Avevo promesso di non parlare della Grecia sino a dopo
l’esito del referendum a meno che non avessi letto qualcosa di non omologato
rispetto alle gran mole di articoli e commenti rovesciati su di noi dai media.
Ebbene, questa mattina il mio amico Roberto Plaja ha pubblicato un post in italiano sul proprio blog. Roberto parla della Grecia da un punto di vista particolare. Ho avuto il privilegio di leggere il pezzo in anteprima e, inizialmente, ero un po’ incerto. Condivido le premesse e, in larga parte, anche le conclusioni di Roberto, tuttavia devo rileggerlo ancora per arrivare a un’opinione definitiva sull'accostamento della finanza e della politica alla filantropia. Merita, comunque, di essere letto, perché offre, come di consueto, validi spunti di riflessione: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/07/04/uno-due-tre/.
C’è un tema, in particolare, sul quale concordo pienamente
con lui: l’eccesso di opinioni espresse da famosi economisti di varia
nazionalità, inclusi numerosi Premi Nobel. Roberto ha perfettamente ragione
quando sostiene che non pochi di loro sono, a tutti gli effetti, dei politici che tendono
ad affermare la propria visione ideologica salendo sul pulpito messo a
disposizione dalla presunta autorevolezza di studiosi.
Mi pare un atteggiamento deplorevole, reso tanto più grave
dalla disponibilità di spazio e di strumenti di comunicazione che la nostra
epoca offre. E anche dalla mancanza di memoria di alcuni tra questi signori.
Prendiamo il caso di Krugman. Poco più di due anni fa,
quando Cipro si trovava in una situazione di difficoltà analoga, ceteris paribus, a quella greca, il
Premio Nobel del 2008 sosteneva che l’isola dovesse uscire dall’euro. Ecco un
breve pezzo da Il Sole 24 di allora:
Cipro non è uscita dall'euro, ma si è risollevata dalla crisi.
Ieri, sempre Il Sole 24 Ore, ospitava un articolo in cui
Krugman sostiene che il “no” sia da preferire e che anche la Grecia, fuori
dall’euro, starebbe probabilmente meglio. Ho dovuto far lavorare lo scanner.
Stampa così e così. Intendiamoci, Krugman ne sa molto, ma molto più di me, tuttavia mi
permetto di dissentire dalla sua teoria e di farlo sulla base delle esperienze positive
di nazioni europee aderenti all’Eurozona che, più o meno contemporaneamente
alla Grecia, hanno ricevuto aiuti dalla cosiddetta Troika e ne hanno adottato
le amare ricette. Ne parla un articolo di Michele Pignatelli su Il Sole di
ieri: http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-07-04/le-buone-riforme-costano-ma-pagano-081142.shtml?uuid=AC8Z3mL&fromSearch.
E ne aveva parlato, due giorni fa, anche Luca Ricolfi, sempre su Il Sole: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-07-03/ma-siamo-sicuri-che-e-tutta-colpa-dell-austerita-072526.shtml?uuid=ACeebAL&fromSearch.
Buona stampa. Perché Krugman non considera questi
casi e dimentica che, prima dell’avvento del governo guidato da Tsipras, sia
pure molto lentamente, anche l’economia greca aveva iniziato a crescere? E perché considera Tsipras in grado di offrire un futuro migliore al suo
paese quando ha ampiamente dimostrato la sua inettitudine non solo a trattare
con i creditori, ma anche ad agire con decisione per eliminare i problemi (ne
cito solo tre: evasione fiscale, corruzione e mancanza di concorrenza) che agiscono come un’inesorabile
zavorra per l’economia greca? E perché Krugman, come tanti altri, evita di considerare il fatto che le sofferenze che ha patito, patisce e patirà il popolo greco non sono diverse da quelle che hanno patito e patiscono e patiranno irlandesi, portoghesi, ciprioti e spagnoli?
Sulla Grecia, spiace dirlo, si sono sprecati fiumi
d’inchiostro, ma la gran parte è stata impiegata per affermare determinate
posizioni politiche, non per prospettare soluzioni efficaci. Detto altrimenti,
i problemi greci sono stati usati con opportunismo disgustoso da parte di
troppe persone: intellettuali, veri o presunti esperti, personaggi pubblici di
ogni genere (inclusi, da noi, i soliti nani e le solite ballerine) e, ovviamente, politici.
Tra questi ultimi, i nostri, come di consueto, sono stati tra i più
attivi nel cercare di sfruttare il referendum greco per riportarsi al centro della
scena e provare a conquistare qualche briciola di attenzione e di consenso. Da quelli, come
Grillo e Vendola, che non hanno trovato di meglio da fare che andare a
complicare la vita agli ateniesi. A quelli che, come Salvini, sono rimasti a
casa, preoccupati di schierarsi in maniera troppo sfacciata per il “no”,
correndo il rischio di far brutta figura nel caso in cui a prevalere fosse il
“sì”. Niente da dire: più scaltro degli altri, ma anche più meschinamente opportunista.
Nella battaglia contro i nemici della musica, oggi ci
affiancano niente meno che The Beatles, di cui non vi ho mai proposto nulla (il che conferma la mia stupidità). Non vado a cercare niente di particolare, ma scelgo, come faccio spesso, sulla base delle mie preferenze: The Long and Winding Road.
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