Nel settembre del 2008, forse perché il governo americano
non s’impegnò fino in fondo, la banca d’investimento Lehman Brothers, anziché
essere assorbita dall’inglese Barclays Bank, finì in bancarotta. Fu l’evento
che scatenò la crisi finanziaria ed economica (le cui origini risalivano
all’anno precedente) di cui stiamo ancora pagando l’altissimo prezzo. A ben
vedere, come dimostra la dimensione dei pagamenti via via effettuati ai
creditori di Lehman dal fallimento, l’istituto americano sarebbe forse riuscito
a sopravvivere. Questa considerazione, tuttavia, rientra nella definizione di
“senno del poi”, perciò ha un valore modesto.
Il punto su cui vorrei attirare l’attenzione è che, dietro la decisione di lasciar fallire Lehman, che formalmente va attribuita all’autorità di sorveglianza inglese che negò a Barclays l’autorizzazione a rilevare la banca americana, s’intuisce la volontà, anche delle istituzioni americane, di “impartire una lezione”. Si voleva far capire che non esistevano istituzioni troppo grandi per fallire e, quindi, indurre il mondo bancario a ridurre drasticamente la rischiosità e l’opacità degli investimenti.
Mi azzardo ad affermare che la lezione non ha avuto il
successo sperato.
In queste ore assistiamo a una situazione in qualche modo
simile. La vicenda greca, infatti, sembra destinata a concludersi nel modo
peggiore e, in parte, ciò avviene perché si è deciso, soprattutto da parte
dell’Unione Europea, ma anche da parte del Fondo Monetario Internazionale, di
parlare alla Grecia perché altri intendessero. E’ stata una decisione politica
presa a fronte di una decisione politica del popolo greco (il voto a Syriza) e
del governo di Atene (la proposta di referendum per respingere le richieste dei
creditori).
Sulla decisione del FMI pesa senz’altro il fatto che,
diversamente da quanto accadeva sino a pochi anni fa, all’interno dell’istituzione
contano assai di più le opinioni dei paesi di recente industrializzazione, alcuni dei quali
conservano il ricordo di come sono stati trattati quando hanno avuto bisogno di
sostegno da parte del FMI stesso.
Per quanto riguardo l’Unione Europea, il problema è
sostanzialmente determinato da due fattori: l’assenza di una classe politica
capace di governare il processo di integrazione e la paura dell’affermarsi, in
gran parte dei paesi membri, di partiti e di movimenti radicalmente contrari
all’Unione stessa e alla moneta unica.
A conferma di quanto sostengo, vi segnalo due articoli da Il
Sole 24 Ore di oggi. Il primo è di Adriana Cerretelli: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-06-28/il-doppio-fallimento-che-paghiamo-tutti-091458.shtml?uuid=ACorgNI.
Il secondo è di Luigi Zingales: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-06-28/i-tempi-finanza-tempi-democrazia-081428.shtml?rlabs=2.
Buona stampa. In entrambi i casi. Sia Cerretelli sia
Zingales sottolineano la gravità delle condizioni di vita della popolazione
greca e segnalano i rischi di un deterioramento drammatico delle stesse come
conseguenza dell’eventuale uscita della Grecia dall’Ue (non si esce soltanto
dall’euro, come ho già scritto).
Sia chiaro, con questo non voglio negare le responsabilità
dei governi di Atene, dell’attuale e di quelli che l’hanno preceduto, e anche
dei greci. Ci sono e sono gravi. Soprattutto, nel fallimento della trattativa
con l’Europa, le colpe vanno ascritte a Tsipras e ai suoi ministri, il cui
comportamento è stato tale da radicalizzare il confronto e da esasperarlo con
atteggiamenti deliberatamente provocatori.
Leggere la lettera che Tsipras ha scritto al popolo greco
per spiegare il ricorso al referendum è sicuramente interessante. La trovate
qui: http://www.listatsipras.eu/blog/item/3000-la-lettera-di-alexis-tsipras-a-tutti-i-greci-e-le-greche.html.
Ne riporto un periodo che, a mio parere, mette in evidenza
la logica ricattatoria che ha caratterizzato l’atteggiamento del governo greco
sin da quando si è insediato e ha cominciato a trattare la questione del
debito: Queste proposte mettono in
evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di
austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le
leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle
iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico,
una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro
dell’unità europea.
Mi pare sia evidente che, secondo Tsipras, la crisi del
debito greco è questione che riguarda soprattutto i creditori, non il governo
greco, e che le responsabilità ricadono sulla classe politica europea e non su
quella di Atene. Vero che si tratta di una lettera scritta per scopi
elettorali, ma… Ma lasciamo alla Storia il suo compito. Io non sono certo
all’altezza.
Chiudiamo con l’attualità. Le notizie dell’ultima ora
indicano che, da domani, le banche greche saranno chiuse per sei giorni, una
misura decisa per evitare la corsa agli sportelli che darebbe il colpo di
grazia al sistema, già pesantemente indebolito dai massicci prelevamenti dei mesi
scorsi (e dall’esportazione di capitali che è pratica diffusa quanto l’evasione
fiscale). Ecco il pezzo de Il Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-06-28/grecia-rischio-liquidita-varoufakis-valuteremo-controlli-capitali-e-chiusura-banche-170937.shtml?uuid=ACFBJRI.
Cronaca. Osservo, con rammarico, che Tsipras ha ritenuto di
dover accusare della decisione la Banca Centrale Europea, commettendo, credo,
un grave errore. Se c’è stata un’istituzione sovranazionale che, in questi
mesi, si è mossa con straordinaria attenzione e credibilità, dando il massimo
sostegno alla Grecia, questa è stata la BCE, che oggi non può, a norma di
legge, andare oltre. Tsipras ha commesso un altro, gravissimo, errore politico.
Un’ultima osservazione. Per l’Italia il fallimento della
Grecia avrà un costo molto alto, quantificato tra i 40 e i 65 miliardi. Una
somma che, come comprenderebbe anche un bambino, spazza via le fanfaronate
ottimistiche di Renzi.
Niente musica stasera. Solo il saluto di Edward R. Murrow.
Buona notte e buona fortuna.
Il confronto con Lehman anche se fa rima non e' secondo me quello giusto. Lehman fu un caso come ben dici di dover fare un punto, ma alla fine le conseguenze furono non tanto la causa della crisi bensì il suo catalizzatore: la crisi era li' pronta per qualunque occasione. E quello che stiamo vivendo oggi e' semplicemente un altra fase della stessa crisi, che essenzialmente si rifà all'accumulo d'indebitamento globale. Continuiamo a spingerci avanti evitando il "peggio", ma purtroppo diventa sempre peggio... La Grecia di per se e' molto peggio di Lehman: Lehman era una crisi di liquidità; la Grecia non e' solvente.
RispondiEliminaSono d'accordo riguardo a Lehman e infatti ho scritto che ha scatenato una crisi già in atto. In realtà, il mio intento nell'accostare Lehman e Grecia non era affermare una similitudine di condizione tra i due debitori, ma sottolineare il fatto che, in entrambi i casi, le istituzioni di controllo hanno agito per mandare un messaggio, non per affrontare effettivamente il problema specifico. In ogni caso, ci vorrà davvero il lavoro degli storici per capire fino in fondo come sono andate le cose con la Grecia
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