Cominciamo con un brano tratto da un articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
pubblicato due giorni orsono dal Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2013/aprile/22/amaro_Risultato_troppi_Scandali_quelle_co_0_20130422_ea51d486-ab0b-11e2-9260-08feb7aff50c.shtml): …Di Massimo D'Alema. Che dopo aver
sbuffato che «i costi della politica sono un'invenzione di giornalisti
sfaccendati», si avventurò a dire (ci scusino i lettori per la citazione non
voluta) che la parola Casta «compare nel dibattito pubblico italiano per la
prima volta in un documento delle Brigate Rosse e ha mantenuto quella impronta;
ogniqualvolta la si usa, bisognerebbe pagare una royalty agli ideatori, e lo si
fa culturalmente». Un parallelo, per dirla in dalemiese, tra una battaglia di
giornalismo civico e una stagione in cui i brigatisti assassini sparavano alla
nuca di docenti, dirigenti, capireparto, giornalisti, operai... E concluse:
«Nei Paesi evoluti non si protesta contro la Casta, ma contro Wall Street». Questo
è vero. Ma perché accada lo lasciamo dire a Napolitano: «I tanti fenomeni di
degrado del costume e di scivolamento nell'illegalità, insieme ad annose
inefficienze istituzionali ed amministrative, provocano un fuorviante rifiuto
della politica».
Quando si leggono certe parole, vien da chiedersi come e
perché si continui a considerare D’Alema un politico degno di occupare le
massime cariche della nostra malandata Repubblica. Lo Stalinuccio di Gallipoli,
che, non dimentichiamolo, ha litigato con i quotidiani che chiedevano
trasparenza sui conti della Fondazione da lui creata (ossia chiedevano di sapere
da dove arrivavano migliaia di euro di contributi), non sembra dimostrare più
rispetto per la democrazia e le istituzioni di questa nazione di quanto ne
dimostra Beppe Grillo, solo che pochi lo dicono o lo scrivono. Quando un
politico si spinge a parlare in quel modo della stampa, dimostra che non ha
nessuna considerazione per l’opinione pubblica e per il solo strumento disponibile
perché l’opinione pubblica possa controllare l’agire dei propri rappresentanti
e delle persone chiamate a rivestire ruoli fondamentali nell’amministrazione
del Paese.
Continuiamo (senza allontanarci granché dall’argomento) con
questa notiziola dall’edizione romana del Corriere della Sera: http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_aprile_23/gifuni-condannato-lavori-castelporziano-212813312907.shtml.
La colpevolezza sarà provata solo da una sentenza passata in
giudicato, ovviamente. Certo è che si può soltanto restare annichiliti nel
leggere che: …Nel corso del processo la
difesa ha sottolineato lo scarso valore economico del peculato attribuito a
Gifuni: poco più di 2.500 euro il valore della manodopera utilizzata e circa
2.000 euro quello del legno.
Gaetano Gifuni guadagnava già nel 1993 il controvalore di
oltre 500.000 euro (http://archiviostorico.corriere.it/2007/gennaio/27/Colle_costa_224_milioni_primi_co_9_070127081.shtml).
Tale retribuzione annua ne faceva (se ricordo bene) il più pagato dipendente
pubblico. E la sua posizione (Segretario Generale della Presidenza della
Repubblica) ne faceva, probabilmente, uno dei funzionari dello Stato più
potenti.
Vedremo se la condanna sarà confermata nei prossimi livelli
di giudizio, tuttavia, se dovesse essere confermata, penso che lo scarso valore
economico del peculato attribuito a Gifuni dovrebbe essere considerato un'aggravante, non un’attenuante.
Non riesco a cavarmi dalla testa due parole: squallore e
meschinità.
E non riesco neppure a cavarmi dalla testa che stiamo
parlando di una delle presunte punte di diamante della nostra pubblica
amministrazione… Cosa questo significhi, beh, ognuno può deciderlo per proprio
conto.
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