Potremmo anche considerarlo un caso di asimmetria, ma probabilmente sarebbe riduttivo. Il problema è persino più grave.
Ci sono argomenti che trovano per qualche tempo molto spazio nella stampa, diventano anche per periodi relativamente lunghi una presenza costante sulle pagine dei giornali e nei notiziari radiotelevisivi, poi, però, scompaiono. Nessuno ne parla più per mesi e mesi. Si sarebbe indotti a pensare, di fronte alla scomparsa delle notizie su un determinato tema, che la questione sia stata risolta, che il problema, se di problema si trattava, abbia trovato una soluzione soddisfacente e definitiva, tale da indurre i giornalisti a non occuparsene più.
Detto altrimenti, anche i media si occupano di determinati argomenti solo fino a quando li considerano remunerativi, ossia sino a quando presumono che aumentino le vendite o gli ascolti. Una volta che tale presunzione viene a cadere, anche l’argomento viene lasciato cadere.
Non è un atteggiamento tipico della stampa italiana. In realtà un po’ ovunque nel mondo le notizie hanno una vita breve e vengono rapidamente dimenticate. La causa di questo non è soltanto lo sviluppo dei nuovi media, che, tuttavia, hanno dato una forte accelerazione alla velocità con cui vengono bruciate le notizie. Già prima dell’avvento di internet e dei social media, i quotidiani, le televisioni e le radio, per aumentare tirature e ascolti, consumavano rapidamente gli eventi da prima pagina. Ogg il fenomeno si è ovviamente accentuato.
Sento che vi chiedete quando mi decido ad arrivare al punto. Ci siamo arrivati.
Un argomento che aveva avuto spazio molto ampio ancora ai tempi del Governo di Enrico Letta è quello dei debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese private. Se n’è parlato davvero molto tra il 2013 e il 2014. Poi è seguito un lungo silenzio. Devo ammettere che anch’io sono rimasto intorpidito e ho lasciato il tema in disparte, sebbene, di tanto in tanto, mi accadesse di chiedermi come fossero finite quelle decine di miliardi così importanti per ridare fiato alle imprese italiane fornitrici del settore pubblico.
A questo punto la vostra domanda è un’altra. Tutti e tre vi state chiedendo cosa sia accaduto a quei debiti. Bene. Oggi, e bisogna dargliene merito, se n’è occupato il Corriere della Sera con un articolo firmato da Andrea Ducci: http://www.corriere.it/economia/15_agosto_03/debiti-pa-migliaia-aziende-aspettano-ancora-pagamenti-0666a284-39bf-11e5-b49b-ae37d5ff3efe.shtml#.
Buona stampa. Il problema, dunque, è lungi dall’essere risolto e, anzi, si può sospettare che sia in via di peggioramento, o almeno così lascerebbero supporre le parole conclusive di Ducci, dalle quali emerge come, in assenza di effettivo adeguamento alle norme europee, lo stock di questi debiti possa riprendere il cammino della crescita.
Su questo punto, più ancora che le parole è significativa la figura che accompagna l’articolo nella versione cartacea, ma non è presente in quella on line. Lo scanner ha lavorato.
Restiamo largamente il peggior paese dell’Unione Europea e manteniamo il dubbio primato di ritardo rispetto alla media. Nel 2015, mentre la media europea calava di 24 giorni, la nostra calava di soli 21. E non vedo niente di consolante nel fatto che in Francia il dato sia peggiorato di 3 giorni.
Forse, anziché preoccuparsi soltanto di trasmettere il suo apparente ottimismo agli italiani, Renzi dovrebbe preoccuparsi di mantenere le promesse fatte e ridisegnare rapidamente la gerarchia delle sue priorità. Come osservava su Il Sole 24 Ore di ieri Luca Ricolfi, la riforma in campo fiscale anticipata dal Presidente del Consiglio sembra costruita con poca attenzione per gli obiettivi economici e con molta per quelli elettorali. Ecco il collegamento all’articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-08-02/perche-non-si-deve-sprecare-2016-141315.shtml?uuid=ACb0lkb&fromSearch.
Buona stampa. Ho sintetizzato molto il pensiero di Ricolfi, però credo di non aver sbagliato.
Con la scelta musicale di oggi torniamo alla classica italiana, in particolare al barocco, con Domenico Scarlatti, di cui ascoltiamo le sonate per clavicembalo K1, K2 e K3 eseguite da Scott Ross.
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