Nel 1991, edito da Einaudi, usciva il volume Un eroe borghese del giornalista Corrado Stajano (https://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_Stajano). Il libro raccontava la vicenda di una delle poche figure che si stagliano, imponenti, nella storia italiana della seconda metà del secolo scorso, quella di Giorgio Ambrosoli, avvocato, nominato nel settembre del 1974 commissario liquidatore della Banca Privata Italia di Michele Sindona, incarico al quale si dedicò con dedizione assoluta e implacabile correttezza, espressioni di un senso della giustizia e del bene collettivo assai rari nella classe dirigente del nostro paese, qualità che ha pagato con la vita nella notte dell’11 luglio del 1979 (https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Ambrosoli).
“Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (...) Giorgio”
Non posso evitare di riprendere ed evidenziare un passaggio che mi sembra esprimere pienamente la grandezza morale di quest’uomo:
“Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.”
Perché ho iniziato così questo post? La ragione la capirete tra un attimo, ma nel decidere come cominciare, ho scelto anche di ricordare un uomo che ha dato al proprio paese la vita e un esempio straordinario e al quale il suo paese ha dato assai poco, di gran lunga meno di quanto meritasse. Quanto poco l’Italia riconosca il valore di Giorgio Ambrosoli e il debito che ha verso di lui è dimostrato dal fatto che, a distanza di quasi 37 anni dalla sua morte, l’enciclopedia Treccani non ha ancora ritenuto di dedicargli un lemma.
Un’ultima osservazione: il volume di Stajano è tornato in libreria in questi giorni, pubblicato da ilSaggiatore, vale la pena di leggerlo.
Nel libro, Stajano dedica ampio spazio all’operato della Banca d’Italia, alla guida della quale, nel periodo in cui Ambrosoli ha svolto il proprio compito di liquidatore della Banca Privata Italiana, si sono avvicendati Guido Carli e Paolo Baffi. E non trascura di sottolineare come la banca centrale si sia mossa con grande prudenza, verrebbe da dire quasi con riluttanza, nel contrastare Sindona, il quale poteva contare su appoggi considerevoli, sia politici sia di altra natura.
Un esempio: di fronte alle risultanze di ispezioni effettuate, a cavallo tra il 1971 e il 1972, nelle due banche di Sindona poi confluite nella Banca Privata Italiana (Banca Privata Finanziaria e Banca Unione), Carli esita e non adotta i provvedimenti proposti dai propri ispettori che suggerivano, per la Banca Privata Finanziaria, addirittura lo scioglimento degli organi amministrativi.
Deponendo a suo tempo davanti alla Commissione parlamentare, Carli sostenne che, una volta trasmessi gli atti alla Procura di Milano per gli aspetti di natura penale emersi nelle ispezioni, aveva ritenuto di non prendere misure che avrebbero potuto aggravare il clima di crisi economica del momento.
E’ certo che, per così dire, la Banca d’Italia era in posizione di debolezza rispetto a Sindona, che godeva di alleati molto potenti, tuttavia io stento a non vedere in quella decisione di Carli, alla quale Baffi poi si adeguò, un atteggiamento prudente e anche compromissorio che, forse, è diventato parte della cultura dell’istituto e ne permea i comportamenti anche recenti.
Va sottolineato, per completezza e a conferma dell’influenza dei sostenitori di Sindona, come Paolo Baffi (e con lui Mario Sarcinelli) abbiano subito pesanti conseguenze personali per il fatto di essersi posti di traverso, sia pure in modo forse insufficiente e non tempestivo, rispetto ai piani del bancarottiere siciliano.
Torno al tema. Già da prima che le gravi difficoltà di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca diventassero oggetto di attenzione di tutti i mezzi di comunicazione, quando le situazioni erano, però, intuibili a chi avesse letto con una certa attenzione le cronache finanziarie, mi ero chiesto perché la Banca d’Italia avesse deciso di non trarre fino in fondo le conseguenze di quanto emerso dalle ispezioni effettuate nelle due banche venete. Come ho già osservato, le condizioni di Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno trovato una risposta adeguata soltanto nel momento in cui la vigilanza è passata dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea.
La Banca d’Italia rimane, probabilmente, una delle migliori istituzioni pubbliche del paese, tuttavia dovrebbe avere più a cuore la propria tradizione, la propria indipendenza e la propria capacità di considerare le situazioni, anche quelle in cui è coinvolta, senza reticenza e senza indulgenza. Questa mia convinzione ha tratto vigore dalla lettura dei commenti all’ultima Relazione annuale del Governatore Visco. Tra tutti, ecco quello di Guido Gentili da Il Sole 24 Ore del 1° giugno: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-06-01/il-detto-e-non-detto-075842.shtml?uuid=ADA0ZpT.
Buona stampa. Il non detto, credo, pesa assai più del detto e rivela come, rispetto al passato, sia andato attenuandosi il rigore che aveva improntato le relazioni di Carli e di Baffi, per richiamare i due Governatori citati prima. Si è stabilita, mi pare, anche tra la Banca d’Italia e le altre istituzioni pubbliche una sorta di complicità, la propensione a non mettere in discussione decisioni o comportamenti che andrebbero censurati e che perpetuano condizioni non più accettabili. Si è andata affermando, direi, una condiscendenza reciproca tra le varie parti dello Stato (ben più profonda della conflittualità che, di tanto in tanto, sembra prodursi, assai più apparente che concreta) di cui abbiamo quotidiane dimostrazioni. Ultima, di poche ore fa, la sentenza della Corte di Cassazione che ribadisce le differenze, e i privilegi, dei trattamenti riservati a chi lavora in ambito pubblico rispetto a chi ha un’occupazione nel settore privato. Ecco il commento di Alberto Orioli pubblicato, quasi in tempo reale, da Il Sole: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-06-09/i-due-mondi-del%E2%80%82lavoro-e-quella-sensazione-ingiustizia-150305.shtml?uuid=ADsb99Y.
Buona stampa. Alla quale non aggiungo certo altro.
Oggi, nella battaglia contro i nemici della musica, schiero uno dei miei jazzisti preferiti. Ascoltiamo la versione di Miles Davis di un brano scritto e reso famoso da Cindy Lauper: Time After Time.
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