Ieri Barack Obama e George W. Bush hanno commemorato John McCain nel corso della cerimonia funebre svoltasi a Washington. Hanno parlato brevemente, con gli stili oratori assai diversi che abbiamo conosciuto negli anni in cui erano presidenti.
Quello che succede in Italia e nel mondo, come ne parla la stampa e quel che ne penso io. Con attenzione per politica, economia e finanza.
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domenica 2 settembre 2018
domenica 6 dicembre 2015
Le seconde domande se le dimenticano sempre
Grazie a una condivisione su Facebook della mia amica Barbara, ho scoperto questo articolo di Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana: http://m.famigliacristiana.it/articolo/blair.htm.
Buona stampa. Anch’io penso, e non da ieri, che la decisione di invadere l’Iraq di Saddam Hussein sia stata un drammatico errore per le popolazioni locali e anche per noi occidentali. Quella guerra, ingiustificata e iniziata senza nessuna visione a medio e lungo termine e nessun piano per il dopoguerra, ha aperto un periodo di instabilità per tutto il Medio Oriente e di terrore per le popolazioni di molti paesi dell’area e anche per larga parte del mondo.
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lunedì 12 ottobre 2015
Vuoto
Cominciamo con un’immagine che ho scovato in rete e che ho deciso di proporvi quasi d’impulso. Il senso di questa immagine mi sembra immediatamente evidente: l’Europa ha perso il suo ruolo nel mondo.
mercoledì 11 giugno 2014
Undici anni di pace...
Era il 1° Maggio del 2003 quando, sul ponte della portaerei USS Abraham Lincoln, George W. Bush
pronunciava un discorso che, alla luce dei fatti, si può tranquillamente
definire un paradigma di mistificazione e di velleitarismo. A rivedere oggi le
immagini di quel giorno (un esempio da Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/2003_Mission_Accomplished_speech#mediaviewer/File:USS_Abraham_Lincoln_%28CVN-72%29_Mission_Accomplished.jpg),
con quell’enorme striscione “Mission
Accomplished” posto di traverso sulla torre di comando della Lincoln, vengono i brividi al pensiero
dei morti derivati dalla decisione inspiegabile di invadere l’Iraq: svariate
migliaia, iracheni e non, civili e militari. Gran parte dei quali dopo quel
giorno di pretestuosa celebrazione.
Tutto appare ancor più insensato alla luce di quanto
accaduto nelle ultime ore proprio nell’Iraq che Bush, undici anni fa, intendeva
spacciare per pacificato e democratizzato.
Un’ampia porzione del paese è ormai controllata dai membri
di Al Qaeda, esattamente il nemico che si dava per debellato grazie
all’invasione di Afganistan e Iraq.
L’argomento, ovviamente, trova spazio in tutti i giornali,
vi segnalo un pezzo dal Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-11/iraq-caos-mosul-cade-anche-tikrit-stato-islamico-avanza-160434.shtml?uuid=AB9O92PB.
Buona stampa.
Quello che viene descritto è l’ennesimo esodo biblico di
profughi che cercano scampo alla violenza e speranza per il futuro. E si fatica
a non ripensare ai tanti che si sono succeduti negli ultimi anni, da quando
abbiamo deciso di “esportare la democrazia”, un bene che si produce soltanto in
loco e che deve germogliare spontaneamente.
Noi occidentali, tutti, direi indistintamente, abbiamo inanellato
una serie di errori drammatici, quasi sempre per interessi o obiettivi politici
nazionali, senza preoccuparci delle conseguenze di azioni che andavano a
scardinare fragili equilibri. Sia chiaro, non sto difendendo Saddam o Gheddafi,
Mubarak o Ben Alì e, men che meno, Bashar Assad. Non posso, tuttavia, evitare
di pensare che il risultato dei nostri interventi, purtroppo, è stato pessimo
proprio per chi, a parole, avremmo inteso aiutare.
E non posso evitare di pensare anche al destino che
conosceranno tanti tra coloro che scappano da Mosul e Tikrit. Molti di loro,
temo, troveranno la morte per cercare di raggiungere l’Europa, di attraversare
il Mediterraneo, un mare che, oggi persino più che in passato, divide anziché
unire.
giovedì 20 giugno 2013
Abbandoni
L’abbandono degli animali durante i mesi estivi credo sia
una vergogna nazionale. Non conosco i dati degli altri paesi, non intendo fare
confronti, mi basta leggere questo breve articolo del Corriere della Sera per
rabbrividire e chiedermi cosa abbiano nella testa trecentocinquantamila
italiani: http://www.corriere.it/animali/13_giugno_20/abbandonato-un-cane-ogni-due-minuti_93b375d0-d9c8-11e2-8116-cce4caac965d.shtml.
Buona stampa, anche se cronaca. La risposta alla domanda me
la sono data, ma è meglio che la tenga per me, neppure in questo caso intendo
superare i limiti che mi sono posto.
Passiamo oltre, con le mani che prudono, ma passiamo oltre.
Penso che chiunque di noi sappia dove si trovava alle 9 del
mattino, ora di New York, di martedì 11 Settembre 2001.
Io ero a Milano, a casa di mia cugina e parlavo con lei in salotto quando Margherita, la figlia più giovane, ci raggiunse dalla sua stanza e
ci fece accendere il televisore per vedere quel che accadeva a Manhattan. Poco
dopo le salutai per andare in stazione e prendere il treno per Padova. A bordo,
ovviamente, non si parlò d’altro che dell’attentato per tutto il tragitto.
Io cercai di tenermi appartato da quelle chiacchiere, da
sempre riluttante a farmi coinvolgere dalle conversazioni in treno, tuttavia
ricordo che, costretto a dire qualcosa, mi limitai a indicare come, in base al
trattato, le nazioni aderenti alla Nato fossero tenute a partecipare a
conflitti scatenati da un’aggressione al territorio di un paese alleato
qual’era, con tutta evidenza, l’azione contro il World Trade Center.
E in effetti, sia pure servendosi della copertura dell’ONU
che dette avvio alla missione chiamata ISAF, sia paesi aderenti alla Nato (inclusa l'Italia) sia
paesi estranei all’alleanza hanno contribuito all’azione militare, dapprima concentrata nell’area di Kabul, successivamente estesa a tutto
il territorio afgano.
Un’azione militare che, difficile sin dall’origine, è stata
affossata dall’assurda idea di George W. Bush di andare, quasi contemporaneamente, a "esportare democrazia" in Iraq. Ok, è un’opinione personale (anche se trova molti sostenitori assai
più preparati di me), ad ogni modo è evidente che né la guerra in Afghanistan
né quella in Iraq si sono concluse come pensavano George W. e, soprattutto,
quei saggi strateghi di Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Né l’Afghanistan né
l’Iraq sono nazioni pacificate. Se possibile l’instabilità è peggiore oggi di
quando si è iniziato a combattere, tant’è vero che, a distanza di oltre undici
anni, gli Stati Uniti intendono avviare negoziati con quegli stessi talebani
contro i quali hanno scatenato la loro ritorsione per l’attentato alle Twin Towers.
La trattativa è l’unica soluzione per poter effettuare il ritiro
completo delle forze ISAF entro il prossimo anno, come previsto, e per farlo
con la speranza che il paese non torni ad essere esattamente com’era prima
dell’11 settembre 2001.
E’ difficile non pensare che questi anni siano trascorsi
invano e che migliaia di soldati provenienti da tutto il mondo abbiano perso la
vita o subito ferite devastanti inutilmente.
Il loro sacrificio mi sembra più che mai inaccettabile. E
questo rende anche più significativo l’articolo di Paolo Giordano pubblicato da
La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, il 16 Giugno: http://lettura.corriere.it/non-dimenticate-il-soldato-numero-53/.
Buona stampa. Un testo da rileggere e da conservare.
domenica 2 settembre 2012
Trent'anni da Sabra e Chatila
La Lettura di oggi ricorda con tre articoli il massacro di
profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila di cui ricorre il trentesimo
anniversario.
Il primo è un lungo articolo del giovane scrittore Paolo
Giordano, che è possibile leggere on line (http://lettura.corriere.it/una-notte-di-40-ore/).
Ci sono poi due pezzi che, invece, si possono leggere solo
su carta.
Uno è di Vittorio Messori che riprende la lettera spedita da Giuseppe
Dossetti a Menachem Begin, allora Primo Ministro di Israele, pochi giorni dopo
la strage perpetrata dai cristiani libanesi senza, per così dire, incontrare
resistenza da parte dei soldati di Israele, allora padroni di gran parte del
territorio libanese.
L’altro è un’intervista di Francesco Battistini a uno
studioso israeliano, Eyad Zisser, che offre interessanti spunti di riflessione
sul significato che i fatti di Sabra e Chatila hanno avuto sul sentire del
popolo israeliano.
Buona stampa. Per tutti e tre e peccato che gli ultimi due
non si possano leggere on line.
Trascrivo un brano del pezzo di Messori, che mi pare mettere
in luce quanto sia stato profondo l’effetto di quelle vicende su Menachem Begin.
“La voce del monaco…
rimarrà sotto traccia. Non così quella della commissione Kahan, che accuserà
Sharon di aver manipolato e distorto le informazioni date al premier e al
gabinetto: pochi mesi dopo Begin – il premio Nobel che aveva stretto la mano a
Sadat – si ritirava a vita privata sino alla morte.”
Queste parole ci dicono, dunque, che Israele analizzò le
proprie responsabilità nella vicenda, anche se poi, alla fine, non vi furono
misure contro Sharon, che poté continuare a occuparsi di politica e che divenne
anche Primo Ministro (e provocò la Seconda Intifada). E ci dicono anche che
Begin, diversamente da Sharon, forse avvertì il peso della propria
responsabilità per quegli eventi. In modo piuttosto radicale, ma non credo poi
così assurdo, sono portato a pensare che quelle parole ci dicono anche quale
fosse la distanza tra Begin e Sharon. La stessa siderale distanza che,
purtroppo, sembra separare, in gran parte del mondo, i leader politici del
passato da quelli del presente.
Begin non era un santarellino. Aveva guidato Irgun, un gruppo terroristico sionista
attivo a cavallo della nascita dello Stato d’Israele. Era stato pubblicamente e
pesantemente criticato da intellettuali ebrei del calibro di Albert Einstein e Hanna
Arendt per i suoi atteggiamenti oltranzisti. Insomma, non era certamente
arrendevole e di fragili convinzioni. Eppure, probabilmente non solo per il peso
della strage di Sabra e Chatila, ha saputo estraniarsi completamente dalla vita
politica.
Tra i leader mondiali di questi ultimi anni, il solo che
abbia scelto di seguire le orme di Begin è stato quel George W. Bush al quale
si possono addebitare tanti dei problemi che affliggono il mondo odierno. E
questa, a costo di attirarmi le critiche di tutti i miei tre lettori, mi sembra
una decisione che mitiga il pessimo giudizio che, sotto ogni altro punto di vista, George W. Bush merita.
martedì 24 luglio 2012
A tavoletta verso il Monte di Megiddo
A quanto pare, ancora una volta la costanza e l’impegno
vengono premiati: i governanti europei hanno tergiversato talmente a lungo,
ovviamente ognuno per ragioni di tornaconto politico interno diverse, lasciando
così incancrenire una situazione che, temo, difficilmente sarà rimediabile.
Ormai anche i sassi hanno capito che l’euro è un edificio
costruito senza le necessarie fondamenta. Dietro la moneta unica non c’è quasi
nulla di quello che sarebbe necessario anche in situazioni normali, ma noi non
stiamo vivendo una situazione normale. Lo dimostra il fatto che sono ormai
trascorsi quasi quattro anni da quando il governo americano (guidato da George
W. Bush e con Paulson Segretario del Tesoro) ha lasciato fallire Lehman
Brothers e la crisi iniziata allora si è diffusa nel mondo, mettendo in
evidenza, una dopo l’altra, tutte le carenze dei meccanismi che regolano
l’economia e la finanza degli stati e delle imprese, prime tra tutte le banche.
E questo è successo mentre leader politici, economisti e
dirigenti aziendali hanno continuato imperterriti a guardare un po’ meno
distante della punta del loro naso. Ci hanno sommerso di chiacchiere (più o
meno farneticanti) e non hanno fatto quasi nulla di quello che, ognuno nel proprio
ruolo, avrebbero dovuto fare.
I politici, non dovrei neppure ripeterlo, danno il peggio di
loro stessi, meritandosi ampiamente di vedersi addossare la maggiore colpa
della situazione attuale. Solo oggi, con quella nota diffusa dal governo
spagnolo, si è raggiunto l’apice dell’inettitudine. Provate a immaginare come
avranno reagito i signori che, davanti ai terminali dei loro computer, da mesi
operano così da trarre il massimo beneficio dalla crisi economica
internazionale nel sapere che non esisteva nessun accordo tra Francia, Italia
e Spagna nel sollecitare l’operatività del cosiddetto scudo salva-spread.
Non che un eventuale accordo fosse risolutivo, ma annunciarlo senza che esistesse, cribbio, anzi no, cazzo (ci vuole, cazzo!), come si fa?
E’ l’ennesima, forse più desolante, dimostrazione di quanto
distanti siano dalla realtà i signori cui abbiamo affidato il nostro destino.
In giro per il mondo, mentre scrivo, centinaia di operatori finanziari
festeggiano, consapevoli che hanno davanti a loro ancora molte settimane per
sfruttare ulteriormente lo spazio sconfinato lasciato loro da governanti
imbelli, preoccupati soltanto di sopravvivere alle prossime elezioni, così
attenti a sé stessi e distratti dal bene collettivo da non riuscire a mettere
insieme lo straccio di una politica comune per fronteggiare una crisi che sta
portando l’Europa (tutta l’Europa) e con essa il mondo verso il disastro.
Non v’indico nessun articolo da leggere. Fate un po’ di
fatica da soli, sempre che ne abbiate voglia. Se trovate qualche ragione per
darmi torto, scrivete pure. Il blog è più che mai aperto alle vostre opinioni, soprattutto se in contrasto con le mie. Sarò felice di essere smentito.
Nel frattempo, buona notte e molta buona fortuna.
giovedì 19 aprile 2012
Tra un pranzo e una cena
Non è poca la nebbia che avvolge i ricordi di quanto ho
studiato all’università, eppure qualcosa mi spinge a dubitare della capacità
delle persone che guidano i maggiori paesi e le principali istituzioni del
mondo. Un esempio lo trovate in questo bell’articolo del Financial Times di
oggi (gran bel giornale): http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f9d42a96-8a35-11e1-93c9-00144feab49a.html#axzz1sQmXZhNc.
Buona stampa.
C’è una quantità di signori molto ben pagati dai
contribuenti di mezzo mondo che s’incontrano a Washington per discutere se
fornire (e quante) risorse al FMI perché possa intervenire nel caso (tutt’altro
che ipotetico) che la situazione economica internazionale si deteriori
ulteriormente in conseguenza di un aggravamento della crisi di nazioni come la
Spagna o l’Italia.
Tutto questo continuare a parlarsi addosso dei signori (e
delle signore) molto ben pagati dai contribuenti di mezzo mondo (in particolare
quelli europei) dura da molti anni ormai: se ve lo siete dimenticati, Lehman
Brothers fu lasciata fallire nel 2008, esattamente il 15 Settembre. Oggi, credo, è il 19
Aprile del 2012 e non è stato fatto quasi nulla per arrestare le conseguenze di
quella disastrosa decisione dell’Amministrazione americana (il Presidente era
ancora George W. Bush) che è stata l’interruttore di un meccanismo di cui
nessuno aveva capito la complessità e le dimensioni.
Se tutto andrà per il meglio, forse verso la fine del 2012
si avranno gli strumenti ideati da tecnici e politici per cercare di
contrastare gli effetti combinati della speculazione, tuttora libera di operare
ovunque e su qualunque titolo finanziario o su qualunque bene, e delle
politiche di rigore estreme adottate in Europa e innestate su anni di gestione
irresponsabile dei bilanci pubblici.
In realtà, ammesso e non concesso che si arrivi realmente a
mettere insieme le risorse di cui riferiscono i giornali, ciò accadrà ancora
una volta con grave ritardo (forse troppo tardi) e senza che si sia fatto nulla
per contrastare il peggior nemico della crisi del debito pubblico europeo e
della sostanziale inattività del sistema creditizio di molti paesi: la mancanza
di sviluppo.
Un problema aggravato dal rallentamento dell’economia cinese
e di altri paesi la cui crescita era considerata una locomotiva capace di
trascinare le altre nazioni fuori dalle secche in cui si trovano.
Tutto questo mentre la ricchezza accumulata nel tempo dai
piccoli e medi risparmiatori di gran parte del mondo subisce una costante e
inesorabile erosione e non viene impiegata per produrre nuova ricchezza, visto
che il sistema bancario, soprattutto in Europa, ma anche altrove, non esercita
più il proprio ruolo istituzionale e non trasferisce il risparmio alle imprese.
I signori e le signore molto ben pagati dai contribuenti di
mezzo mondo, però, continuano a organizzare i loro lunch e i loro dinner a
Washington.
domenica 11 marzo 2012
Oggi, almeno in parte, fate voi
Non ho alcun dubbio che, nel suggerirvi di leggere un
articolo di Paul Krugman apparso sul 24 Ore due giorni fa, vi propongo la
posizione di un commentatore senz’altro schierato. Nello stesso tempo, però,
credo che sia un pezzo dal quale emerge una raffigurazione convincente della
politica americana, che ha imposto al mondo gli otto anni di presidenza di
George W. Bush, le cui conseguenze pagheremo ancora a lungo. Il link è questo:
(http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-03-09/george-bravuomo-153156.shtml?uuid=AbDew94E.
Buona stampa.
Riprendiamo la questione dell’operazione anglo nigeriana che
ha portato alla morte del nostro connazionale rapito, l’Ingegner Lamolinara.
Lucio Caracciolo, su Limes, ma accessibile anche dal sito di Repubblica,
analizza con acume perché, alla fin fine, la nostra statura internazionale è
sempre piuttosto modesta (http://temi.repubblica.it/limes/la-politica-estera-italiana-e-il-teatrino-dellignavia/33090?ref=HRER1-1).
Buoma stampa.
Sempre sulla vicenda, ma più con l’occhio alla politica
interna, Paolo Guzzanti sul Giornale e Angelo Panebianco sul Corriere della
Sera si occupano degli influssi esercitati sul Governo Monti e sui suoi membri
dalle modalità con cui è nato.
Ci sono punti in comune, ma sotto sotto si percepiscono
delle differenze sostanziali, soprattutto nella capacità di guardare con
distacco il problema. Il giudizio lo lascio a voi, il mio me lo tengo per me:
http://www.ilgiornale.it/interni/quando_tecnici_democrazia_e_peso/11-03-2012/articolo-id=576658-page=0-comments=1
e http://www.corriere.it/editoriali/12_marzo_11/panebianco-tra-riscatti-e-ipocrisie_3f21f6d8-6b4a-11e1-a02c-63a438fc3a4e.shtml.
Buona domenica.
giovedì 23 febbraio 2012
A Marie Colvin
Non ho parlato dell’euro e della Grecia per qualche giorno
perché non ero affatto sicuro dell’effettivo risultato della riunione di
Bruxelles. Ho avuto da subito il dubbio che, in realtà, si trattasse di un
ennesimo rinvio, sia pure mascherato da intervento significativo. A quanto
pare, i miei dubbi sono tutt’altro che infondati.
Vi segnalo soltanto un paio di articoli, ma mi sembrano
esaustivi. Il primo è di Federico Fubini, dal Corriere di ieri (http://archiviostorico.corriere.it/2012/febbraio/22/Piano_Greco_per_Guadagnare_altro_co_8_120222007.shtml).
Poi viene, dal Sole 24 Ore di oggi, Vito Lops: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-02-23/perche-grecia-ancora-fallire-092643.shtml?uuid=Aadl4HwE.
Buona stampa.
Temo che le prospettive della Grecia siano tutt’altro che
buone. Anche l’euro, però, non sembra destinato a un futuro roseo: tornando al
racconto di Buzzati, penso che la moneta unica non abbia invertito il percorso
e che, se proprio va bene, non scenderà. La risalita, fin quando la politica
continuerà a barcamenarsi come fa ormai da anni, non mi pare affatto probabile.
Cambiamo argomento: elezioni presidenziali in Russia.
Difficilmente i russi saranno così brillanti da liberarsi (e liberarci) dalla
sgradevole presenza di Vladimir Putin. A leggere qua e là sembra proprio che
tornerà a occupare la poltrona prestata temporaneamente a Medvedev, una
prospettiva che non mi piace per niente. L’uomo che si è formato in democrazia
e in libertà alla prestigiosa scuola del KGB (e che qualcuno, in Italia, ha
invitato a tenere lezioni in materia – sic) sta ponendo le basi perché la
tensione internazionale torni a livelli assai preoccupanti e sostiene alcuni
dei regimi più repressivi e sanguinari del mondo, oltre che molti dei dittatori
che hanno trasformato non poche repubbliche ex sovietiche in satrapie dove
corruzione e malavita la fanno da padrone, non diversamente da quanto accade in
Russia. Prima di indicarvi un articolo in cui potrete trovare qualche
interessante indicazione su quel che ha in mente Putin, rileverei anche che,
riguardo alle repubbliche ex sovietiche, abbiamo un debito di riconoscenza verso
la formidabile coppia formata da George W. Bush e Dick “Grande Cacciatore” Cheney, la cui
frenesia bellica in Afganistan e Iraq ha reso alcune di quelle nazioni
strategicamente rilevanti, spingendo quindi anche gli USA a sostenere più d’uno
dei dittatori che le governano.
E sì, non riesco proprio a trovare un politico che mi
piaccia…
Veniamo all’articolo: non è fresco di giornata, ma merita; lo ha
scritto il corrispondente del Corriere da Mosca, Dragosei (http://archiviostorico.corriere.it/2012/febbraio/21/Putin_gioca_alla_Guerra_fredda_co_9_120221031.shtml).
Buona stampa.
Tra le tante cose di cui dobbiamo essere grati a Putin, c’è
il sostegno che la Russia continua a dare a Bashar el Assad. Ieri ci sono stati
i primi due morti tra i giornalisti occidentali che ci informano della spietata
repressione della rivolta del popolo siriano, come altri nell’area ansioso di
libertà. Una delle vittime era donna, una reporter americana di cui il Wall
Street Journal ci offre un ritratto che è opportuno leggere, anche per manifestare
la nostra riconoscenza alle persone come Marie Colvin (http://online.wsj.com/article/SB10001424052970203918304577238872826461212.html?mod=WSJEUROPE_hpp_editorsPicks_1).
Buona stampa.
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