Per quelli della mia generazione, un certo cinema americano
degli anni 70 e 80 ha consentito di conoscere meglio una nazione cui guardavamo
con ammirazione anche quando, apparentemente, ne sottolineavamo i difetti senza
riconoscerne i pregi.
Registi come Lumet, Pollack, Pakula, Coppola, Lucas e altri
hanno scritto pagine cinematografiche memorabili, non di rado portando sullo
schermo storie che molto dovevano alla stampa americana, alla determinazione
con la quale cercava di svolgere il proprio ruolo di controllo della politica e
di studio e rappresentazione della società.
Tra questi film, uno di quelli che ricordo con maggior
precisione e che apprezzai fin dalla prima di molte visioni, è sicuramente Tutti gli uomini del Presidente (All the President’s men) di Alan J.
Pakula (http://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Pakula),
che descriveva l’inchiesta svolta sull’effrazione al Watergate da Bob Woodward
e Carl Bernstein per The Washington Post,
inchiesta che dette un contributo più che rilevante alle dimissioni di Richard
Nixon. Il cast vedeva Robert Redford (Woodward) e Dustin Hofmann (Bernstein)
nel ruolo dei protagonisti, con accanto alcuni altri eccellenti attori in ruoli
importanti. Tra questi Jason Robards, che interpretava Ben Bradlee, il
Direttore del quotidiano, che proprio per la sua interpretazione ottenne il
premio Oscar come attore non protagonista nel 1977, uno dei quattro attribuiti
alla pellicola di Pakula (http://it.wikipedia.org/wiki/Tutti_gli_uomini_del_presidente_%28film%29).
Perché vi racconto tutto questo? Perché il 21 Ottobre è
morto Ben Bradlee, che ho citato in un mio post dello scorso febbraio, considerandolo
un esempio del giornalismo al quale, purtroppo, i nostri quotidiani s’ispirano
sempre meno. Qualcosa di più su di lui potete scoprirla qui: http://en.wikipedia.org/wiki/Benjamin_C._Bradlee.
Come vedete, si tratta di un esponente di quella che possiamo considerare
l’aristocrazia americana, il che spiega anche la sua familiarità con i Kennedy.
Certamente un uomo di rilievo. Che Jason Robards ha interpretato in maniera
veramente impeccabile. Ve ne offro un piccolo esempio, dandovi la possibilità
di scelta fra la versione originale e quella doppiata della stessa scena (i
segmenti non sono proprio eguali, ma si tratta di dettagli secondari). Una
lezione di giornalismo e di recitazione. Godetevi anche Jack Warden, un
grandissimo attore.
La prima è quella in inglese.
Questa è in italiano.
E veniamo alle cose di casa nostra, argomento assai meno
gratificante. Non voglio appesantire troppo l’aria, così vi suggerisco soltanto un’analisi interessante, dal Sole 24 Ore di oggi, della situazione del PD. L’autore
è Roberto D’Alimonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-10-26/cambiare-o-conservare-due-sinistre--152954.shtml?uuid=ABZ2uy6B.
Buona stampa. Comunque la pensiate, un PD che riesca
finalmente a liberarsi dei vincoli con un passato tutt’altro che glorioso
farebbe soltanto bene al Paese. Si tratta, ovviamente, di una condizione necessaria,
ma non sufficiente perché le cose possano andare meglio. Ce ne sono, purtroppo,
tante altre…
Pensate soltanto quanto ci sono costate e quanto ci
costeranno ancora le follie gestionali di alcune banche, piegate al volere
della politica e stremate dall’inettitudine e dalla disonestà di dirigenti saliti
al vertice proprio perché ben ammanicati con i politici. Ci torneremo sopra,
quando avrò guardato meglio i dati sulle verifiche effettuate dalla Banca
Centrale Europea.
Per chiudere, ecco l’ultima versione di The Nearness
of You. Un vero botto finale. Ascoltiamo un sassofonista eccellente, Michael Brecker (la cui vita, come ho già detto in passato, è stata davvero troppo breve), insieme a una grande voce, quella di James Taylor.