sabato 6 giugno 2015

Cinquant'anni di Satisfaction


Il problema dei migranti non si concentra soltanto nel Mediterraneo, com’è purtroppo ovvio in considerazione delle molteplici situazioni che spingono intere popolazioni a fuggire dalla nazione in cui vivono.
Un caso particolarmente drammatico è quello dei Rohingya, popolazione di religione musulmana e originaria del Bangladesh, che vive in Myanmar. La loro drammatica condizione ha trovato uno spazio relativamente modesto nella stampa sia italiana sia internazionale.
Un primo articolo lo avevo letto su The Guardian alcune settimane fa: http://www.theguardian.com/world/2015/may/13/rohingya-muslims-malaysia-indonesia-burma-aung-ming-lar.
Ieri, il mio amico Roberto Plaja (sì, l’autore di theboxisthereforareason; leggete l’ultimo pezzo: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/06/04/beware-what-you-wish-for/?utm_content=bufferb6714&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer) ha condiviso su Facebook il post di un blog del New York Times dedicato alla fotografia: http://lens.blogs.nytimes.com/2015/06/04/rohingya-refugees-stateless-in-southeast-asia/?_r=0
Sempre ieri, su Il Sole 24 Ore c’era un articolo di Gianluca Di Donfrancesco che, purtroppo, ho dovuto acquisire con lo scanner.


Buona stampa. Per tutti. Le dimensioni di questa tragedia umanitaria sono forse inferiori a quelle che ci riguardano più da vicino, ma fare graduatorie in questo campo è del tutto insensato. Si deve, invece, considerare attentamente il fatto che aumentano costantemente le aree del mondo nelle quali si creano condizioni tali da indurre decine o centinaia di migliaia di persone a sradicarsi dai luoghi in cui vivono da sempre.
Il mondo sembra assistere impassibile al ripetersi di eventi simili, il cui primo esempio che ha avuto notorietà internazionale, se non sbaglio, fu quello dei Boat People che fuggivano dal Vietnam alla metà degli anni 70.
Sono passati quarant’anni da allora, ma il dramma si ripete con frequenza sempre maggiore e nella sostanziale indifferenza delle organizzazioni internazionali (con l’eccezione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che può comunque poco).
Assistiamo inerti al moltiplicarsi dei casi di “stati falliti” e di regimi autoritari che esaltano le differenze etniche e religiose e che si dedicano con determinazione alla eliminazione delle minoranze, situazioni che sono alla base delle migrazioni di migliaia di disperati alla ricerca di nazioni in cui condurre una vita dignitosa e sicura. Quando si parla del problema della migrazione, per prima cosa, a mio modestissimo avviso, si dovrebbe considerare questa situazione. Affrontare il problema degli scafisti libici, che pure va affrontato e anche con durezza, significa curare un sintomo, non la malattia.
Passiamo alla guerra contro quelli che vorrebbero privare l’umanità della musica. Oggi ricorre un anniversario piuttosto importante. Sono trascorsi esattamente 50 anni dalla pubblicazione di una della più famose canzoni dei Rolling Stones, Satisfaction (http://en.wikipedia.org/wiki/%28I_Can%27t_Get_No%29_Satisfaction). Potrei non farvela ascoltare? Eccola, eseguita dal vivo proprio nel 1965.


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