Oggi parliamo di compagnie aeree. In particolare,
ovviamente, parliamo della compagnia aerea principale del nostro paese, Alitalia, le cui vicende continuano a essere motivo di perplessità (a voler
usare un eufemismo).
Cominciamo da un articolo di Milena Gabanelli e Giovanna
Boursier pubblicato on line dal Corriere della Sera ieri, ma aggiornato oggi: http://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/alitalia-decreto-top-secret-/a63036ca-3c76-11e2-bc71-193664141fb2.shtml.
Buona stampa. Come quasi tutto quello che proviene dalla
redazione di Report e, in particolare, da Milena Gabanelli, che considero una
vera perla rara nel panorama giornalistico italiano.
La conduzione dell’Alitalia pubblica costituisce un perfetto
esempio di come, nelle aziende di proprietà statale, la scelta dei dirigenti
abbia assai poco a che fare con le loro capacità manageriali e assai più con la
loro abilità nel procurarsi la benevolenza dei politici chiamati a selezionare
le figure di vertice e non solo.
Il passaggio di Alitalia alla cosiddetta cordata privata,
invece, dimostra come, in questo sventurato paese, i conflitti di interesse
siano ormai la norma e non l’eccezione e come la lunga presenza di Berlusconi
in politica abbia finito per far perdere rilievo alla questione (anche grazie
all’insipienza, temo non del tutto disinteressata, dei suoi avversari politici
nell’affrontare il problema) e, comunque, abbia indotto molti imprenditori a
gettarsi alle spalle ogni remora, sentendosi in ciò giustificati proprio dalla
grandezza dei conflitti irrisolti di Berlusconi.
Quel che mi pare tragico, alla luce del racconto di
Gabanelli e Boursier, è che l’azienda continui a perdere parecchi soldi e sia
incapace di svolgere il ruolo di compagnia aerea nazionale. A tale proposito,
leggete questo articolo dal Sole 24 Ore di oggi, che riprende un’analisi sul
settore del trasporto aereo europeo svolta dall’Ue: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-12-03/litalia-resta-spuntate-063805.shtml?uuid=AbYNgZ8G.
Buona stampa. C’è da chiedersi quanti anni passeranno prima
che i membri della cordata privata scarichino sulle nostre spalle il fardello
di perdite che anche questa “nuova” Alitalia crea giorno dopo giorno.
E lasciamo perdere il fatto che, dalle nostre parti, un
aeroporto non si nega a nessuno, con l’unico risultato della proliferazione
paradossale di scali i quali, se va bene, restano sottoutilizzati. E in molti
casi sono delle vere e proprie cattedrali nel deserto, che hanno comportato
inutili spese di realizzazione e comportano altrettanto inutili spese di
esercizio (si fa per dire). E quello che è stato e viene speso, ovviamente, è
denaro pubblico.
Consoliamoci.
Van Morrison è un cantante irlandese (http://www.treccani.it/enciclopedia/van-morrison/)
che ha dato un contributo formidabile alla musica degli ultimi decenni. L’avvio
della carriera, negli anni Sessanta, l’ha visto esprimersi con formule musicali
abbastanza tipiche del periodo, come prova la prima incisione da solista, Brown Eyed Girl (http://en.wikipedia.org/wiki/Brown_Eyed_Girl),
del 1967.
Già l’anno seguente, con l’album Astral Weeks, considerato uno dei suoi migliori, Morrison riprendeva
alcuni dei temi della tradizione irlandese e iniziava a sviluppare un proprio
stile, più personale e indifferente ai canoni prevalenti all’epoca. Il pezzo è
quello che da titolo al disco.
In una carriera lunga come la sua, si contano tantissime
collaborazioni con altri grandi musicisti e grandi gruppi. Ricordo, ad esempio,
la sua presenza sul palco del concerto che celebrò la fine dell’esperienza di The Band, il complesso canadese (guarda
caso fondato a Toronto) che aveva accompagnato, tra gli altri, Bob Dylan. Il
ricordo di quel concerto, oltre che nell’album, rimane nel film che ne trasse
Martin Scorsese The Last Waltz.
Io, però, preferisco chiudere con un album del 1995, The Long Black Veil, in cui Morrison
affianca The Chieftains, complesso
irlandese di cui vi ho già fatto ascoltare un brano particolare e divertente
qualche tempo fa.
Ecco, quindi, Have I
told You Lately, il pezzo che ha fatto vincere Van Morrison un Grammy Award nel 1996.
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