Visto che non ci sono i quotidiani e che ho avuto più tempo
per leggere altre cose, oggi vi rifilo un post bello corposo…
Domani riaprono le borse. Per quel che ne capisco (poco),
non dovrebbe succedere gran che. Buona parte degli operatori sono in vacanza e
anche chi ha ampie disponibilità, di solito, in questo periodo si orienta sul
consumo piuttosto che sull’investimento. Ad ogni modo, mi auguro che la fine di
quest’anno e l’inizio del nuovo non siano accompagnati da momenti di tensione
sui mercati finanziari.
Questo, tuttavia, non sgombra il campo dalle preoccupazioni
sul futuro. Magari sbaglio, però le vicende della moneta unica (per quanto
ancora?) europea mi sembrano assomigliare ogni giorno di più a quella di
Giuseppe Corte, il protagonista di “Sette piani”, drammatico racconto di Dino
Buzzati (io l’ho letto tanti anni fa in questa edizione: La Boutique del
Mistero, Oscar Mondadori, Agosto 1974, Lire 850. Esiste, però, anche una
versione on line all’indirizzo http://dallaltraparte.modugno.it/archives/2008/02/dino_buzzati_sette_piani.php).
Vi consiglio calorosamente di leggerlo, dovreste avere tempo per farlo.
Torniamo al tema, ogni giorno che passa la moneta unica
europea sembra scendere più in basso, avvicinandosi al punto di non ritorno. E
con essa, pure noi.
Anche se, con l’approssimarsi del Natale, il tema del debito
sovrano è stato un po’ trascurato dai giornali, forse per aiutarci a trovare un
po’ di serenità, la questione è ancora tutta lì, irrisolta e, anzi, si aggrava,
anche con aspetti grotteschi come il contrasto tra Francia e Regno Unito sulla
qualità del proprio debito e sulla correttezza di un eventuale abbassamento del
rating dei propri titoli di stato da
parte delle “famigerate agenzie di”.
Nella crisi del debito sovrano, dunque, quello che è stato
definito il “contagio” si sta avvicinando anche alle ultime roccaforti
dell’Eurozona, mentre paesi della Unione Europea non ancora convertiti all’Euro
(e sarà ben difficile che vogliano e possano convertirsi nei prossimi anni) stanno
vivendo essi pure gravi crisi finanziarie, tanto che, ad esempio, l’Ungheria è
stata costretta a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale. E si
continua a ventilare l’intervento dello stesso Fmi per aiutare l’Italia, così
da consentire che venga realizzata, di fatto, una dilazione sul debito, ossia
un default parziale. Su questo tema ha
scritto il mio concittadino Luigi Zingales sul Sole 24 Ore del 24 dicembre (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-12-24/male-minore-fondo-evitare-081049.shtml?uuid=AaEKLMXE).
Buona stampa.
Quanto precede non perché io mi accinga ora a prescrivere
una terapia, il mio intento è soltanto chiarire dove siamo e ripercorrere, il
più rapidamente possibile, il cammino che ci ha portato sin qua e che, mi pare
giusto ricordarlo, non ha avuto inizio un mese o un anno fa. Un’occasione, naturalmente,
per dire anche qualcosa su chi dovrebbe governare.
Tutto è cominciato negli Stati Uniti nel 2007 con i primi
segnali: il cattivo andamento del mercato immobiliare ha messo in crisi un
sistema basato su mutui concessi in maniera del tutto contraria ai principi di
una corretta gestione bancaria (che gli americani hanno pensato bene di
ribattezzare subprime, uno di quei
tentativi di eufemismo con cui cercano di mascherare la realtà delle cose).
Questi mutui di pessima qualità, avvolti in carta sfavillante, con fiocchi e
lustrini, sono stati trasformati in pacchi (in tutti i sensi) chiamati ABS o
CDO (Asset Backed Securities e Collateralized Debt Obligations: se
pensate che vi spieghi meglio cosa sono e come funzionano siete fuori strada,
ne so qualcosa, ma non faccio lezioni, in rete ci sono innumerevoli ottimi
articoli) venduti a istituzioni finanziarie e risparmiatori di tutto il mondo.
Nel momento in cui i mutui si sono rivelati per quel che erano (ossia prestiti concessi
a debitori non in grado di pagare gli interessi e di rimborsare il capitale e
garantiti da immobili sopravvalutati) anche ABS e CDO si sono rivelati per
quel che erano, ossia carta straccia, per quanto targata AAA dalle agenzie di
valutazione del credito (le famose agenzie di rating sulle quali ho, per così dire, già dato). Ecco, molto in
sintesi, quindi anche con un certo grado d’imprecisione, come tutto è
cominciato.
Alcuni molto più esperti di me, tra cui anche il Rettore
della Bocconi Tabellini (sul Sole 24 Ore del 23 novembre: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-11-23/nudo-215310.shtml?uuid=AaScg5NE),
fissano l’inizio della crisi nel 2008, facendolo coincidere con il fallimento (lo
si potrebbe definire anche un mancato salvataggio) di Lehman Brothers, una
delle maggiori banche di investimento americane. In realtà, io direi che la
bancarotta di Lehman, così come il precedente salvataggio parziale di Bear Stearns
(Marzo 2008), è un punto di arrivo, certamente drammatico, di un crescendo di
difficoltà dei mercati finanziari iniziato già alcuni mesi prima.
L’articolo di Tabellini illustra bene le tematiche della
crisi e le implicazioni politiche.
Buona stampa.
Proseguo il mio ragionamento. Che sia il solo fattore
scatenante (non lo penso) o uno tra tanti, il crack di Lehman ha avuto, in
effetti, un ruolo cruciale perché ha funzionato come albero di trasmissione e
ha trasferito la crisi al sistema bancario internazionale, provocando dissesti
a catena negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi. Erano giorni in cui sui
giornali finanziari c’erano i contatori dei fallimenti. Solo negli USA ce ne
sono stati centinaia. Nel Regno Unito, il Governo è stato costretto, tra
l’altro, a nazionalizzare due “banchette” come Royal Bank of Scotland e Lloyds
TSB. Anche il sistema bancario dei primi della classe, quello tedesco, ha
subito i suoi traumi, alcuni assai gravi. Insomma, la lista è troppo lunga da
fare. Dopo Lehman, niente è stato più come prima.
Ha preso avvio una fase di recessione che ha interessato in
varia misura i diversi paesi, provocando ovunque disoccupazione e costringendo
tutte le nazioni a espandere il debito per cercare di far fronte alle tante
diverse conseguenze della crisi, quindi sia in campo finanziario che
nell’ambito sociale. Il debito andava crescendo, il Prodotto Interno Lordo
(PIL) calava, il rapporto debito/PIL saliva per effetto dell’andamento di
numeratore e denominatore.
Questo non accadeva ieri. Accadeva nei mesi immediatamente
successivi al fallimento di Lehman, ossia negli ultimi mesi del 2008 e nei
primi del 2009.
A livello politico, ben pochi sembravano rendersene conto,
tanto che sono state anche adottate misure contraddittorie. Giusto per farci sopra
ancora una risatina amara, ricorderò quanto già raccontato altrove, ossia di
come, pochi mesi dopo essere tornato al Ministero dell’Economia (2008),
Tremonti ha pensato bene di rendere più incisiva l’applicazione dell’IRAP per
le banche, (se volete approfondire, c’è una pubblicazione della Banca d’Italia
disponibile a questo indirizzo, quella da scaricare è la numero 80: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2;internal&action=navpage.action&Parameter=3).
Pochi mesi più tardi, già lo sapete, ha dovuto non solo fare marcia indietro,
parziale, riguardo all’IRAP, ma anche inventarsi i cosiddetti Tremonti Bonds (il cui successo è stato assai
modesto perché sembravano più studiati per affermare un controllo pubblico
sulle banche che per sostenerle efficacemente).
Muovendosi in maniera abbastanza simile, i politici di buona
parte del mondo si sono spesi nel fare ben poco, perdendosi in inutili incontri
in più o meno amene località del mondo, tutti piuttosto inconcludenti, ma
terminati con i soliti proclami altisonanti e con l’approvazione di misure
parziali, destinate ad avere modesti e brevissimi effetti. Un’azione politica men
che mediocre dunque, ben supportata dagli economisti, che hanno sostenuto
tutto e il contrario di tutto, così offrendo un’eccellente sponda a chi, in
realtà, non aveva nessuna reale volontà di decidere.
Non voglio essere io a indicare i tanti illustri studiosi di
economia che si sono contraddetti sulle pagine dei più autorevoli quotidiani
del mondo. Gli archivi di molti di questi sono liberi, consultarli vi
confermerà che non sbaglio.
Per non diventare noioso, provo a tirare le somme. Sono trascorsi oltre tre anni da quando (Ottobre 2008), Lehman Brothers fallì. Tre anni durante i quali le misure adottate dai singoli stati e dalle organizzazioni sovranazionali si sono rivelate inadeguate, spesso addirittura produttive di effetti contrari a quelli sperati. Una prova pessima, che ha anche messo in luce una certa sudditanza della classe politica all’industria finanziaria, in Italia assai meno che altrove. A conferma di questo, se avete pazienza, molta, e dimestichezza con l’inglese, potete leggere il rapporto datato Ottobre 2011 e intitolato OTC Derivatives market reforms del Financial Stability Board, l’organizzazione che coordina l’azione dei principali paesi del mondo e delle maggiori istituzioni finanziarie al fine di rimuovere le condizioni che possono creare o favorire crisi (http://www.financialstabilityboard.org/list/fsb_publications/tid_72/index.htm). Se vi fidate, vi dirò che sembra molto improbabile il raggiungimento, nel termine fissato per dicembre 2012, degli obiettivi di controllo sulle transazioni dei “derivati” (che tanta parte hanno avuto e hanno ancora nel causare o amplificare le crisi finanziarie), impegno solennemente assunto dal G20 nel Settembre 2009. Questo per dire che, mentre i responsabili dei governi s’incontravano e scrivevano comunicati stampa, il controllo sui mercati finanziari è migliorato poco o nulla così da permettere che si effettuino tuttora operazioni speculative capaci di causare effetti dirompenti come quelli che stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’Euro, la cui situazione critica getta un’ombra inquietante sul prossimo anno e accentua la preoccupazione suscitata dalle previsioni di una recessione non trascurabile nei paesi dell’Eurozona.
Tutto sarebbe più facile se ci fosse maggior chiarezza e maggiore incisività nelle scelte della politica. La pavidità dei deboli (con i ridicoli ruggiti dei topi Sarkozy e Cameron) e l’intransigenza dell’autoproclamata capoclasse Merkel fanno sembrare uno statista straordinario persino Obama, che pure non ha fatto molto, ma almeno ha rimesso in lento movimento l’economia americana. Basta.
Torniamo a Giuseppe Corte.
Non so a che piano sia arrivata la moneta unica. E posso soltanto augurarmi di
aver sbagliato completamente nel porre in relazione le vicende dell’euro e
quella del personaggio di Buzzati. In caso contrario, il peggio che ci aspetta
sarà ben oltre le più funeste aspettative.
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