Ho già espresso la mia opinione sul calcio italiano. Oggi
non posso evitare di ripetermi e precisare. Non temete, sarò lapidario.
Il calcio italiano è una vergogna e una buffonata: una
vergogna per quello che accade fuori e dentro gli stadi e una buffonata perché
ogni diciotto mesi la magistratura apre una nuova inchiesta sulle partite
truccate.
Ha ragione Gramellini a ricordare che, in altri paesi, certi
personaggi starebbero trascorrendo utili giornate di riflessione in galera o ai
servizi sociali. I servizi sociali veri, non quelli “ogni tanto, se ha voglia…”
Il tizio decrepito, che continua a sbrodolare panzane nel
tentativo di dipingersi come un uomo politico e di convincere di essersi
preoccupato e di preoccuparsi del bene del paese, visto che dice anche di amare
il calcio, farebbe meglio a seguire la signora inglese alla quale, Dio lo
perdoni, di tanto in tanto si azzarda ad accostarsi. Lady Thatcher, Primo Ministro di Sua Maestà ai tempi della strage
di Heysel, introdusse misure drastiche per cercare di estirpare il fenomeno
delle tifoserie violente dai campionati del Regno Unito, in particolare da
quello inglese. Non riuscì neppure lei a raggiungere il risultato nei tempi
voluti, ma oggi gli hooligan sono, se
non domati, quanto meno ben addomesticati.
Naturalmente, il tizio decrepito non somiglia per niente a
Margaret Thatcher (verrebbe da dire che è una pallidissima imitazione se non
fosse abbronzato dal cerone…), quindi si guarderà bene dal provare a promuovere
la bonifica radicale di cui il calcio italiano ha un estremo bisogno.
E come lui tutti gli altri sedicenti leader politici
italiani, per i quali sono preziosi anche i voti dei figuri che vediamo all’opera
attorno al calcio.
Abbiamo un nuovo governo e, per sua fortuna, oggi qui non
piove. Potrebbe essere un buon inizio…
Lasciamo perdere le battute (mediocri, tra l’altro) e
vediamo di capire come stiamo venendo fuori da settimane nelle quali si è
consumata una vicenda politica che, a mio modesto avviso, non ha certo
contribuito a rafforzare l’immagine del nostro paese all’estero, tutt’altro.
Altrove certe cose non si fanno o, se si fanno, non si dimenticano del tutto le
buone maniere. Per esempio: nel Regno Unito Tony Blair e, prima di lui,
Margaret Thatcher furono “rimossi” da Downing Street non dal voto popolare, ma
in seguito a manovre interne ai loro partiti, forse non pienamente trasparenti,
però non certo come è accaduto a Letta da parte di Renzi.
E il modo in cui si è arrivati alla nascita del nuovo
governo non mi pare inquadrarsi nell’ambito dei “buoni inizi”, ma tant’è, le
cose sono andate così e, quindi, guardiamo avanti, ossia a quello che ci
possiamo aspettare dal più giovane Presidente del Consiglio della nostra
storia.
Di queste ore è l’affermazione che il primo obiettivo
dell’azione riformatrice di Renzi sarebbe la burocrazia. Ottima scelta, il
punto è capire se ci sono le capacità e la volontà necessarie per combattere
una battaglia difficilissima contro un possente drago dalle molte teste.
Sono certo che anche voi tre ricordiate perfettamente i
proclami altisonanti di Renato Brunetta, il quale dallo scranno di Ministro
della Funzione Pubblica aveva promesso di trasformare nel volgere di pochi mesi
la Pubblica Amministrazione italiana. Con quali risultati? Beh, anche questi li
ricordate perfettamente, il niente si ricorda agevolmente…
Buona stampa. I due economisti ancora non conoscevano con
certezza la composizione del nuovo governo, questo spiega il loro approccio
volto a dare consigli e non a fare valutazioni. Perfetta la chiusura del pezzo,
che mi piace tanto da meritare di essere ripresa integralmente:
“… Ma il nuovo governo non farà nessuna
di queste cose se non sostituirà radicalmente i burocrati che gestiscono i
ministeri (riformando i contratti della dirigenza pubblica e allineandoli a
quelli del settore privato) cominciando dalla casta dei capi di gabinetto. Per
farlo ci vuole coraggio perché questi signori sono depositari di «dossier» che
tengono segreti per proteggere il loro potere. Bisogna aver il coraggio di
mandarli tutti in pensione. All’inizio i nuovi ministri faranno molta fatica,
ma l’alternativa è non riuscire a fare nulla.”
Diverso è il tono che ritroviamo nei commenti di ieri e di
oggi dei principali quotidiani italiani, nei quali mi paiono prevalere, dietro
lo schermo di una speranza “obbligatoria”, dubbi e timori.
E passiamo all’editoriale odierno di Sallusti su Il Giornale
(http://www.ilgiornale.it/news/interni/994961.html).
Anche Zio Tibia (copyright Marco Travaglio) si è adeguato alla nuova linea
morbida e garbata imposta dal padrone (il tizio decrepito) e dal suo
consigliere politico. Una linea apprezzabile, perché, se non altro, persino la
Santalacchè ha smesso di strillare…
Stampa così e così. Sallusti si preoccupa soprattutto di
bastonare il “traditore” Alfano (che è come sparare sulla Croce Rossa). Che
volete farci? Lui è fatto così, lui il giornalismo lo intende in maniera
diversa da Ben Bradlee (http://en.wikipedia.org/wiki/Ben_Bradlee).
Buona stampa. Per entrambi. Mi limito a sottolineare le
osservazioni di Panebianco riguardo alla mancata conferma di Emma Bonino e di
Enzo Moavero Milanesi: condivido pienamente l’opinione che si sia trattato di due
errori. Due errori madornali.
Così come, forse, non è stata neppure geniale l’idea di
affidare il Ministero dello Sviluppo economico a Federica Guidi e quello del
Lavoro a Giuliano Poletti. Si tratta di due persone che hanno sicuramente
bagagli culturali adeguati per l’incarico, ma sono anche, che piaccia o no, esponenti
di due lobby assai ingombranti e
questo, a mio modesto avviso, non va per niente bene.
Buona stampa. E ottimo suggerimento a Renzi. Quelli che ora
lo portano in palmo di mano, se fallirà, non daranno al gallo nemmeno il tempo di
cantare due volte.
E cominciamo con la musica. Anna Maria Jopek (http://en.wikipedia.org/wiki/Anna_Maria_Jopek)
è una cantante polacca che ha alle spalle alcune collaborazioni con importanti musicisti internazionali. Non ha una voce particolarmente potente, ma mi sembra
meritare un ascolto. Vi propongo Don’t
Speak, una canzone malinconica che lei interpreta con garbo e discreta intensità.
E passiamo a cose più lontane nel tempo e, direi, anche nel
valore.
Nel 1963 John Coltrane compose un brano di rara bellezza per reazione
a una strage razzista avvenuta nella città di Birmingham (http://it.wikipedia.org/wiki/Alabama_%28John_Coltrane%29) e lo incluse in uno dei suoi album più belli, Live at Birdland. Nell’esecuzione il grande Trane era
affiancato dai componenti del suo storico quartetto, di cui vi ho già parlato, ovvero Jimmy Garrison al basso, McCoy Tyner al piano e Elvin Jones alla batteria. Il pezzo s'intitola Alabama.
Meno drammatica, ma non meno interessante, la terza e ultima proposta
di oggi: Changes,unacomposizione inclusa, nel 1955, in uno splendido album del quintetto/sestetto guidato da
Miles Davis e Milt Jackson. Due maiuscole prove del
talento straordinario di entrambi i musicisti.