sabato 24 novembre 2012

A chi sono grato


Ieri molti giornali hanno riferito di un provvedimento presentato in Commissione Affari costituzionali del Senato. Per il Corriere della Sera se n’era occupato il Mastino truce, ossia Sergio Rizzo (http://archiviostorico.corriere.it/2012/novembre/23/Quelle_poltrone_piu_per_tagliare_co_0_20121123_99abb5c0-3535-11e2-9c0a-4e4f54f7c83e.shtml).
Buona stampa. Pessimo provvedimento, ovviamente. Come già saprete, gli estensori dello stesso sono niente meno che due campioni del calibro di Rutelli e Viespoli, vere eccellenze nella selezione dei tesorieri di partito (nel primo caso) e nel passaggio da uno schieramento all’altro (sia nel primo sia nel secondo caso, e più veloci dei tergicristalli a velocità massima). Io sono consapevole e convinto che la coerenza non possa essere una condanna a vita, ma ci dovrebbe essere un limite all’incoerenza, o meglio, allo squallido opportunismo, perché di questo penso si tratti. Puro e semplice opportunismo, nient’altro può spiegare un atteggiamento che definire molto ondivago sarebbe quantomeno riduttivo.
Oggi il Corriere ospita una lunga lettera dei due preziosi legislatori, nella quale, com’è costume per i più eminenti tra i nostri eccellenti politici (boom), sempre pronti ad accogliere le critiche e a considerare l’opinione della stampa e dei cittadini (doppio boom), Rutelli e Viespoli hanno difeso il loro provvedimento lasciando intendere che le considerazioni di Rizzo fossero infondate. Purtroppo non è possibile farvela leggere, perché non la trovo nell’edizione on line del quotidiano milanese. Credetemi sulla parola: meglio per voi. A me… vorrei dirlo con eleganza… ancora girano.
Basta scherzare! Questo è un tema maledettamente serio.
Da anni, ormai, il sistema politico in questo paese ha non solo rinunciato alle proprie funzioni (una situazione che, generalmente in misura minore, si è verificata anche altrove e che, ad esempio, spiega almeno in parte il velleitarismo della Ue e la sua mancanza d’influenza a livello mondiale), ma anche e soprattutto si è insediato come una parassita insaziabile in tutti i nodi vitali, drenando una quantità di risorse enormi. E non c’è la minima intenzione da parte di nessun partito di cambiare realmente le cose.
Da anni, ormai, e anche questa è una condizione non soltanto italiana, ma pure in questo caso da noi il problema è assai più grave, moltissimi membri della pubblica amministrazione di tutti i livelli, sia quello centrale sia quelli locali, ignorano le reali esigenze del paese e della popolazione. La loro fondamentale, forse unica reale preoccupazione è garantire la propria sopravvivenza e il proprio benessere, restando indifferenti a come, nel frattempo, la loro incuria e la loro ricerca di vantaggi si traduca in deterioramento nelle condizioni di vita degli italiani (parliamo di sicurezza, di giustizia, di potere d’acquisto, di prospettive per il futuro, di rapporto tra cittadino e amministrazioni dello stato, e così via).
Si è creata una saldatura dalle conseguenze drammatiche tra gli interessi della classe politica, in larga parte inetta e avida, e l’astuzia opportunistica della burocrazia pubblica, pronta a sfruttare l’ignoranza e il disinteresse di ministri, presidenti di regione, sindaci per organizzare la parodia di uno stato moderno ed efficiente e per diffondere nei pubblici dipendenti la convinzione di essere i referenti di se stessi.
Per restare nell’attualità della cronaca odierna, ecco due notizie dal Corriere, secondo me entrambe di tale gravità da dover indurre il Presidente del Consiglio Monti a dimostrare di essere davvero diverso da quelli che lo hanno preceduto a Palazzo Chigi negli ultimi due o tre decenni: http://www.corriere.it/politica/12_novembre_24/ministero-giustizia-tribunali-scrivere-mano_a1200924-3647-11e2-bfd1-d22e58b0f7cd.shtml e http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_novembre_24/mantova-poliziotti-picchiatori-pestaggio-autostrada-2112858284657.shtml.
Buona stampa. Il nostro, anzi, il loro, è uno Stato ormai in evidente agonia, divorato dalla malattia in ogni suo organo. E anche un uomo che ritengo onesto e serio come Monti, purtroppo, dimostra di non potere nulla contro questo stato di cose, contro quest’alleanza sordida tra pessima politica e mediocre pubblica amministrazione, alleanza assai ben rappresentata anche nell’attuale governo.
Tra le prime regole sviluppate dai primi studiosi di economia vi è quella secondo la quale la moneta cattiva scaccia quella buona.
Fin da quando ne sentii parlare dal mio eccellente professore di Storia e Filosofia del Liceo, ho pensato che la regola non valesse soltanto per le monete, ma anche per molte attività o abitudini umane.
Di certo vale in Italia per gran parte degli uomini politici e per gran parte dei dipendenti pubblici.
Se non si spezzeranno questo legame e questo circolo vizioso tra politica e pubblica amministrazione, nel futuro dell’Italia ci potrà soltanto essere un declino ancor più rapido e drammatico di quello cui assistiamo oggi.
Io non credo che vi assisterò da qui. Ne ho abbastanza. Un individuo ha il diritto di vivere in una nazione nella quale il patto tra cittadino e stato viene rispettato. Da noi non soltanto non viene rispettato da anni, ma se n’è persa la conoscenza là dove, al contrario, lo si dovrebbe conoscere e rinnovare quotidianamente con solenne liturgia.
Io mi sto dando da fare per assistere da altrove al dissolversi dell’Italia come nazione civile.
Che siano siano le Alpi viste da nord o i ghiacciai affacciati su mari prossimi all’Antartide, forse continuerò a tediarvi guardando quei panorami.
E a farmi perdonare con qualche nota degna di essere ascoltata assai più di quanto le mie parole siano degne di essere lette.
Toronto è una bella città, molto bella, come tutte quelle che possono contare su grandi specchi d’acqua, siano essi mari, baie, lagune, grandi fiumi o laghi. La più grande e più cosmopolita tra le metropoli canadesi gode di un pessimo clima (in senso atmosferico: gelida e nevosa in inverno, calda e afosa in estate come e più che da noi), ma è molto fertile culturalmente e ha avuto il merito, già da molti anni, di ospitare concerti indimenticabili e, grazie ai dischi, indimenticati.
Un vero santuario della musica in generale, e del jazz in particolare, è la Massey Hall (http://en.wikipedia.org/wiki/Massey_Hall). Qui venne registrato Jazz at Massey Hall, album fondamentale della storia del jazz (http://en.wikipedia.org/wiki/Jazz_at_Massey_Hall), nel quale confluirono le esperienze e le geniali intuizioni di cinque straordinari personaggi: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus e Max Roach, come dire buona parte dell’Olimpo del jazz.
Da questo stupendo album, di cui possiedo una versione in vinile acquistata a Londra in un negozio di dischi usati nei primi anni 70, ormai quasi inservibile, e di cui non ho voluto acquistare la versione CD, scelgo un brano di Dizzy Gillespie: A Night in Tunisia. L’audio non è gran che, ma questa è la STORIA del jazz.


Saltando ad altro genere, ma siamo sempre nell’ambito dei concerti importanti, a Toronto The Who registrarono nel Maple Leafs Gardens un doppio album nel 1982, Live in Toronto. Il brano che ho scelto per voi è Baba O’Riley, un salto formidabile, ma amare la musica, credo, vuol dire anche questo.


A Toronto, nel 1978, nello stadio dei Blue Jays, ho ascoltato The Eagles. Era agosto, il caldo afoso insopportabile e ci trovavamo in un’arena all’aperto.
Non ho trovato traccia di quell’evento su YouTube, ma penso vi piacerà ascoltare Best of My Love.


Uno dei ricordi più nitidi del concerto del 78, oltre a quello della musica ovviamente, era l’odore di marijuana e di hashish che, per me che non apprezzavo e non apprezzo né l’una né l’altro, era veramente insopportabile. Un odore che mi sono portato addosso per qualche giorno, nonostante le docce quotidiane. Oggi è soltanto un ricordo molto bello, di cui, come per molti altri, sono profondamente grato a mio padre, che mi ha permesso di vivere esperienze che tanti della mia generazione hanno potuto soltanto sognare.
Domani avrebbe compiuto ottantaquattro anni ed è morto da poco più di quindici. Troppo presto.

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