Era il 1° Maggio del 2003 quando, sul ponte della portaerei USS Abraham Lincoln, George W. Bush
pronunciava un discorso che, alla luce dei fatti, si può tranquillamente
definire un paradigma di mistificazione e di velleitarismo. A rivedere oggi le
immagini di quel giorno (un esempio da Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/2003_Mission_Accomplished_speech#mediaviewer/File:USS_Abraham_Lincoln_%28CVN-72%29_Mission_Accomplished.jpg),
con quell’enorme striscione “Mission
Accomplished” posto di traverso sulla torre di comando della Lincoln, vengono i brividi al pensiero
dei morti derivati dalla decisione inspiegabile di invadere l’Iraq: svariate
migliaia, iracheni e non, civili e militari. Gran parte dei quali dopo quel
giorno di pretestuosa celebrazione.
Tutto appare ancor più insensato alla luce di quanto
accaduto nelle ultime ore proprio nell’Iraq che Bush, undici anni fa, intendeva
spacciare per pacificato e democratizzato.
Un’ampia porzione del paese è ormai controllata dai membri
di Al Qaeda, esattamente il nemico che si dava per debellato grazie
all’invasione di Afganistan e Iraq.
L’argomento, ovviamente, trova spazio in tutti i giornali,
vi segnalo un pezzo dal Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-11/iraq-caos-mosul-cade-anche-tikrit-stato-islamico-avanza-160434.shtml?uuid=AB9O92PB.
Buona stampa.
Quello che viene descritto è l’ennesimo esodo biblico di
profughi che cercano scampo alla violenza e speranza per il futuro. E si fatica
a non ripensare ai tanti che si sono succeduti negli ultimi anni, da quando
abbiamo deciso di “esportare la democrazia”, un bene che si produce soltanto in
loco e che deve germogliare spontaneamente.
Noi occidentali, tutti, direi indistintamente, abbiamo inanellato
una serie di errori drammatici, quasi sempre per interessi o obiettivi politici
nazionali, senza preoccuparci delle conseguenze di azioni che andavano a
scardinare fragili equilibri. Sia chiaro, non sto difendendo Saddam o Gheddafi,
Mubarak o Ben Alì e, men che meno, Bashar Assad. Non posso, tuttavia, evitare
di pensare che il risultato dei nostri interventi, purtroppo, è stato pessimo
proprio per chi, a parole, avremmo inteso aiutare.
E non posso evitare di pensare anche al destino che
conosceranno tanti tra coloro che scappano da Mosul e Tikrit. Molti di loro,
temo, troveranno la morte per cercare di raggiungere l’Europa, di attraversare
il Mediterraneo, un mare che, oggi persino più che in passato, divide anziché
unire.
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