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domenica 9 ottobre 2016

Paragoni arbitrari e dimenticanze di comodo

Se andate sul sito di The Guardian adesso vedrete, tra i titoli in maggior rilievo, quello che porta a un articolo in cui si da conto di una votazione all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: https://www.theguardian.com/world/2016/oct/08/russia-vetoes-un-resolution-syria-bombing-aleppo.
Buona stampa. Se, sempre in questo istante, cercate la notizia sui siti dei maggiori quotidiani italiani, non la trovate (io ho fatto la prova sui seguenti: Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica e Il Sole 24 Ore; il Corriere cartaceo ha confinato la notizia in un trafiletto a pagina 16). Troverete, però, preziosi articoli che si occupano, ad esempio, del battesimo del figlio di Nichi Vendola o del ricco indiano che, a Dubai, ha pagato 8 milioni di euro per una targa automobilistica.

giovedì 31 marzo 2016

L'Italia migliore

Riporto un dialogo che ho avuto ieri su Facebook con la mia amica Barbara e che ha preso avvio da un mio commento.
R:“I genitori di Valeria (Solesin) e i genitori di Giulio (Regeni) mi hanno restituito orgoglio di essere italiano”.
B: “Pagato prezzo troppo alto”.
R: “Hai perfettamente ragione, Barbara. I genitori di Valeria e di Giulio hanno pagato un prezzo altissimo, il più devastante dolore che un essere umano possa essere chiamato a sopportare, reso ancor più tremendo per il modo in cui sono stati privati dei figli. Proprio la dimensione del loro dolore, tuttavia, rende ancor più ammirevole il loro comportamento, l'equilibrio e la dignità con cui lo hanno vissuto davanti agli occhi degli italiani, abituati a ben altri atteggiamenti. Il mio orgoglio nasce dalla loro determinazione a offrire, ritengo in modo del tutto spontaneo, un vero esempio per tutti noi”.
B: “Aggiungerei che non a caso i loro figli sono state persone stupende”.
Non ho scritto altro e ho attribuito un deciso “mi piace” alle ultime parole di Barbara.

domenica 15 febbraio 2015

Di cosa stiamo parlando


E’ ovvio e doveroso provare solidarietà per il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha attirato su di sé le minacce dei fanatici criminali dell’Isis solo perché ha additato il pericolo costituito dai successi dei seguaci del sedicente califfato in Libia. E, tuttavia, non riesco a non pensare che, forse, Gentiloni ha parlato troppo e troppo presto.
Ci mancherebbe che il diffondersi del fanatismo islamico a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste non fosse motivo di preoccupazione e, da parte di politici adeguati, non comportasse la predisposizione di tutte le misure necessarie per evitare il peggio. Il mio dubbio è che né Gentiloni né nessun altro, a Roma come a Bruxelles come a Berlino e, men che meno, a Parigi, sappia da che parte cominciare e che, se mai lo sapesse, sarebbe in grado di proporre soluzioni realistiche.
Evocare un intervento sotto l’egida dell’Onu è, coi tempi che corrono, programmazione a lungo termine e, come diceva Keynes, nel lungo termine saremo tutti morti. Ammesso e non concesso che, nel Consiglio di Sicurezza, Cina e Russia decidessero di non porre il veto… E che fosse possibile convincere qualche nazione a fornire le truppe necessarie a fronte di qualche mercede.
E anche a voler essere ottimista e ipotizzare che l’Onu decidesse per una missione dei Caschi blu nel volgere di pochi giorni, che genere di missione sarebbe?
Temo che non si sappia di cosa stiamo parlando.
Abbiamo voglia di inviare droni e bombardieri e i soldati di chissà quale Stato per fermare il diffondersi delle milizie che, giorno dopo giorno, conquistano terreno dall’Algeria all’Iraq, dall’Egitto al Kenya.
Immagino che Sergio Romano suggerirà di chiedere a Putin d’inviare i reduci russi di Donetsk per riconquistare Sirte o di chiedere a Khamenei di prestarci qualche migliaio di Pasdaran per evitare che i vessilli neri dell’Isis sventolino anche a Misurata o a Erdogan di distogliere soldati dai territori curdi per spedirli in Tripolitania. Dubito che l’idea abbia qualche probabilità di successo. E mi pare persino più difficile che Gentiloni o Salvini propongano al Presidente della Repubblica Mattarella di rimangiarsi l’abolizione della leva obbligatoria per arruolare decine di migliaia di giovani italiani da spedire con decine di migliaia di colleghi francesi e tedeschi, belgi e danesi, spagnoli e ungheresi a combattere sulle sabbie del Nord Africa e del Medio Oriente, con le ovvie conseguenze che ciò avrebbe sul reclutamento da parte dell'Isis e delle altre formazioni dell'integralismo islamico. 
Perché è di questo che si deve parlare. Oppure è meglio tacere.
Buona notte e buona fortuna.

domenica 11 gennaio 2015

Se non vogliamo capire


Cominciamo con questioni italiane. Luca Ricolfi, da poco approdato a Il Sole 24 Ore come editorialista, oggi ha scritto un pezzo interessante sulla possibile evoluzione della nostra situazione economica nei prossimi 15 giorni, nei quali si succederanno alcuni eventi piuttosto importanti: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-11/le-cinque-giornate-dell-europa-105157.shtml?uuid=ABNyHHcC.
Buona stampa. Anche se, onestamente, non mi piace quel modo un po’ da fariseo di evitare il giudizio diretto sull’operato di Renzi. Sotto sotto, comunque, mi pare un discorso a nuora perché suocera intenda. E, in ogni caso, alla fine vien fuori che non abbiamo fatto quel che ci permetterebbe di guardare con serenità ai cruciali passaggi dei cinque giorni considerati da Ricolfi e anche dopo.
Per quel che mi riguarda, ho qua e là lasciato emergere qualche opinione sul Presidente del Consiglio in carica, ma ancora preferisco non esprimermi apertamente, da buon fariseo… Posso dire, e non è poco, che mi sembra inserirsi nella tradizione del “tirare a campare”, affermatasi da un bel po’ di tempo nel nostro Paese.
Ritorniamo agli eventi francesi. C’è un aspetto paradossale sul quale riflettevo dopo aver letto delle ultime corbellerie (vorrei sempre usare un’altra parola!) pronunciate da alcuni politici europei e delle polemiche interne ad alcuni mezzi di comunicazione sul giudizio relativo al contenuto delle vignette di Charlie Hebdo (http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_11/tv-niente-spot-charlie-lite-email-ad-jazeera-cronisti-arabi-americani-a2d7bb96-9972-11e4-a615-cfddfb410c4c.shtml#).
Il paradosso sta in questo: sia coloro i quali intendono sfruttare gli eventi di Parigi per imporre una visione esasperata di conflitto tra Occidente ed Islam sia coloro che rappresentano l’avanguardia mediatica del mondo musulmano confondono la grande maggioranza dei fedeli dell’Islam con i terroristi e i fanatici. Abbiamo bisogno di tutto, fuorché di persone che travisano la realtà fino al punto di affermare la medesima visione distorta pur appartenendo a fronti contrapposti. A riguardo vi suggerisco di leggere le parole dello scrittore israeliano Amos Oz, raccolte per il Corriere della Sera da Lorenzo Cremonesi. Il pezzo, pubblicato oggi, non è disponibile nell’edizione on line, quindi l’ho acquisito (non proprio bene, lo ammetto) con lo scanner.


Buona stampa. Anche se mi sembra che, nel comporre il titolo, la redazione abbia privilegiato un aspetto non così essenziale rispetto alle altre considerazioni di Oz. Il passaggio che io trovo più significativo è quello in cui lo scrittore riporta le parole dell’infermiera araba che lo ha assistito durante il ricovero in ospedale. Copio e incollo le parole da ricordare:
Quell’infermiera mi implorò che, per favore, mai dimenticassi non le centinaia di militanti in corteo per le strade, quanto piuttosto i milioni di pacifici musulmani rimasti nelle loro abitazioni.
Dimenticare questo sarebbe il peggiore errore che potremmo fare.
Un altro errore che non dobbiamo commettere è quello cui possono indurre commentatori come Sergio Romano, il quale non perde occasione per cercare di giustificare ogni azione, anche la più inaccettabile, della Russia di Putin e di rivalutarne il ruolo internazionale. Oggi, nel suo editoriale sul Corriere della Sera, che non vi faccio leggere perché non lo merita, ha scritto queste parole:
Winston Churchill disse un giorno che se Adolf Hitler avesse invaso l’inferno, lui non avrebbe mancato di parlare gentilmente del diavolo alla Camera dei Comuni. Il presidente egiziano Al Sisi, il presidente siriano Al Assad, il presidente russo Putin e il presidente iraniano Rouhani non sono diavoli. Sono alla testa di regimi che noi consideriamo carenti di democrazia, polizieschi e repressivi. Ma conoscono l’Islam meglio di noi, hanno già fatto in passato dolorose esperienze (abbiamo dimenticato ciò che accadde nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del nord?) e hanno buone ragioni per battersi affinché il loro Paese non venga continuamente insidiato dall’estremismo sunnita o sia destinato a divenire una provincia del Califfato. Se qualche Paese occidentale fosse disposto a mettere truppe sul terreno potremmo forse fare a meno della loro collaborazione. Ma da quando gli Stati Uniti hanno eliminato questa opzione non abbiamo altra scelta fuor che quella di sostenere con tutti i mezzi di cui disponiamo quelli che sul terreno già ci sono.
Da un certo punto di vista, il ragionamento di Sergio Romano è fondamentalmente giusto. Ha ragione laddove sottolinea che non siamo in grado di combattere e vincere la guerra con l’ISIS e Al Qaeda perché non abbiamo la determinazione necessaria a mandare per la terza volta i nostri soldati a morire in Iraq o da quelle parti.
Quello che non mi piace, e che è sostanzialmente fuorviante, è mettere sul medesimo piano Egitto, Iran, Russia e Siria. E dimenticare il ruolo di Iran e Siria nella nascita e nello sviluppo di certe frange dell’estremismo islamico. E, infine, confondere il terrorismo ceceno con quello dei fondamentalisti, anche se è fuor di dubbio che tra i due esistano contatti e collaborazioni molto significativi. Dietro il terrorismo ceceno (feroce e ingiustificabile come qualsiasi forma di terrorismo), infatti, esiste una richiesta d’indipendenza che la Russia ha represso con una brutalità di cui ha testimoniato Anna Politovskaja, che per questo è stata barbaramente uccisa come sappiamo (e come dovrebbe sapere anche Sergio Romano).
E Sergio Romano dovrebbe anche sapere che non esiste alleato meno affidabile di un regime dittatoriale.
In materie come queste non si può semplificare né scegliere percorsi ambigui. E dobbiamo sperare, come dice Oz e come dicono tanti intellettuali di religione musulmana, che siano i musulmani stessi a creare gli anticorpi contro la malattia. Perché, con buona pace di Salvini e dei redattori di Al Jazeera, sono pochi i fedeli musulmani che condividono l’agire dei terroristi, soprattutto quando arrivano al punto di servirsi di una bambina per compiere una strage di civili inermi in un mercato. Contro persone capaci di questo non si vince neppure con i soldati di Putin o con quelli di Assad (ammesso che siano disposti a morire per noi, e ne dubito decisamente). Contro queste persone si vince soltanto se vengono espulse dai loro stessi concittadini, se la mala pianta è estirpata da chi la vede spuntare accanto a sé.
E se questo non accadesse? Vorrà dire che dovevamo estinguerci noi (che non c’eravamo) e non i dinosauri. Che ci piaccia o meno, il problema siamo noi.