Ieri, sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, il
mastino bonario, riprendeva un tema già affrontato in passato: la spoliazione
della Biblioteca dei Gerolamini, una delle più importanti del nostro paese,
nella quale erano custoditi testi antichi di eccezionale importanza.
Buona stampa. Cosa posso dire su questa vicenda? Posso dire
che, se si è chiamati a guidare un ministero, se, quindi, ci si trova a
rivestire una carica pubblica di grande rilievo (soprattutto nel caso dei Beni
Culturali), sarebbe opportuno dimenticare i debiti di riconoscenza maturati in
precedenza perché il bene collettivo prevale su tutto. Mi sembra che anche in
questo caso si possa ricordare l’articolo 54 della Costituzione, quello in cui
si indica come devono comportarsi coloro ai quali sono affidate funzioni
pubbliche. Bravi! Ricordate bene. Proprio quello che parla di disciplina e
onore.
E torniamo al caso Ingroia, perché se ne occupa anche
Stefano Folli sul Sole 24 Ore di oggi e lo fa in maniera direi accurata e
puntuale, mettendo in evidenza le tante contraddizioni del magistrato
palermitano e del movimento che ha fondato.
Buona stampa. E’ davvero indispensabile mettere fuori uso un
po’ delle porte girevoli che consentono passaggi a dir
poco azzardati e opportunistici da un ruolo nella Pubblica Amministrazione a
uno politico. Specie per chi, come alcuni magistrati, ha sfruttato la propria
posizione per conquistare popolarità, con evidente intento di servirsene per un
successo elettorale.
Oggi mi tocca andare a ripescare titolo e valutazioni
perché, come Geronzi allora (e successivamente e lo rifarà, ne possiamo star
certi), anche Antonio Ingroia si serve delle parole di chi non c’è più per
polemizzare con Ilda Boccassini.
A me non interessa nulla quel che Boccassini pensa di
Ingroia. E m’interessa anche meno quel che Ingroia pensa di Boccassini. M’importa,
invece, e molto, che un candidato alla guida del paese, per quanto improbabile,
voglia servirsi delle opinioni di una persona morta da tempo, tra l'altro senza riportarle, limitandosi all'allusione, per tentare di
sminuire il valore di un interlocutore e provare a guadagnare qualche consenso
elettorale.
Non è soltanto una questione di stile, anche se sa il Cielo
quanto bisogno di stile ha questo paese, ma è soprattutto una questione di
onestà intellettuale e di rispetto verso chi non c’è più e verso chi c’è
ancora.
Non vale la pena di aggiungere altro, salvo suggerirvi di
ascoltare (se e quando sarà disponibile) l’intervista di Daria Bignardi a Beppe
Severgnini trasmessa questa sera da La7 nella trasmissione “Le invasioni
barbariche”.
Buona stampa. Soprattutto perché si ricordano regole
fondamentali che da noi sembrano cadute irrimediabilmente in disuso.
Per temperare il mio e, più ancora, il vostro sconforto,
due brani musicali di un pianista belga di origine italiana che combina con
grande allegria influenze diverse. Si chiama Eric Legnini (http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89ric_Legnini) e sa divertire.
Cominciamo da un brano in trio, un grande classico, In a Sentimental Mood.
Passiamo poi a un brano del CD appena pubblicato, Sing Twice, in cui Legnini si avvale
della collaborazione di molti musicisti di varia provenienza, tra i quali la
cantante Emi Meyer (http://en.wikipedia.org/wiki/Emi_Meyer).
Il brano che eseguono insieme si intitola Winter
Heron.
Il vignettista del Corriere della Sera, Giannelli, a quanto pare, non sembra intenzionato a lasciare tranquilli i capi del Pd. Anche oggi trova modo di scherzare sull'estraneità alla gestione delle banche del maggiore partito del centrosinistra: un'estraneità asserita, ma ben lungi dell'essere dimostrata, anzi.
La vignetta la potete vedere qui: http://www.corriere.it/foto_del_giorno/giannelli/13_gennaio_30/giannelli_174e2558-6aa6-11e2-9446-e5967f79d7ac.shtml.
Buona stampa.
La pentola di Siena sembra contenere ingredienti persino
peggiori di quelli che avevo immaginato. Ho scritto parecchi mesi orsono che
l’acquisizione di Antonveneta fu un errore e che la dirigenza della Banca Monte
dei Paschi era stata messa su un altare dal Presidente del Banco di Santander,
eternamente grato per quanto guadagnato dall’operazione; tuttavia, se
sostenessi di aver solo sospettato comportamenti come quelli che descrivono le
cronache dei quotidiani italiani, mentirei.
Buona stampa. Con alcune interessanti notazioni sul ruolo
della politica. Guarda caso, si parla di Gallipoli… E già, proprio lo
Stalinuccio di Gallipoli è stato così tranchant
nel negare relazioni spurie tra il Pd e la banca senese. Chiacchiere,
ovviamente: ridicole e patetiche, però sicuramente pronunciate con la consueta spocchiosa
sicurezza e accompagnate da uno dei consueti movimenti delle mani con cui
D’Alema allontana da sé gli argomenti che lui giudica privi d’importanza, gesti
che, a volte, più ancora delle parole e del tono, ne rivelano la smisurata
arroganza.
Per capire quanto la politica sia tutt’altro che estranea
alla gestione delle banche, in particolare di quelle nel cui capitale hanno
peso le Fondazioni bancarie, vi suggerisco, invece, questa piccola indagine
effettuata dal sito LaVoce.info: http://www.lavoce.info/i-politici-ai-vertici-delle-fondazioni-bancarie/.
Buona stampa. Che ci dice quanto sarà difficile estirpare
questa mala pianta. E ciò è tanto più vero se si ricorda il potere che,
anche attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (di cui controllano il 30%),
esercitano in tanti settori essenziali dell’economia italiana (elettricità,
telecomunicazioni, gas, ecc. ecc.).
Non sarà facile perché proprio la trasversalità e
l’intensità dei legami con la politica fanno delle Fondazioni una delle lobby più potenti del paese. Quanto sia influente
questa lobby, lo potreste chiedere al
bleso della Valtellina, che ai tempi del 2° Governo Berlusconi tentò
inutilmente di ridurre il campo di azione delle medesime Fondazioni, le quali (a
pensar male, si sa...) non sono state probabilmente estranee alla temporanea
defenestrazione di Tremonti, sostituito al Ministero dell’Economia da
Siniscalco.
Storia vecchia, ma da non dimenticare, come dimostra l'estrema
prudenza con cui il bleso ha trattato la questione una volta tornato in sella.
Già che parliamo di Tremonti e di gente che usa molto le mani nel parlare, mi viene da pensare a Brunetta, che con le sue manine costruisce architetture d'aria degne compagne di quelle, spesso anche meno solide, che costruisce con le parole.
Per non restare troppo lontano dalle pagine dei giornali, Brunetta ha deciso di difendere a spada tratta le frasi pronunciate domenica dal tizio decrepito.
Renato Brunetta è sempre quello che sostiene di aver
rinunciato al Nobel per l’economia avendo preferito occuparsi di politica.
Dubito che la maggioranza degli italiani lo consideri un gesto di altruismo e
gli porti gratitudine, ma ammetto di poter sbagliare, anche se non lo credo
affatto.
Buona stampa. Anche perché ci trovate altre chiacchiere in libertà
di altri politici di varia appartenenza, chiacchiere nella maggior parte dei
casi intrise del medesimo opportunismo di quelle del tizio decrepito. Tornando
a quelle di Brunetta, bisogna dargli atto di superare quasi tutti gli altri
lacchè nel tentativo di emergere nella difesa dell’indifendibile. Come perdere
una simile occasione per guadagnare punti in classifica e sperare, in caso di vittoria del Pdl, di poter finalmente andare a
sedere sulla poltrona occupata tanto a lungo dal suo acerrimo rivale 3Mounts.
In fondo non ha mica torto, è pur sempre un mancato Nobel per l’economia. Sedicente mancato. Pover’uomo, a questo punto non lo potrà mai più ottenere. In Europa non sono così disposti a scherzare sulle dittature del secolo scorso, ma, se anche fossero disposti a perdonare le parole in difesa del tizio decrepito, in realtà a tenere Brunetta lontano dallo Sveriges Riksbanks pris i ekonomisk vetenskap till Alfred Nobels Minne sarà Brunetta stesso.
Come
potrebbero mai, gli incaricati dall'Accademia Reale Svedese delle Scienze, conferirlo a uno che non sembrerebbe neppure in grado di far
quadrare i propri conti personali? Leggete questa intervista che risale ai giorni in cui Brunetta aveva pensato bene di lamentarsi perché aveva problemi a
pagare la rata finale dell’IMU (ammetto di averla serbata con tenerezza per un'occasione come questa): http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/politica/2012/11-dicembre-2012/brunetta-imu-non-ho-soldi-pagare-seconda-rata-2113116174601.shtml.
Giusto per capirci, un signore che ha un reddito di quasi 280.000,00 euro
l’anno si trova in difficoltà a pagare il saldo IMU di 7.000,00 euro (quando ci
fu da pagare l’acconto Brunetta non si lamentò, quindi è presumibile che non
abbia avuto problemi), un importo solo parzialmente imprevisto, giacché l’IMU è
sì più onerosa e colpisce anche la prima casa, ma l’ICI non era poi così
leggera… Il suo budget non regge a una spesa imprevista di circa l'1% del suo reddito? Credo ci sia di meglio per il Ministero dell’Economia. E il Nobel, per
favore, lasciamolo a chi se lo merita e, soprattutto, a chi, se aspira a ottenerlo, lascia ad altri stabilire se sia degno
di ottenerlo.
Come possono essere i neuroni di un tizio decrepito?
Decrepiti anche loro, evidentemente. E, probabilmente, anche un po’ diradati,
come accade ai capelli. Quest’ultimi, però si possono rimpiazzare e tingere
tutte le mattine con il lucido da scarpe. Anche le rughe si possono stirare e
nascondere sotto il trucco. I risultati spesso sono men mediocri, come nel caso in questione, ma si può provare, a qualcuno si riesce a darla a intendere. I neuroni, purtroppo, quelli non si rimpiazzano e
non si rimettono a nuovo. Quando se ne sono andati e i pochi rimasti non si relazionano più in
modo corretto, allora si dicono cose che non stanno né in cielo né in terra
(ho promesso di non scrivere le parolacce, anche se le penso).
Buona stampa. In tutto l’articolo di Paolo Colonnello si percepisce lo sdegno
che meritano affermazioni che, per l’appunto, sono assurdità intollerabili,
dimostrazione di quanto in basso si è disposti ad arrivare pur di far parlare
di sé in questa campagna elettorale che, come temevo, sta rivelando il degrado inarrestabile della nostra classe dirigente. Se cercate contenuti, programmi,
proposte, troverete insulti, minacce, farneticazioni. Nessuno che si ricordi
come, dopo le elezioni, chiunque risulterà vincitore dovrà governare il
paese e cercare di rendere le condizioni di vita dei cittadini migliori delle
attuali.
Con questa classe politica non ci possiamo aspettare nulla
di buono. Sono ormai avulsi dalla realtà, vivono in un loro mondo che non ha
nulla a che vedere con il nostro. E sono solo capaci di strillare. E strepiteranno
e s’insulteranno anche il giorno successivo alle elezioni: non c’entra la
competizione per ottenere il voto, non sanno fare altro.
E se non esiste una classe politica capace di governare (e
non esiste), la sostituiscono, ben contenti di farlo, i burocrati e i risultati
sono sotto gli occhi di tutti. Anziché servire i cittadini, l’amministrazione
dello Stato, priva di controllo politico, si autoalimenta e sparge ovunque la
ragnatela della propria inefficienza, non soltanto in modo casuale. Questo è il
vero nodo da sciogliere, ma nessun politico ha le qualità per farlo. Neppure
Monti, che, per salire in politica, sembra servirsi di una delle celebri scale
rappresentate da Maurit Cornelis Escher nella sua opera Relativity (http://www.nga.gov/fcgi-bin/timage_f?object=54256&image=13392&c=ggescher). Probabilmente non è colpa sua, forse è mal consigliato e deve adeguarsi agli avversari, ma così sta dilapidando il suo indiscutibile patrimonio di autorevolezza.
Non posso, anche se forse lo vorrei, evitare di parlare
della vicenda del Monte dei Paschi di Siena. Troverete da soli innumerevoli
articoli che illustrano come la banca senese, durante la gestione di Mussari e
Vigni, avrebbe posto in essere ripetute operazioni finanziarie altamente
rischiose, la cui esistenza si sarebbe cercato di tenere nascosta sia agli
organi sociali sia alle autorità di vigilanza e i cui effetti negativi si
sarebbe tentato di occultare con altri investimenti ad alto rischio, anch’essi apparentemente
non resi noti.
Quanto siano costati a Banca MPS questi investimenti non è ancora
del tutto certo; si sa, invece, che per fa fronte alle proprie esigenze
patrimoniali, l’istituto ha richiesto 3,9 miliardi di finanziamento allo Stato
attraverso emissione di cosiddetti “Monti bonds”,
strumenti assai costosi, versione riveduta di quelli inventati dal bleso della
Valtellina, Tremonti. Senza questo sostegno statale, la sopravvivenza della più
antica banca del mondo sarebbe a rischio.
Fine sulla questione tecnica, per approfondire la quale,
come ho detto, potete trovare decine e decine di articoli sulla stampa non solo
italiana.
Parliamo di aspetti che definirei collaterali, i quali però,
francamente, a me sembrano persino più intriganti. E qui vi segnalo un articolo
di oggi, tratto dalla costola toscana del Corriere della Sera:
Buona stampa. Anche perché mi piace l’ironia che percorre
tutto il pezzo di David Allegranti. Non che sia difficile fare dell’ironia su
questa vicenda, ma lui mi sembra farla bene.
Partiamo da Bersani. Mi vien da dire che la realtà supera la
fantasia. Nemmeno agli autori di Crozza sarebbe venuta in mente una battuta
come: “Il Pd fa il Pd, e le banche fanno le banche.” Una battuta che s’inserisce meritatamente nella scia delle
affermazioni sulle parentele di Ruby, per via della credibilità, e su quella
delle domande del tipo “E allora siamo padroni di una banca?”, per quel che
riguarda l’estraneità della politica alla gestione delle banche e in particolare di quelle maggiori (e sono
quasi tutte) che, di fatto, sono in parte pubbliche poiché le Fondazioni ne possiedono quote molto importanti.
Mi sa che Bersani, informato che Prodi è stato il miglior
leader del centrosinistra, sta cercando di imitarlo e di arrivare al 26 di
Febbraio con la stessa solida maggioranza con cui il suo Maestro è arrivato
alla guida del Governo nel 2006. Non credo che il tizio decrepito ringrazierà.
Si fregherà le mani, questo è certo, ma non ringrazierà. Anche perché, se ho
sentito bene una notizia data dal GR3 delle 13:45 di oggi, il tizio decrepito
non intenderebbe dir nulla sulla vicenda del Monte Paschi perché nutrirebbe un
particolare affetto per la banca senese. Immagino che, se vera la notizia e se
la ricordo bene, si tratterebbe di un sentimento condiviso dalle ospiti delle
cene eleganti, le quali sembra venissero pagate con i fondi personali del tizio
decrepito presso una filiale dell’area milanese di MPS, gestiti dal suo uomo di
fiducia (http://www.corriere.it/politica/11_marzo_19/altri-bonifici-auto-regalo-dal-premier-15-guastella-ferrarella_19d92d7c-51fd-11e0-a034-1db210fa1eaf.shtml).
In realtà lascia parlare i suoi lacchè e Bersani, tranquillo perché lavorano per lo stesso risultato.
Lasciamo perdere e parliamo di Mussari e del sistema
bancario.
Avvocato di nemmeno quarant’anni (se ricordo bene era il
2001), pur non avendo particolare esperienza di banche e di finanza, fu
insediato alla guida della Fondazione Monte dei Paschi, che controllava oltre
il 50% della banca. Successivamente, forse perché insoddisfatto del modesto
raggio d’azione consentitogli da quel ruolo, trovò modo di arrivare alla
presidenza della banca, che già aveva nel proprio carniere catture sanguinarie
(per il cacciatore, non per la preda) come la Banca del Salento (1999, prima dell'arrivo di Mussari), e dopo aver
atteso il momento ideale, decise l’acquisto di Antonveneta dal Santander del
quale vi ho già parlato e del quale trovate comunque molti resoconti nei
quotidiani di questi giorni.
Sembra abbastanza evidente che Mussari non sarebbe stato
all’altezza del compito, ma di questo si occuperanno la Magistratura e la storia, anzi la Storia.
Io, però, qualcosa mi sento già di dire.
Il Mussari che si è dimesso due giorni fa dalla presidenza
dell’Associazione Bancaria Italiana è esattamente lo stesso che aveva assunto
l’incarico nel 2010 e che era stato confermato nel giugno dello scorso anno.
Non sembrerebbe aver fatto gran che di nocivo tra il 2010 e l’altro ieri. Le
sue presunte colpe (i comportamenti per i quali sarebbe oggetto di indagine e
che lo avrebbero spinto alle dimissioni per evitare di danneggiare le
istituzioni che rappresentava) risalirebbero in gran parte ad anni precedenti. Questo per
pormi e porvi alcune domande. Mussari è diventato inadeguato a presiedere l’ABI
il 22 Gennaio 2013 o lo era già nel 2010 e nel 2012? I suoi scrupoli morali, a
quanto pare emersi improvvisamente due giorni fa, erano in vacanza nel 2010 e
nel 2012? Ultima, e secondo me assai più grave, visto che mi sono già dato
risposta alle due precedenti: è venuto a mancare qualche cosa in questo paese
se una persona, che sembrerebbe avere sulla coscienza qualche bel macigno, ha
ritenuto di continuare imperterrito la sua scalata al potere?
Anche a questa domanda io mi sono già dato una risposta. Voi
trovate la vostra.
L’editoriale del Corriere della Sera di oggi è affidato alla
penna di Antonio Polito.
L’argomento è l’esclusione di Nicola Cosentino dalle liste
del PDL in Campania. Polito si era già occupato della questione con un pezzo
che soltanto nelle ultime ore è stato reso disponibile nella edizione on line
(credetemi: lo tengo d’occhio da quando è uscito in cartaceo).
Buona stampa. Per il primo pezzo. Stampa così e così. Per
quello di oggi.
L’articolo di sabato mi era apparso subito convincente e,
infatti, speravo di proporvene la lettura già il giorno in cui era stato
pubblicato. Il secondo, al contrario, mi sembra criticabile, sia pure non
completamente.
A riguardo di quest’ultimo, dirò che non vedo un successo
degli Italiani nell’esclusione di Cosentino dalle liste del PDL. Io vedo
soltanto un’affermazione delle logiche assurde che governano le competizioni
elettorali in Italia, ma anche altrove. Noi, come accade sovente, riusciamo a
raggiungere livelli preclusi a tutti gli altri, ma non siamo soli a doverci
confrontare con il dilagare di un agonismo che trascende ogni ragionevolezza.
Detto altrimenti: non c’è dubbio che un partito aspiri a vincere le elezioni
come un ciclista aspira a vincere il Tour
de France, ma… Credo sia chiaro cosa intendo. L’attualità mi aiuta.
Tornando al pezzo odierno di Polito, osservo con piacere che
anche lui sottolinea (non diversamente da quanto ho fatto io ieri) come sia la
famigerata legge elettorale ancora in vigore a favorire il mercanteggiamento
attorno alle candidature. E mi conforta trovarmi d’accordo con lui sul fatto
che anche gli altri partiti non sono esenti da critiche in materia. Rimango,
tuttavia, del tutto sconcertato nel vedere che giudica una nostra vittoria la sconfitta
di Cosentino.
Cosentino (con la sua cerchia di amici) sarà anche stato
sconfitto (e lo vedremo), ma noi non abbiamo vinto. Non abbiamo vinto perché,
per esempio, in tutte le liste si trovano nomi che fanno accapponare la pelle. Per
esempio: ci siamo liberati di Cosentino, ma abbiamo ancora Verdini, tanto per
dire… Più in piccolo, ma comunque spiacevolmente urticante: Madame Ikea Anna
Finocchiaro avrà senz’altro un seggio a Palazzo Madama.
E queste, mi sforzo ancora di essere elegante, sono soltanto
quisquilie!
Il problema è che, a quasi un mese dalle elezioni, anche i
giornali più autorevoli si occupano delle liste rubate, del fratello o del
figlio di quel tale che si candida per un partito diverso da quello del famoso
parente, di chi sta un posto sopra e di chi sta un posto sotto e via di
seguito. In altre parole, uno sciocchezzaio patetico, che nulla ha che fare con
i problemi del paese. Non credo di esagerare se sostengo che politica e stampa
sono ormai completamente fuori dalla realtà e che la classe dirigente italiana
è del tutto inadeguata e connivente.
Vorrei concludere con una nota positiva. Non ci riesco
proprio. E non mi va di sprecare buona musica questa sera. Mi conviene tenere
fieno in cascina.
Non è che io sia stato tanto impegnato da non poter né
leggere né scrivere per una settimana: ero solo annichilito dall’assurda recita
cui hanno dato vita i partiti nella formazione delle liste dei candidati. Una
recita ancora in corso, perché il termine di presentazione scade tra poche ore.
Definire quello cui abbiamo assistito e cui stiamo ancora
assistendo un mercato delle vacche sarebbe offensivo per i mercati delle
vacche.
E non c’è nessuno cui sia consentito dire di essere rimasto
estraneo all’indecoroso commercio.
Non i movimenti che vorrebbero proporsi
come portatori del nuovo, abbeverati lungamente alla sacra sorgente
dell’antipolitica.
Non il PD, che ha fatto ricorso alle primarie, salvo
poi rimangiarsi in diversi casi l’esito delle medesime e garantire al
Segretario Bersani la possibilità di assegnare un po’ di posti sicuri a persone
di sua scelta, tra le quali, guarda caso, alcuni storici esponenti del partito,
personaggi ormai insopportabili per la durata incredibilmente (e immeritatamente)
lunga della loro carriera politica. Che poi, come sostengono loro, gli
esponenti del PD siano tutti immacolati, non se la beve nessuno.
Neppure Mario Monti, che vanta, a ragione, una personale
netta diversità rispetto ai politici di professione, ma che si è scelto compagni di
strada che sono per l’appunto politici di professione, tra l’altro alcuni di
quelli che, è la mia opinione ovviamente, si sono rivelati inetti quando non
addirittura dannosi.
Non faccio nomi, né per i movimenti sedicenti portatori di
novità, né per il PD, né per il raggruppamento che ha in Monti il proprio
leader. Mi pare, invece, indispensabile sottolineare come tutto quanto accade
attorno alle liste è una delle conseguenze peggiori della legge definita porcellum.
Quale sarà la ragione di tanto attaccamento al posto di
deputato o senatore? Quali saranno gli immensi benefici che costoro si propongo
di dare all’Italia e agli Italiani (dopo non averne dato nessuno per una o più
legislature)? Ammesso, e nient'affatto concesso, che tale sia il loro scopo, non possono proprio pensare di dare un contributo al futuro del
paese senza occupare uno scranno generosamente retribuito dalle casse
pubbliche?
Basta. Ho già detto abbastanza.
Parliamo di Cesária Évora, un’eccezionale cantante
originaria di Capo Verde, l'arcipelago, un tempo colonia portoghese, nel quale è nata una corrente musicale (morna) incredibilmente ricca
e fantasiosa, dotata di una spiccata identità.
Il primo brano che vi suggerisco è Carnaval De Sao Vicente, nel quale la malinconia tipica della
musica capoverdiana lascia spazio a una trascinante allegria.
Passiamo a Mar Azul,
un brano che rappresenta un esempio perfetto della morna. Anche questa è un'esecuzione dal vivo.
Chiudiamo con Paraiso De Atlantico, dedicato com'è evidente, al suo piccolo paese.
La ragione per cui me ne sono rimasto silenzioso per un paio
di giorni è che, nelle vicende italiane, trovo sempre più motivi per
arrabbiarmi e anche per radicalizzare il mio pessimismo.
E’ un articolo che, tra l’altro, aiuta a capire due cose:
chiunque vinca le elezioni avrà un compito imponente per incidere sulla spesa
pubblica e, aspetto più importante, le promesse di riduzione delle tasse, così
come vengono articolate, costituiscono una minaccia molto seria per la tenuta
dei conti pubblici nei prossimi anni. Io non credo che esista in nessuno
schieramento politico la volontà di cambiare radicalmente il modo di operare
dello Stato e degli Enti locali, condizione senza la quale la spesa resterà
sostanzialmente immodificabile. E ritengo che ancor più ostili a una riforma in
questo campo siano i sindacati. Quanto poi alla burocrazia pubblica…
E qui veniamo a un articolo di oggi: l’editoriale del
Corriere della Sera, firmato da Ernesto Galli della Loggia, il quale indica
nell’ipotetico rinnovamento della classe politica (apparentemente ricercato da
tutti i partiti “storici”) un motivo di preoccupazione, giacché verrebbero a
mancare individui che hanno l’esperienza e la conoscenza necessarie per far
funzionare adeguatamente il Parlamento e il Governo. Questo il link: http://www.corriere.it/editoriali/13_gennaio_14/equivoci-antipolitica_c3595e66-5e13-11e2-8040-f298aabecc61.shtml.
Stampa così e così. L’impianto dell’articolo mi sembra condivisibile,
ma non mi convince l’approccio un po’ drastico, che induce quasi a pensare che
Galli della Loggia preferisca continuare a vedere all’opera certi personaggi di
cui, francamente, avremmo dovuto liberarci da molto tempo.
Parliamo, ad esempio, dei Presidenti di Camera e Senato:
nella logica di Galli della Loggia credo siano da considerare persone esperte
dei meccanismi parlamentari e statali e, quindi, risorse da mantenere in
servizio anche per la prossima legislatura.
Per me, Fini e Schifani dimostrano, al contrario, quanto la
classe politica affermatasi negli ultimi quindi anni sia priva delle qualità
necessarie per svolgere adeguatamente i propri compiti. Il mancato
funzionamento del Parlamento, che tutti lamentano, avrà pure dei responsabili. Sono
il primo a riconoscere quanto peso, a riguardo, abbiano avuto le tattiche
dilatorie dei partiti, pronti a far arenare qualsiasi provvedimento sgradito.
Mi pare, tuttavia, che i Presidenti di Camera e Senato, di fronte a questo
stato di cose, si siano limitati a qualche timida e frettolosa protesta e non
abbiano fatto alcunché per cambiare la situazione. Le dimissioni sarebbero
state un gesto assai più significativo dei pavidi richiami per l’eccessivo
ricorso ai decreti da parte dei Governi.
E non parliamo della sfilza d’impegni non mantenuti sui
costi del Parlamento. Detto fuori dai denti, Fini e Schifani non dovrebbero essere ricandidati. E mi spiace molto che il Professor Monti non abbia saputo farsi valere nel suo schieramento.
Lasciando questi due casi particolari, se andiamo a guardare come si vanno formando le liste e
a leggere i nomi di alcuni candidati, allora è anche più difficile dare ragione a Galli
della Loggia.
Ieri sera mi sono fatto del male e ho guardato la
trasmissione del giornalista più pagato del mondo in rapporto alla qualità del
suo lavoro, nella quale era ospite il tizio decrepito. Uno spettacolo squallido. Un’altra scurrile
prova di come questo paese sia avviato verso un declino senza speranze,
alimentato da ogni componente della cosiddetta (e sedicente) classe dirigente,
alla quale interessa nulla del futuro degli italiani, ma solo il proprio
presente e la propria presente convenienza.
Buona stampa. Per Aldo Grasso. Mala stampa. Per il maggiore
quotidiano italiano che mi sembra avvitarsi in un circolo vizioso alla ricerca di
una facile audience.
Buona stampa. Il modo in cui i partiti gestiranno le scelte
dei candidati la dirà molto lunga sulle reali intenzioni dei loro leader. E anzi già abbiamo molto indizi preziosi, come ci spiega Folli.
Cronaca, nessun voto. Quanto alla figlia di Craxi… cosa
volete che dica? Provo a cavarmela con una battuta: mi pare che la genetica sia
una condanna sufficiente.
Cronaca, nessun giudizio, salvo apprezzare molto, anzi
moltissimo le parole del Presidente Napolitano e del Ministro Severino.
Mortificazione e avvilimento sono certamente i sentimenti che prova chi, come
loro (per quanto hanno detto e fatto) e i comuni cittadini italiani, non ha
responsabilità riguardo al trattamento incivile cui sono sottoposti i carcerati
nel nostro paese.
Altri, che sono sicuramente ben lungi dal sentirsi
mortificati e avviliti, dovrebbero vergognarsi, ma ciò è manifestamente
impossibile. Parlo dei membri del Parlamento italiano che, tra le tante, anche
di questa questione hanno preferito non occuparsi, presi evidentemente da
altro. E più ancora dei deputati e dei senatori, la più profonda e
irrimediabile vergogna dovrebbero provarla coloro che della Camera e del Senato
sono le massime autorità. Già, dimenticavo, le massime autorità della Camera e
del Senato sono Fini e Schifani. Da loro non c’è da aspettarsi niente,
figuriamoci la vergogna per l’inefficienza degli organi che hanno guidato per
quasi quattro anni. Fini e Schifani sono quelli che avevano promesso
solennemente di ridurre in modo drastico i costi del Parlamento entro il 31
gennaio. Del 2012, non del 2013… Avete visto qualcosa?
Lasciamo perdere, anche se su Fini forse torneremo, magari
passando da Montecarlo.
Buona stampa. D’Alimonte è preciso e chiaro in una materia
che, per natura, è fumosa e incerta. Forse perché i numeri li studia e non li
da…
Delle prossime elezioni, purtroppo per voi e per me, si
parlerà ancora. Spero di riuscire a farlo con un’idea che vi piacerà.
Passiamo alla musica e mi sembra doveroso, dopo aver molto privilegiato
il jazz e il rock, dare spazio alla musica classica. Ascoltiamo il Concerto per
oboe di Vincenzo Bellini che, se non sbaglio, ha avuto maggior successo nelle esecuzioni
con la tromba al posto dello strumento previsto originariamente. In questo caso
il solista è il trombettista francese Maurice Andrè, del quale tra poche
settimane cadrà il primo anniversario della morte (http://it.wikipedia.org/wiki/Maurice_Andr%C3%A9).
Oggi ho deciso di lasciar perdere i quotidiani italiani, ai
quali ho forse dedicato troppo tempo (con ovvi effetti collaterali sull’umore),
e di riprendere a vagabondare tra i siti di quelli in lingua inglese. E subito,
come altre volte in passato, ho notato nei grandi newspaper di tradizione anglosassone l’assenza di quella che viene
da molti chiamata la “colonna infame”. Alludo allo spazio, solitamente in
verticale sul lato destro dell’edizione on line dei quotidiani italiani,
riservato al pettegolezzo e alle vicende delle cosiddette celebrità.
Fate una verifica anche voi. E non considerate soltanto i
santuari della stampa inglese, quali The
Times, The Financial Times e The Guardian, e di quella americana,
ossia The New York Times, The Washington Post, The Los Angeles Times e The Wall Street Journal. Fate un giretto
anche dalle parti di Toronto con The
Globe and Mail (http://www.theglobeandmail.com/), di Hong Kong con The South China Morning
Post (http://www.scmp.com/), di Sydney
con The Sydney Morning Herald (http://www.smh.com.au/) e di Auckland con The New Zealand Herald (http://www.nzherald.co.nz/). Tutti questi
quotidiani, i santuari e gli altri meno celebrati, ritengono di non dover
rifilare ai loro lettori pseudo notizie relative a pseudo personaggi. E,
guardando alla questione da un altro punto di vista, non cercano facile
successo rivolgendosi alle parti basse dell’individuo. Questo, purtroppo, non
accade nei nostri quotidiani, anche quelli dei quali saremmo portati a essere
orgogliosi.
Io qualche idea me la sono fatta sul perché il Corriere e La
Stampa, giusto per fare due nomi, non seguano l’esempio dei colleghi di New
York o di Hong Kong, ma, per ora, preferisco che, se ne avete voglia, ci
pensiate sopra per conto vostro.
Veniamo al tema principale di questo post, ossia un articolo
che ho trovato su The Guardian e
dedicato a un argomento che mi sta particolarmente a cuore, ossia il cibo. In
realtà, il cibo è soltanto uno dei temi di questo pezzo abbastanza denso, interessante
e anche un po’ inquietante. Il complesso legame tra scienza, agricoltura e
alimentazione è e sarà sicuramente uno dei grandi problemi dell’umanità. Ed è
un tema che, come sovente accade, suscita grandi scontri ideologici, quel
genere di confronto che esclude qualsiasi intesa e che, in definitiva, rende
difficile capire e scegliere la strada migliore per tutti.
Ci sono troppi egoismi e troppi pregiudizi, oltre
che interessi economici e politici, che impediscono di affrontare la
questione della modificazione genetica dei prodotti agricoli e dei vantaggi e svantaggi che
essa potrebbe portare nella nostra vita (nostra nel senso di uomini, tutti gli uomini, non solo quelli dei paesi ricchi).
Uno di questi scontri ideologici si è verificato nel 2012 in
Italia e ha riguardato la produzione del mais che, per le condizioni climatiche
particolarmente secche e calde dello scorso anno, alla raccolta presentava
quasi ovunque, ma in particolare nell’area della Pianura Padana (che è quella a
più alta produttività mondiale), un carico di aflatossine (http://www.treccani.it/enciclopedia/micotossina/
e http://it.wikipedia.org/wiki/Aflatossina)
superiore al livello consentito nel nostro paese, ma inferiore a quello
previsto dalla normativa della UE. Non voglio annoiarvi con la cronaca puntigliosa
di quel che ne è seguito. Basti dire che si è innescato uno scontro tra
associazioni di categoria e autorità pubbliche e, più grave, tra le
associazioni di categoria (evidentemente più interessate a farsi la guerra che
non a tutelare realmente gli interessi degli agricoltori e dei consumatori) che
ha portato alla sostanziale paralisi del mercato del mais per molti mesi e a
seri problemi economici e finanziari di tutta la filiera che, probabilmente, si
faranno sentire anche per i prossimi anni. Anche su questo non vi darò la mia
opinione, ma lascerò che voi formiate autonomamente la vostra, magari andando a
cercare ulteriori notizie, così da capire i meccanismi interessati e i rischi
di varia natura che questi temi comportano.
Sul Sole 24 Ore di oggi, nella rubrica Parterre dedicata alle vicende
delle società quotate in borsa, ho trovato un articoletto interessante, che
rimanda a uno, presumibilmente più corposo, del Wall Street Journal, che però
non è disponibile per chi, come me, non è abbonato al quotidiano americano.
Stringi stringi, il punto è questo: Bankia, la banca
spagnola creata nel 2010 facendo confluire in essa sette casse di risparmio
piuttosto malandate, è pronta al tracollo esattamente come gli istituti da cui
è nata. Dietro questo dato di fatto, in realtà piuttosto prevedibile (perché,
anche nel mondo bancario, le operazioni stile Barone Frankenstein difficilmente
producono risultati positivi) c’è la gestione disinvolta di un sistema, quello
delle casse di risparmio spagnole, asservito al sistema politico. E, infatti,
spiega il Wall Street Journal, le azioni intraprese dai risparmiatori spagnoli
(che si ritrovano fra le mani titoli di Bankia che valgono frazioni risibili di
quanto li hanno pagati) difficilmente colpiranno i responsabili del disastro,
in primo luogo l’ex presidente Rodrigo Rato, un passato da vicepremier con
Aznar. Questo perché, ovviamente, a nessuno schieramento politico interessa che
si faccia chiarezza sullo scandalo, anzi. A riprova del fatto che in Spagna
i partiti si sono seduti tutti alla tavola delle casse di risparmio e si sono
abbondantemente ingozzati.
Ho sbagliato, dovevo scrivere a: a riprova del fatto che,
ANCHE in Spagna,…
E già, perché non è che dalle nostre parti il sistema delle
fondazioni bancarie (che sono l’invenzione politica per far sopravvivere un
sistema dopo che le casse di risparmio erano diventate, si fa un po’ per dire,
banche come le altre) sia così virtuoso e non abbia le sue belle gatte da
pelare.
A parte il caso limite della Fondazione Monte Paschi e della
Banca Monte Paschi, entrambe assai malmesse, ci sono condizioni di malessere
diffuso, tanto che gran parte delle fondazioni ha dovuto ridurre, e molto, la
distribuzione di fondi nei territori di attività (loro scopo primario) e anche
allentare la presa sulle banche (apparentemente private) di cui sono azionisti
importanti (IntesaSanPaolo e Unicredit tra tutte).
Mi piacerebbe che, come più volte sollecitato da Luigi
Zingales, Mario Monti trovasse un po’ di spazio nella sua agenda per eliminare
questo subdolo strumento con cui la politica continua a mantenere una presa
salda sull’economia, anche e soprattutto attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, emanazione delle Fondazioni e del Ministero dell’Economia e una
specie di nuova IRI, con la quale si sono attenuati, se non annullati, gli
effetti della breve e pavida stagione delle privatizzazioni. Vedremo se Monti
avrà il coraggio di agire su questo fronte, di certo non aspettiamoci che lo
facciano gli altri. Tra i tanti scopi non detti delle fondazioni c’è, infatti, quello di
offrire poltrone da distribuire…
In questo settore, però, non siamo in compagnia dei soli
spagnoli: anche la Germania ha le sue belle gatte da pelare. Le banche locali
tedesche, infatti, sono anch’esse terra di conquista della politica e non
godono di buona salute. Intendiamoci, il fatto che anche i primi della classe
abbiano scheletri nell’armadio non mi sembra una consolazione: non credo esista
un proverbio meno sensato di quello che sostiene essere il male comune un mezzo
gaudio.
Anzi, il fatto che le Landesbanken
navighino in cattive acque e che i politici tedeschi non vogliano controlli di
enti terzi è all’origine dei ritardi e dei limiti di competenza con cui si sta
trasferendo alla BCE il controllo sul sistema bancario dei paesi dell’Eurozona.
Non ho parlato delle vicende politiche in Italia, o ne ho parlato molto poco, chissà
perché? Chissà, magari non volevo farvi (e farmi) arrabbiare...
Mi nasconderò con piacere dietro lo schermo meraviglioso della musica.
Gli ultimi pezzi che vi ho fatto ascoltare erano le versioni
jazz di due brani di diversa origine.
One Day I’ll Fly Away,
infatti, è una canzone scritta nel 1980 e portata al successo da Randy
Crawford, una delle migliori interpreti di quel territorio fertile che sta ai confini
del blues, funky, jazz e altro (http://en.wikipedia.org/wiki/One_Day_I%27ll_Fly_Away).
Mi sembra giusto farvi sentire la versione originale, perché Randy Crawford è davvero brava e ha una voce importante.
La seconda canzone che vi suggerisco di ascoltare è quella
di Clapton interpretata splendidamente dal sassofono di Joshua Redman. Anche
riguardo a Tears in Heaven trovate
informazioni su Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Tears_in_Heaven).
Ve ne propongo due versioni, quella di Eric Clapton
e quella, servita a raccogliere fondi a favore delle vittime
dello tsunami del 24 dicembre 2004, interpretata da un folto gruppo di grandi nomi del pop.
Non so ancora esprimere un’opinione netta sul progetto
politico di Mario Monti. I miei tre lettori sanno che sono suo estimatore, ma
sanno anche che ciò non m’impedisce di considerare gli errori compiuti come
Presidente del Consiglio e i limiti del Governo da lui presieduto. A oggi,
francamente, mi sembrano prevalere i motivi per giudicare negativamente la sua
iniziativa politica, un giudizio che risente più della compagnia con cui si è
messo in viaggio che degli obiettivi.
D’altra parte, l’accanimento con il quale Monti è oggetto di
attacchi da ogni dove, da Bersani al tizio decrepito, da Grillo a Maroni, mi
sembra dimostrare che tutti lo temono e temono il percorso che vorrebbe far
fare all’Italia nel caso in cui ottenesse un riconoscimento significativo alle prossime
elezioni.
Veniamo alla musica e sfrutto una ricorrenza per farvi
ascoltare la voce di una brava cantante americana (non fatevi ingannare dal
nome, è nata negli Stati Uniti, per la precisione in Georgia), di cui vi ho già
parlato: Madeleine Peyroux. Oggi è il suo compleanno, la festeggiamo dando
spazio a due sue interpretazioni.
Cominciamo con Summer
Wind, un brano che deve gran parte della sua popolarità al fatto che fu cantato
da Frank Sinatra (http://en.wikipedia.org/wiki/Summer_Wind).
La versione della Peyroux è tratta dall’album Half the Perfect World del 2006.
Passiamo a una canzone eseguita dal vivo più di recente, si
tratta di un brano scritto dalla stessa cantante, la quale ne sottolinea la
natura autobiografica, sostenendo che “c’è tutta la sua vita”. Don’t Wait Too Long, registrata nel 2009
a Los Angeles.
Buon compleanno a Madeleine Peyroux e Buon 2013 ai miei tre
lettori.