Appare in qualche misura anomala la decisione del Governo di
affidare a tecnici esterni il compito di valutare specifici segmenti della
spesa pubblica e di individuare le misure da porre in atto per ridurla. Si
sarebbe, infatti, portati a ritenere che le competenze (tecniche) dei ministri
e dei sottosegretari, oltre che dei dirigenti ministeriali, dovrebbero essere
sufficienti per affrontare e risolvere la questione.
Decisione un po' anomala, non c’è dubbio, ma meno di quanto
potrebbe sembrare. A me pare, anzi, determinata da uno stato di cose sul quale,
stimolato dalle riflessioni di Galli della Loggia e di Panebianco, avevo già
espresso il mio parere: ossia il fatto che la provenienza di molti tra ministri
e sottosegretari dalla carriera pubblica e, in particolare, dal Consiglio di
Stato costituiva un potenziale problema perché le esperienze lavorative
precedenti avrebbero finito per costituire un freno alla loro azione
riformatrice. E non sbagliavo. Che sia stata l’abitudine mentale piuttosto che
la forza delle relazioni con i colleghi rimasti nei ranghi della burocrazia
poco importa, quel che conta è che si siano formate anche all’interno del
Governo resistenze piuttosto forti a una riduzione drastica della spesa (non di
tutta la spesa pubblica, ma di quei 200 miliardi circa che sono considerati veri sprechi o importi comprimibili con decisione). E non parliamo dell’assoluta
indisponibilità dei partiti a sottoporsi a una cura dimagrante degna di questo
nome.
Insomma: nel Governo, nella pubblica amministrazione (a Roma
come in periferia), in Parlamento, negli Enti Locali, nelle aziende di proprietà dello Stato o di altre entità pubbliche,
ovunque si vedono i segni dell’opposizione al cambiamento che passa attraverso
la riduzione della spesa, un passaggio che, naturalmente, può risultare
soltanto indigesto a chi da quella spesa trae beneficio, comprese anche le vaste
aree di corruzione che prosperano, ad esempio, nelle forniture sanitarie
piuttosto che in quelle militari.
Vedremo se i tecnici chiamati da Monti ad affrontare il problema riusciranno nell’intento.
Su Bondi e Giavazzi sono fiducioso, soprattutto riguardo al
primo, che ha un curriculum professionale e un profilo personale eccellenti.
Anche il secondo ha tutti i requisiti, ma ha anche un piccolo neo: ha fatto parte
del team che, alla fine degli anni Novanta, insieme a Draghi e altri, ha organizzato,
dal Ministero dell’Economia, la privatizzazione di alcune grandi imprese pubbliche, un processo non proprio impeccabile.
Amato, al contrario, mi lascia piuttosto perplesso. Capisco
che possa essere ben visto dagli interessati al suo campo di azione (ossia i
partiti), ma temo non abbia la cultura e la determinazione necessarie per usare
gli strumenti da taglio indispensabili in questo campo. Vi ricordate lo stupore
quando gli hanno chiesto delle sue numerose pensioni? Uno così, le risorse ai
partiti, al massimo le lima un po’.
Stiamo a vedere. Intanto, per farvi un’idea del ruolo di
questi tre “commissari”, ecco un pezzo del Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-01/nome-enrico-bondi-ecco-154357.shtml?uuid=AbBsuBWF).
Buona stampa.
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