domenica 28 ottobre 2012

Uno di quelli che resistono al cambiamento


Se c’è una cosa che non si può negare è che Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera, sia anziano (http://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Romano). A una certa età, inevitabilmente i riflessi si fanno più lenti e s’impiega un po’ di tempo in più per rendersi pienamente conto di quel che accade intorno. Ecco allora che, per arrivare a parlare in maniera adeguata del conflitto d’interessi di Berlusconi, Romano ha avuto bisogno di qualche anno più della maggior parte dei giornalisti che non lavorano per quotidiani o giornali di Berlusconi stesso.
In realtà, Romano ha scritto a lungo per Panorama, settimanale di Mondadori, questo fatto, unito alla questione anagrafica…
Insomma, dopo tanto tergiversare, alla fine anche lui sembra aver compreso che la presenza di Berlusconi ha più di qualche conseguenza negativa per il paese e ha deciso di affidare questa importante presa di coscienza all’editoriale di oggi: http://www.corriere.it/editoriali/12_ottobre_28/paese-in-ostaggio-romano_a564bd48-20cd-11e2-89f5-89e01e31e2ac.shtml.
Stampa così e così. Soprattutto perché arriva ormai fuori tempo massimo. Per sua sfortuna, infatti, ho una discreta memoria e sono piuttosto pignolo. Il 27 Febbraio del 2008, nella rubrica delle lettere al Corriere, era apparso questo scambio tra lui e un lettore: http://archiviostorico.corriere.it/2008/febbraio/27/CONFLITTO_INTERESSI_DEPLORATO_MAI_RISOLTO_co_9_080227048.shtml.
Come potrete immaginare, non ero stato per nulla soddisfatto dalle parole di Romano. Definire buona legge una legge che non si applica al principale e più grave caso della fattispecie che vuole affrontare, francamente, supera la mia capacità d’immaginazione. Così come mi sembrava una forzatura sostenere che gli elettori erano in grado di controllare l’agire di Berlusconi: questo sarebbe vero se in Italia avessimo mezzi d’informazione adeguati e la popolazione s’informasse non già attraverso la televisione, ma attraverso quotidiani realmente indipendenti. Infine, ma forse più importante di ogni altro aspetto, nella risposta Romano mostrava di non comprendere affatto quale fosse la principale implicazione della mancata soluzione del conflitto d’interessi: un drammatico deterioramento del senso morale individuale e collettivo, del quale, purtroppo, abbiamo le prove davanti agli occhi.
Allora avevo segnalato le mie perplessità con una mail che, ovviamente, Romano si era ben guardato dal considerare per una risposta e dal pubblicare. Dimostrando con ciò quanto fosse indisponibile al confronto e quanto poco sentisse il proprio conflitto di interessi (in quel periodo, oltre a rispondere ai lettori del Corriere, infatti, era anche opinionista di Panorama).
Penso, quindi, di poter affermare che anche Sergio Romano, avendo mantenuto ancora per alcuni anni l’atteggiamento manifestato nel 2008, abbia contribuito a far incancrenire, con tutte le conseguenze che sappiamo, il problema del conflitto d’interessi (e del declino della morale pubblica che ne è derivato) di cui, Deo gratias!, oggi ha preso piena coscienza, tanto da arrivare a parlare di una nazione in ostaggio.
Peccato sia tardi, troppo tardi. E questo tardivo ravvedimento mi appare persino più grave del comportamento di chi, ostinatamente, come Sallusti o Ferrara, difende Berlusconi aprioristicamente. Credo che Sergio Romano dovrebbe occuparsi dei nipotini (i nipotini mi perdonino) e smettere di spargere attraverso le pagine del Corriere (cosa che fa da troppo tempo, tra l'altro occupando senza meritarlo affatto la rubrica che fu di Indro Montanelli) la sua presunta saggezza, rivelandosi in realtà quello che è: un modesto anedottista e membro a pieno titolo di quel blocco politico-amministrativo-giudiziario al centro dell’editoriale di Panebianco di cui vi ho parlato ieri.

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