Sulla questione dei migranti si assiste a un desolante
starnazzare di politici, sedicenti esperti e presunti intellettuali. Ognuno ha
una sua soluzione destinata a risolvere il problema in un battere di ciglia.
Per non farci mancare nulla, in Italia diamo spazio anche alle opinioni di
cantanti senescenti e subrettine in disarmo, perché da noi tutti sono
autorizzati a parlare di tutto e i mezzi di comunicazioni si affrettano a
riportare.
Anch’io penso qualcosa e, guardate un po’, ho deciso di
farvela conoscere, anche se vale ovviamente assai poco di fronte alle meditate opinioni di
queste personalità geniali e preparatissime.
Io penso che nulla faccia più danno, di fronte a eventi così
gravi, del pressapochismo e dei preconcetti. E che non abbiamo
di fronte una questione che si risolve schioccando le dita, ma ragionando
attentamente e realisticamente sulle varie implicazioni di ogni decisione.
Non sono sicuro che questa banalissima opinione sia presente
nelle proposte che riempiono trasmissioni televisive e pagine dei quotidiani.
Ancora una volta, abbiamo di fronte a noi politici (non solo
italiani) preoccupati esclusivamente di sopravvivere al prossimo voto e, per
raggiungere lo scopo, anche su un tema riguardo al quale dovrebbero prevalere
esclusivamente le considerazioni umanitarie, insistono ad accarezzare la pancia
dei propri potenziali elettori. La forma cambia, ma la sostanza è la stessa. Ci
sono quelli che si affidano alla rapida battuta e quelli che si dilungano i
fantasiose analisi antropologiche, gli uni come gli altri senza proporre nulla
di concreto e plausibile: a seconda dei casi offrono fumo, motivi di odio e di
protesta, utopie e blabla vari.
I quotidiani dedicano all’argomento pagine e pagine, da noi
come altrove. Mi pare che, in questo riservare tanto spazio alla tragedia degli
ultimi naufragi, ci sia anche il tentativo, inutile, di togliersi qualche macchia dalla
coscienza perché non si è esercitato un adeguato livello di pressione sulla
classe politica (di tutti i paesi) affinché si facesse carico della questione
seriamente.
L’Europa, gli Stati Uniti, le Nazioni Unite, ma anche la
Russia e la Cina, in misura diversa, hanno dimostrato una volta di più l’assenza
di visione, di prospettiva, di sensibilità della classe politica.
Chiuderò dicendo che, a questo punto, c'è da sporcarsi le mani e gli anfibi. E qui mi fermo su questo argomento.
Cambiamo tema. Veniamo alla mia regione, che costituisce un esempio significativo dei limiti culturali della classe imprenditoriale
italiana e delle conseguenze negative della presenza della mano pubblica
nell’economia. Ecco un bel pezzo di Gigi Copiello dal Corriere del Veneto di oggi.
Dell’autore vi ho già parlato, ma ribadisco: è uno che pensa e parla chiaro.
Leggete per credere. Acquisito con scanner.
Buona stampa. Per capire quanto abbia ragione Copiello, vi
vorrei far leggere un articolo da Il Sole 24 Ore di oggi, nel quale il
Presidente di Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, insiste nel riproporre
l’unione tra la sua banca e Veneto Banca. Ecco i due file del pezzo.
Non capisco l’insistenza di Zonin nel riproporre un progetto
al quale il Presidente di Veneto Banca Favotto ha già risposto negativamente,
spiegando che la banca da lui guidata ha altre priorità e, comunque, ha
consulenti al lavoro nell’individuazione della soluzione migliore per un
eventuale aggregazione o fusione. La fretta non è mai una buona consigliera,
soprattutto in situazioni nelle quali si devono ancora mettere a fuoco tutti i
dettagli (e, forse, tirare fuori ancora qualche scheletro
dall’armadio).
Non piace, dunque, la fretta di Zonin e neppure quel suo
continuo richiamo al territorio che, purtroppo, come dimostrano proprio le
vicende recenti di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è stato sì al centro
dell’attività creditizia dei due istituti, ma anche l’ambito nel quale si sono
sviluppati rapporti non sempre trasparenti e l’autoreferenzialità della
dirigenza che ha senz’altro contribuito a renderli entrambi fragili, assai più
fragili di quanto cercavano di apparire, anche attraverso la fissazione del
valore delle proprie azioni.
Azioni che, ancora, resteranno sottratte alla valutazione
del mercato, perché entrambe le banche intendono affidarne la negoziazione a
sistemi estranei alla Borsa, la cui efficacia è tutta da dimostrare.
Temo che gli azionisti avranno ancora ragione di lamentarsi,
sebbene, come ho già scritto in precedenza, non provi particolare solidarietà
nei loro confronti, perché adesso si lamentano, ma quando (apparentemente) tutto
andava bene, allora non avevano nulla da ridire. Non si lamentavano quando
venivano distribuiti dividendi forse un po’ troppo generosi e quando si
fissavano valori delle azioni assai poco realistici, non soltanto se comparati con quelli
delle banche quotate, anche popolari.
E qui torniamo, purtroppo, alla questione della scarsa
conoscenza dei mercati finanziari e delle regole da seguire per stabilire come
investire il proprio denaro. Manco a farlo apposta, ieri Roberto Plaja ha
scritto un breve, ma illuminante pezzo che spiega la differenza tra le due principali
categorie di azioni (non mi piace usare le parole inglesi, ma i concetti ormai sono espressi ovunque così: value e growth). Leggetelo! Ecco il link: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/04/21/the-glass-is-half-full-the-glass-is-half-empty/.
Per la nostra battaglia oggi schiero un gruppo americano di musica country, The Felice Brothers (http://en.wikipedia.org/wiki/The_Felice_Brothers). Il brano s'intitola Frankie's Gun. Qualcosa di diverso da quello che vi propongo abitualmente.
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