Il mio
amico Roberto Plaja, del quale vi ho già parlato, oggi ha pubblicato un testo davvero ottimo, che merita assolutamente di essere letto. Se volete la versione in inglese, la
trovate qui: http://www.theboxisthereforareason.com/2015/01/17/a-time-to-give/.
Se
invece preferite il testo italiano, vi propongo la traduzione.
Un
momento per dare
Questa settimana mi trovavo a Milano e
mi sono concesso qualche minuto per lasciarmi stupire dai modelli esposti nella
Boutique Vertu di Via Montenapoleone, dove un singolo telefono cellulare viene
venduto a svariate migliaia di unità di qualsiasi valuta. Ciò accadeva dopo che
avevo preso parte a un eccellente convegno patrocinato dall’Alto Commissariato
dell’Onu per i Rifugiati (UNHCR) e dedicato alla situazione della filantropia
in Italia da parte della fascia più ricca della popolazione. L’evento, che si è
svolto nella sede della Kairos Julius Baer SIM e che ha visto la presenza di
una trentina di persone, si è aperto con una fantastica presentazione del
Professor Stefano Zamagni, un esperto della materia, ed è proseguito con la
dettagliata e illuminante indagine sulla situazione attuale in Italia svolta da
Giovanna Li Perni, della sede romana dell’UNHCR. Copia del documento si può
scaricare qui: http://www.theboxisthereforareason.com/wp-content/uploads/2015/01/UNHCR-Presentation-Jan-2015-FILANTROPIA-HNWIS-ITALIA.pdf.
Queste due situazioni mi hanno spinto a
riconsiderare una vecchia domanda: esiste concretamente un livello di ricchezza
per ciascun individuo o nucleo familiare che possa essere considerato
“eccessivo” o semplicemente “troppo”? Non è una domanda posta nel solco del
pensiero marxista, ma piuttosto nel senso di possedere così tanto denaro da non
sapere che farne. Non si tratta di una domanda oziosa, soprattutto nel contesto
di quello che il Professor Zamagni ha descritto come il fondamento filosofico
americano o anglosassone della filantropia: restituire parte della propria
fortuna alla comunità e alle persone che hanno contribuito a far raggiungere la
ricchezza. Da qualche tempo ormai la mia risposta è un inequivocabile si e
penso che, mentre il livello effettivo di ricchezza eccessiva può variare con
le circostanze, la sua determinazione è più facile di quanto possiamo pensare.
In passato, quando incontravo possibili
clienti per la prima volta, ero solito chiedere quali fossero i loro impegni
finanziari. Nella maggior parte dei casi, la risposta era che non ne avevano
nessuno. Una volta spiegato loro cosa intendevo con il termine – non solo
debiti verso banche o altri, ma “previsioni ragionevoli” di quel che il denaro
avrebbe dovuto procurare loro negli anni a venire: spese di sostentamento,
protezione contro eventi inattesi, acquisto di case, creazione di una
collezione d’arte, allestimento di una flotta di yacht e così via – la
conversazione si esauriva inevitabilmente con sguardi infastiditi e la
sensazione di un’intrusione ingiustificata da parte mia. La verità, ho compreso
poi, è che queste persone non sapevano, e qualche volta non si preoccupavano di
sapere: semplicemente una maggiore disponibilità di denaro era un bene.
Con questo non intendo criticare
nessuno, soprattutto alla luce della mia attività professionale, che consiste
nell’aiutare persone molto ricche a raggiungere i loro obiettivi. Penso,
tuttavia, che si possa fissare un principio generale: se non si sa cosa si
desidera dal denaro, se non si è in grado di compilare una lista di impegni
finanziari, allora, con ogni probabilità, si possiede troppo denaro e sarebbe
bene destinarne una parte alla beneficienza. Certamente non spenderne – neppure
una minuscola parte – in un telefono Vertu, che diventa tecnologicamente
obsoleto ancor prima che si metta mano alla carta di credito.
Di mio aggiungerei soltanto che, purtroppo, in Italia non si è affermato il principio indicato dal Professor Zamagni e che la ricchezza è interpretata in maniera sbagliata, considerata una sorta di colpa e un disvalore. E non serve che spieghi le conseguenze di questo stato di cose.
Nessun commento:
Posta un commento