Oggi riparliamo (molto rapidamente, lo prometto) di Rutelli,
giusto perché è uno dei politici che, con una votazione segreta in Commissione
Giustizia (sic) del Senato, ha reintrodotto il carcere per i giornalisti.
Lascio alla parole di Aldo Grasso, dal Corriere della Sera di oggi, il compito
di mettere una pietra sopra di lui: http://www.corriere.it/politica/12_novembre_18/rutelli-risentimento-reato-diffamazione_efaea6ae-3151-11e2-b54b-5890948d86c8.shtml.
Buona stampa. Rutelli mi sembra intenzionato a
confrontarsi con Formigoni sul terreno dell’antipatia, dell’arroganza e della
nocività per gli italiani. E’ in politica da sempre: si togliesse dai piedi! Nessuno sentirà la sua mancanza.
E per restare nel campo dei campioni della classe politica
italiana, vi propongo, in ritardo, il Gramellini di ieri, semplicemente
perfetto:
Buona stampa. Nemmeno una parola in più: c’è tutto, compresa
la critica a Monti che, sul punto del controllo della spesa, onestamente, ha
poco da vantarsi.
Lasciamo perdere… tempo di musica. Uno dei miei tre lettori,
che ha capito che basta lusingarmi per ottenere un immediato riconoscimento, ha
apprezzato gli ascolti di Joni Mitchell che vi ho proposto in passato.
Nel giugno del 1979, con l’uscita di Mingus, splendido album dedicato al grande (in tutti sensi)
bassista jazz, si può considerare compiuto il percorso che aveva portato Joni Mitchell a
fondere nella propria musica esperienze di varia matrice, ottenendo, a mio
modesto parere, risultati eccellenti.
Sempre nel 1979, proprio per celebrare l’uscita del nuovo
album, Joni Mitchell andò in tournee negli Stati Uniti. Anche la formazione che
l’accompagnava allora era espressione della ricerca di sonorità diverse da
quelle proprie del primo periodo d’attività della cantante canadese.
Con lei sul palco, infatti, c’erano: Michael Brecker ai
sassofoni (un altro musicista di cui piangiamo una morte prematura), Jaco
Pastorius al basso (anche lui morto molto giovane), Pat Metheny alla chitarra,
Lyle Mays alle tastiere (successivamente colonna del Pat Metheny Group), Don
Alias alla batteria. Tutti nomi di grande importanza nella storia recente del
jazz e non solo.
Il gruppo che fungeva da supporto, The Persuasions, era un notevole complesso vocale.
Nell’agosto del 1979 io ebbi la fortuna di sedere sulle
tribune del centrale di Forest Hills, lo stadio, non più usato per il tennis,
che ospitò la tappa newyorkese della tournee. E posso soltanto dire che la
ricordo ancora come una delle esperienze musicali più belle che ho vissuto. Da
quella tournee fu tratto un album memorabile, intitolato come il primo brano
che vi faccio ascoltare: Shadows and
Light, nel quale è accompagnata da The
Persuasions. E’ un brano che mi sembra avere una solennità straordinaria e
che ha un testo di rara intensità, che potete trovare sul sito di Joni, che
merita una lunga visita, perché è ricco d’informazioni, strutturato molto bene
e celebra anche il grande talento pittorico e grafico della cantante (http://jonimitchell.com/music/song.cfm?id=14).
Il secondo è Hejira,
probabilmente uno dei miei prediletti tra i tantissimi capolavori di Joni
Mitchell. Purtroppo non è la versione dal vivo della tournee (che non sono
riuscito a trovare su YouTube), ma quella dall’album intitolato come il pezzo.
Manca il sassofono di Michael Brecker, ma in compenso c’è il basso di
Pastorius. Struggente. Le parole le potete trovare qui: http://jonimitchell.com/music/song.cfm?id=234.
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