte della City
Speriamo che il 2 a 1 non renda ancora più ostinata la
Signora Merkel… Persino dalle parti di Berlino cominciano a dubitare del suo
oltranzismo. Vedremo in questo fine settimana se, finalmente, l’Europa riuscirà
a dimostrare di essere qualcosa di più di un ectoplasma.
Non sarà affatto facile, ma tant’è, questo abbiamo e, per il
momento, questo dobbiamo tenerci. Alludo ai governanti della Uem, ovviamente.
Parliamo di banche. Di due banche: una inglese, Barclays, e
una americana, J.P. Morgan Chase. Colossi che stazionano da tempo ai vertici
delle graduatorie mondiali. Non il credito cooperativo sotto casa…
La prima si è beccata una condanna congiunta dalle autorità
di controllo americane e inglesi per aver manipolato il tasso Libor, un tasso
di riferimento fondamentale del mercato interbancario. Quel tempio del pensiero
comunista, antiliberista e anticapitalista del Financial Times dedica un pezzo
interessante alla questione: http://www.ft.com/intl/cms/s/0/24ee82f4-c12b-11e1-8179-00144feabdc0.html#axzz1z7iTtOxv.
Buona stampa.
Sarei curioso di sapere cosa ne direbbe Piero Ostellino, il
nipotino prediletto di Adam Smith in Italia (lo pensa lui, Adam Smith, probabilmente,
preferirebbe non avere parenti).
E veniamo alla seconda banca. J.P. Morgan sembra aver
lasciato sul tavolo delle scommesse ben più dei 2 miliardi di dollari di cui
siamo venuti a conoscenza alcune settimane fa. Lo dice il New York Times: http://dealbook.nytimes.com/2012/06/28/jpmorgan-trading-loss-may-reach-9-billion/?ref=business.
Buona stampa.
Ora, noi possiamo anche stringere la cintura dei pantaloni.
E possiamo anche invocare tutti i difetti del pensiero di Keynes, oltretutto
applicato maldestramente, per deprecare la cosiddetta crisi del debito. Mi
pare, tuttavia, che ci sia molto da fare per rimettere ordine nei mercati e nel
mondo delle transazioni finanziarie, quelle che contano, non le nostre modeste
compravendite di Bot e di azioni. Alle volte, sai mai?, potrebbero avere
ragione anche quei comunisti sfegatati del Financial Times.
martedì 21 febbraio 2012
Schei
Parto difficile, ma, infine, sono stati resi pubblici i dati
relativi ai redditi dei membri del governo. Mi sono guardato bene dall’andare a
vederli. Quand’ero piccolo, mi hanno insegnato a non guardare nel piatto degli
altri… Il problema, a mio modesto avviso, non sta tanto nelle somme che Monti
& Co. guadagnavano prima di diventare ministri o sottosegretari. Contano le
relazioni e i patrimoni che hanno portato con sé, gli elementi, cioè, capaci di
indurli a prendere, anche inconsapevolmente, decisioni che potrebbero scostarsi
dal cammino dell’interesse generale e dell’equità. E conta anche quello che
guadagneranno dopo aver lasciato il governo. E non parlo di quanto potrebbero
essere pagati come conferenzieri… Ad ogni modo, sono ben contento che anche il
nostro paese s’incammini sulla strada di una maggiore trasparenza e mi auguro vivamente
di vedere il passo farsi molto svelto.
Se siete curiosi di leggere i numeri, credo che tutti i siti
dei quotidiani pubblichino i dati e i link utili. Fate un po’ di fatica voi.
Vorrei dedicare qualche riga al Corriere della Sera. Ancora
non ho digerito quel pessimo articolo di Sergio Romano di cui vi ho parlato
domenica e probabilmente ci tornerò sopra, giusto per annoiarvi un po’. Quando
mi tocca leggere pezzi come quello sul quotidiano che fa parte di quasi tutti i
miei giorni da quasi quarant’anni (sic), davvero non riesco a evitare di
imbestialirmi e sono tentato di non comperarlo più. Poi questa mattina arrivo
dalla mia amica Lella, prendo i miei giornali, pago, torno a casa e… e c’è un
Panebianco impeccabile (http://www.corriere.it/editoriali/12_febbraio_21/panebianco-crisi-pd-pdl_a3f73114-5c53-11e1-beff-3dad6e87678a.shtml)
e c’è un Rizzo (mastino mordace) puntiglioso (http://www.corriere.it/economia/12_febbraio_21/buste-paga-manager-pubblici-rizzo_238d07b6-5c5c-11e1-beff-3dad6e87678a.shtml)
e c’è altro, di cui magari parleremo in seguito.
Buona stampa.
Passa la rabbia, almeno fino al prossimo articolo di Romano
o di Ostellino o di Cazzullo.
Mala stampa ad honorem.
L’articolo di Rizzo mi spinge a fare qualche considerazione.
Condivido il timore del Presidente del Consiglio riguardo al fatto che, ponendo
dei limiti alle retribuzioni dei dipendenti della Pubblica Amministrazione e
delle società non quotate in Borsa controllate dallo Stato, si rischi di non
riuscire a trovare persone di qualità per posizioni importantissime. Non tutti
i tagli si possono fare con una sciabola. Forse un po’ di gradualità potrebbe
essere utile. Ci sono posizioni che hanno impatti ben diversi sul bilancio
pubblico e che, penso, dovrebbero trovare un riconoscimento adeguato. Quello
che, francamente, mi piace molto meno (e vorrei non vedere più) sono certi
passaggi un po’ strani, come, ad esempio, quelli di sindacalisti diventati
presidenti o amministratori delle medesime società pubbliche nelle quali hanno
svolto la loro attività di rappresentanza dei lavoratori.
E meno ancora mi piace che a molti di questi signori venga
garantita spesso una buonuscita assolutamente incongruente con i risultati
prodotti.
E’ un tema complicato, sul quale dobbiamo riflettere con
moderazione, senza esasperazioni. Un manager che risana un’azienda pubblica e
fa guadagnare o risparmiare allo Stato somme multiple del suo stipendio, per
dire, magari si merita più dei fatidici 300.000,00 euro.
Pensiamoci.
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martedì 17 gennaio 2012
Pagina 19...
…del Corriere della Sera di oggi. Da mettersi le mani nei
capelli, avendoli. Da sperare che si trasformi in un biglietto aereo di sola
andata per un paese qualsiasi, sarà sempre meglio di questo. E’ peggio che
deprimente: lascia senza fiato.
Cominciamo, per cavalleria e per simpatia, da Fiorenza
Sarzanini, eccellente professionista, della quale ricordo una polemica con
Ostellino sul tema della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche (andrò
a cercarla per vedere se è possibile fornirvi i collegamenti: Ostellino si era
mosso con il suo consueto garbo e con la sua proverbiale forza degli argomenti
(sic), tanto che Ferruccio De Bortoli era dovuto intervenire a fianco della
Sarzanini. Sì, devo proprio andare a pescarla, lo considero un debito nei
confronti della Signora Sarzanini). Il pezzo di oggi racconta della buona
qualità (si fa molto per dire) di numerosi amministratori e dipendenti
pubblici, leggete: http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_17/sarzanini-controlli-frodi-6-miliardi-sottratti-erario_ea65412e-40d1-11e1-b71c-2a80ccba9858.shtml.
Buona stampa.
Il secondo pezzo è del mastino truce. E anche qui si parla
della buona qualità (si fa sempre molto per dire) di alcuni dei collaboratori
del sindaco di Roma: http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_gennaio_17/condannato-mottironi-consulente-alemanno-rizzo-1902896454342.shtml.
Buona stampa.
Non so se il Presidente del Consiglio Monti ha avuto la possibilità di
leggere questi articoli. Temo che abbia dovuto ridurre parecchio il tempo
dedicato alla lettura dei giornali, però, poiché credo che la sera non sia
occupato da cene eleganti, magari avrà avuto modo di dare un’occhiata al
Corriere… In realtà spero ardentemente che lo abbia fatto e che, tra le tante
materie sulle quali intende intervenire, vorrà inserire anche questa.
Vista l’ora, se possibile, buonanotte.
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mercoledì 28 dicembre 2011
Di palo in frasca?
Da anni il mio, invero già modesto, interesse per il calcio
si è affievolito sino a svanire quasi del tutto, restando vitale quel poco che
serve a farmi seguire qualche partita dei grandi eventi che coinvolgono la
nazionale. Il susseguirsi di scandali, il deterioramento della qualità del
gioco, gli atteggiamenti di troppi calciatori esaltati da guadagni e notorietà
del tutto ingiustificati, questi e altri elementi sono all’origine di quello
che, lo ammetto, ormai è vero disgusto per uno sport la cui bellezza mi sembra
ormai invisibile sotto l’ammasso di lordura che tanti hanno contribuito a
spargervi sopra. Sarebbe ora che qualcuno mettesse veramente mano a un progetto
di rifondazione di questo sport, anche se i cambiamenti degli equilibri
economici e politici mondiali hanno comportato un’alterazione delle
gerarchie sportive che, temo, renderà difficile riportare il calcio italiano
allo splendore del passato, quello remoto, non quello prossimo.
Per aggiornarvi sull’ultima puntata del romanzo di appendice
che si chiama Calcioscommesse vi propongo tre link: http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/436012/,
http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/436014/
e
Buona stampa.
Passando a tutt’altro argomento, ci sono articoli che mi
fanno venire i brividi. Un esempio è questo pezzo di Carlo Bonini su Repubblica
(http://www.repubblica.it/politica/2011/12/28/news/fuga_capitali_estero-27290893/?ref=HRER1-1).
Intendiamoci, nel 2011 è del tutto comprensibile e legittimo che chi possiede
una somma di denaro da investire, grande o piccola poco importa, sia libero di farlo in qualsiasi paese, così da ottenere le condizioni che giudica migliori per i
propri obiettivi. Detto altrimenti, la libera circolazione dei capitali è un
principio irrinunciabile quale quello della libera circolazione delle persone e
delle merci. Quello che mi fa raggelare è che ancora oggi, nonostante le
ripetute promesse di politici e burocrati, l’evasione fiscale in Italia possa
raggiungere le dimensioni di cui ci parla Bonini. Tremonti, Siniscalco, Visco,
Tremonti… negli ultimi dieci anni al ministero del Tesoro si sono susseguiti
loro e non sono riusciti a imprimere una vera svolta. Finisce che mi tocca dare
ragione a Piero Ostellino (e non è cosa che si fa a cuor leggero) che, mi pare
sabato scorso sul Corriere, indicava nel rapporto tra politici e burocrati una
delle cause del pessimo funzionamento della nostra macchina amministrativa. Se
i politici, come osserva correttamente Ostellino, non sanno o non vogliono
controllare l’azione della burocrazia cui sono preposti, ovviamente, la
burocrazia fa quello che, notoriamente, sa fare meglio, ossia creare meccanismi e
procedure astrusi per giustificare la propria presenza. Sul tema gli studi, in
carta e in rete, si sprecano.
Buona stampa.
Finiamo con un articolo di dimensioni piuttosto inconsuete
per un quotidiano. E’ la ricostruzione degli ultimi anni di vita di Mediobanca
fatta ieri da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/27/Mediobanca_decennio_francese_quel_Maranghi_co_9_111227044.shtml).
Mucchetti è oggi, a mio avviso, uno dei migliori giornalisti in materie
economiche e finanziarie. Ha anche abbastanza coraggio per aprire gli armadi di
casa (RCS Mediagroup) per trovare gli scheletri. Anche nell’articolo di ieri,
senza timori reverenziali, critica alcune delle figure chiave nell’azionariato
della società che controlla il quotidiano su cui scrive. Un articolo
interessante, il cui limite, secondo me, sta nelle dimensioni che, sebbene
molto cospicue per un quotidiano, mi sembrano insufficienti per illustrare
compiutamente una materia estremamente complessa, cosicché restano passaggi
oscuri, difficilmente comprensibili anche a chi, nel tempo, ha seguito questi
eventi via via che si verificavano.
Poi, non posso nasconderlo, la mia natura sospettosa mi
spinge a chiedermi come mai, proprio in questo momento, il Corriere ha deciso
di pubblicare un articolo come questo. Niente accade per caso attorno al
principale quotidiano italiano. Mi piacerebbe chiederlo a Ferruccio De Bortoli.
Chissà che non decida di farlo…
Buona stampa.
giovedì 22 dicembre 2011
Scegliete voi!
Dobbiamo fare ancora un passo indietro perché gli articoli
che vi segnalo e sui quali voglio fare qualche riflessione sono apparsi
soltanto oggi sul sito del Corriere della Sera, ma erano sul cartaceo di ieri.
Il primo argomento è che la forza e la ricchezza di un
quotidiano indipendente (nei limiti in cui è possibile l’indipendenza in un
mondo in cui la proprietà dei giornali è al centro di complessi intrecci
finanziari) stanno nella possibilità di offrire, nella medesima pagina, due
visioni diverse di una questione che, in larga parte, è la stessa: i due
articoli di ieri che vi suggerisco di leggere erano stampati uno sopra l’altro,
così da essere quasi in contrappeso anche “fisicamente”, non soltanto per le
opinioni espresse.
La seconda considerazione riguarda il modo di scrivere, sia
sul piano dei contenuti sia sul piano della forma. I due pezzi in questione,
dal punto di vista della sostanza, costituiscono un interessante esempio di
come si possa affrontare lo stesso tema in maniera da spingere il lettore a
valutarne le implicazioni con la propria testa oppure così da fornire una ricetta
preconfezionata, basata sulla volontà di affermare le proprie convinzioni
ideologiche e culturali. E mostrano, sul piano della forma, come chi vuole affermare
la propria visione sia costretto a scrivere in maniera poco lineare e poco
conseguente, inserendo divagazioni estranee al ragionamento.
Rileggete il motto che ho scelto per questo blog, per
favore.
Ancora, quando l’intento non è far capire, ma “fare
proselitismo”, si sceglie anche di distorcere la realtà, dimenticando elementi
che, affrontando un certo argomento, non potrebbero assolutamente essere
trascurati. Citerò, quindi, l’art. 67 della Costituzione della Repubblica
Italiana: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato”.
Se leggerete i due articoli, capirete perché l’ho citato.
Non aggiungo altro: leggete e decidete da soli chi vi sembra più comprensibile e
più convincente.
Gli autori sono Piero Ostellino e Antonio Polito e questi i
rispettivi link: http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/21/Alle_origini_del_vizio_corporativo_co_9_111221058.shtml
e http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/21/Tecnici_piacciono_meno_del_Cavaliere_co_9_111221006.shtml.
Buona stampa.
Mala stampa.
L’ordine del giudizio è casuale e non è detto che rifletta
il mio pensiero, formatevi la vostra opinione, che, ovviamente, mi piacerebbe
sapere se coincide con il mia.
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sabato 19 novembre 2011
E dopo?
Con la fiducia delle Camere il Governo Monti ha acquisito la pienezza dei poteri. Possiamo rallegrarci, ma restano ancora molti motivi d’inquietudine.
L’analisi di Michele Salvati sul Corriere della Sera è molto lucida (http://www.corriere.it/editoriali/11_novembre_19/salvati_scomode_verita_0bf18ece-1279-11e1-b297-12e8887ffed4.shtml) e mette in evidenza i principali problemi interni e internazionali con cui dovrà misurarsi il Presidente del Consiglio.
Buona stampa.
Vedo, però, un ampio territorio, rimasto quasi inesplorato da Salvati, da dove, spero di sbagliare, arriveranno i maggiori pericoli per il futuro meno immediato. Cosa succederà quando, mi auguro nella primavera del 2013, si concluderà la fase avviatasi nei giorni scorsi?
Senza giri di parole: il mio timore è che, in assenza di correttivi anche radicali, la classe politica (di entrambi gli schieramenti) sarà la stessa che ci ha portato al baratro e che permarranno alcune delle condizioni di cui si è nutrito il malcostume che ha giocato un ruolo niente affatto trascurabile nel degrado finanziario del nostro paese.
Mentre scrivo, il principale gruppo industriale controllato dal Tesoro, Finmeccanica, si trova al centro di un’azione giudiziaria che riporta in evidenza gravi interferenze politiche e scelte manageriali inquinate da relazioni improprie con l’ambiente degli affaristi e dei faccendieri che da anni prospera all’ombra della politica nazionale e locale. Una vicenda non diversa, anche se più ridotta per dimensioni e per caratura delle imprese coinvolte, viene a galla grazie alle indagini originate dalle condizioni fallimentari del gruppo nato attorno all’Ospedale San Raffaele di Milano.
Sono due casi, ma altri se ne potrebbero citare. L’Italia ha da anni un malanno grave, ma il malaffare non sembra soffrire affatto, anzi: una parte cospicua del debito pubblico, anche di recente, è stata originata dalla corruzione. E gli stagni limacciosi ai confini tra affari e politica sono ancora tutti lì in attesa di una bonifica che, necessariamente, non verrà mai fatta se non si rigenera la classe dirigente, in particolare quella politica.
Due misure, tra le tante che andrebbero prese, a me paiono particolarmente efficaci per realizzare questa bonifica: ridurre allo stretto indispensabile il numero delle imprese e dei beni detenuti da enti pubblici (a livello centrale e locale) e introdurre forme di tracciabilità dei pagamenti più rigorose di quelle in vigore attualmente.
Sul secondo punto, ottimo il recente pezzo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera (http://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/11_novembre_12/fine-del-sommerso_099fe7d6-0d3f-11e1-a42a-1562b6741916.shtml).
Buona stampa.
Le privatizzazioni sono indubbiamente assai più complicate da realizzare, richiedono tempi lunghi e strumenti finanziari complessi; per questo trovo insoddisfacente “il dubbio” odierno di Piero Ostellino, sempre sul Corriere (il link non c’è, mi dispiace). Visto che, pochi giorni fa, aveva invitato i giornalisti a non prendere per i fondelli i lettori, avrebbe dovuto seguire il suo stesso suggerimento e non affermare che la cessione di beni quali spiagge e altri immobili costituisce un realistico strumento per ridurre il debito pubblico italiano in tempi e in dimensioni tali da rendere meno assillante la necessità di rifinanziarlo per 200 miliardi da qui alla fine di Aprile del 2012.
Mala stampa.
Avrebbe fatto meglio a leggersi un articolo di qualche settimana fa di Sergio Rizzo (http://www.corriere.it/politica/11_ottobre_01/patrimonio-statale-venduto-parole-rizzo_49c61190-ebf8-11e0-827e-79dc6d433e6d.shtml).
Buona stampa.
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