Ieri, forse tardivamente, si è deciso di richiamare il nostro ambasciatore a Il Cairo come segno d’insoddisfazione per come l’Egitto ha, finora, cercato di (non) fare chiarezza sul sequestro e sull’uccisione di Giulio Regeni.
Buona stampa. Negri aveva pienamente ragione nel concludere il suo pezzo ponendo l’accento sulla questione della dignità, alla quale non si dovrebbe rinunciare per qualche vantaggio commerciale. E’ evidente che, a lungo andare, il comportamento adottato anche nella vicenda di Regeni dal nostro Paese si traduce nella perdita sia della dignità sia dei possibili affari. E nel mettere in pericolo le vite di altri nostri concittadini che si trovano in paesi ad alto rischio, dove organizzazioni criminali e anche certi governi si sentiranno autorizzati a trattare gli italiani come non si sognerebbero di fare con i cittadini di altri paesi, quelli che sanno tenere sempre la schiena diritta.
Torniamo per un attimo alla presenza del figlio di Totò Riina nella trasmissione Porta a Porta. Ho letto qua e là commenti in cui si accostava quella presenza con le interviste fatte da Enzo Biagi a Sindona, Liggio, Cutolo e altri personaggi della stessa specie. Non sono stato mai un ammiratore acceso di Biagi, tuttavia le sue interviste, magari anche poco aggressive, erano comunque a individui che avrebbero potuto, opportunamente stimolati, aiutare a ricostruire momenti complessi e oscuri della nostra storia. E Biagi talvolta ha ottenuto questo risultato. Niente di tutto questo potrebbe mai accadere in una trasmissione di Bruno Vespa, il quale sembra aver dimenticato i fondamentali del giornalismo autentico, quello delle domande poste per capire davvero e delle seconde domande poste per smascherare. Se ci fosse stato lui al posto di Ben Bradlee nel 1972 (periodo ipotetico della irrealtà), Nixon non avrebbe avuto nulla da temere, anzi, avrebbe potuto contare su un megafono attraverso il quale difendersi meglio e cercare di nascondere la verità su ciò che si celava dietro gli scassinatori del Watergate. E su questo non aggiungo altro.
Ieri, sul Corriere della Sera, uno studioso del sistema educativo, Adolfo Scotto di Luzio, ha scritto un articolo ispirato dalla vicenda della preside romana contestata dai genitori e dagli studenti per aver richiesto l’intervento delle forze dell’ordine affinché si occupassero di uno spacciatore attivo all’interno del liceo. Ecco la cronaca, presa da Il Messaggero: http://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/roma_virgilio_studenti_assemblea-1626779.html. Ed ecco il collegamento al pezzo di Scotto di Luzio: http://www.corriere.it/opinioni/16_aprile_08/se-non-si-rispetta-l-autorita-scuola-non-puo-educare-13885964-fcea-11e5-9628-57573544d3d4.shtml.
Buona stampa. L’autorità difficilmente piace, soprattutto quando si è giovani. Non piaceva tanto neppure a me negli anni del liceo, tuttavia ne intuivo la necessità e, comunque, la ritrovavo in altri ambienti oltre che a scuola: in casa, per strada, nei luoghi di ritrovo. Era ovunque. Non esisteva una spazio nel quale non vi fosse qualcuno che, anche con garbo, facesse valere la disciplina e pretendesse il rispetto delle regole. Anche a me non piaceva ottenere voti insufficienti (e ne ho presi un bel po’!): accadeva non perché li considerassi immeritati, ma perché creavano problemi anche in famiglia. Quando riportavo una cattiva valutazione, le mie eventuali lamentele per una presunta ingiustizia venivano stroncate dai miei genitori, i quali avevano la pessima abitudine di schierarsi con i professori anziché con me… E davano ragione persino ai vigili urbani (allora si chiamavano ancora così) quando m’infliggevano multe perché violavo il Codice della Strada alla guida del mio Gilera o del mio DKW (credo di non averne prese più di tre o quattro: le dovevo pagare io e questo le rendeva molto più sgradevoli dei voti insufficienti e mi spingeva a evitarle). Non sono affatto sicuro che i cambiamenti intervenuti nel tempo trascorso da quando frequentavo il Tito Livio siano serviti a migliorare la scuola e neanche la società. Sono d’accordo con Scotto di Luzio e mi auguro, per le nuove generazioni, il ripristino almeno parziale delle regole grazie alle quali la vita era non solo più ordinata, ma anche più semplice e, ne sono convinto, più piacevole per tutti, perché i diritti di tutti erano maggiormente rispettati.
Ultimo argomento di oggi è l’economia, che forse ho un po’ trascurato di recente. A livello internazionale non è stato eliminato nessuno degli elementi che suscitavano incertezze sulle prospettive mondiali e che avrebbero dovuto spingere alla prudenza gli operatori e gli investitori: marcato calo della crescita della Cina e debolezza del suo sistema finanziario e industriale, deterioramento delle economie emergenti, sia grandi che piccole, inflazione assente e crescita debolissima in Europa… Mi fermo qui. Lascio che altri più competenti affrontino l’argomento. Vi propongo per primo Alessandro Fugnoli, con il suo commento settimanale Il Rosso e il Nero: http://www.kairospartners.com/sites/default/files/rn-20160407.pdf.
Buona stampa. Fugnoli scrive, come sempre, in maniera intrigante, ed è acuto e assai bene informato. Talvolta, e accade anche in questo ultimo scritto, lascia emergere una nota ottimistica che deriva inevitabilmente dal ruolo. La sa, peraltro, controllare e il richiamo alla necessità di correggere i problemi di fondo è chiaro e netto, pur se temperato dall’indicazione che esiste ancora una finestra, stretta, per qualche investimento redditizio.
Roberto Plaja, invece, rimane più attento ai fondamentali e non è così propenso a esporsi ai rischi. Per il suo pezzo di ieri, in verità, anche lui si è affidato alle considerazioni di altri e ha riportato un estratto dalla lettera agli investitori di Manchester Explorer Fund, L.P. Mi pare, francamente, più convincente di Fugnoli. Questo è il collegamento al blog di Roberto: http://www.theboxisthereforareason.com/2016/04/08/todays-world/. Si può ancora investire, quindi, ma con estrema attenzione e sulla base di minuziose valutazioni. Scelte consapevoli, sempre.
La situazione dell’economia italiana temo sia oggi influenzata più negativamente da quella internazionale, anche per l’ostinazione con cui il governo si rifiuta di affrontare i nodi irrisolti e le pesanti implicazioni di quel che accade fuori dei nostri confini. Di questo, però, mi occuperò nei prossimi giorni.
Per combattere i nemici della cultura e della musica oggi ho scelto un brano famosissimo, L’Adagio Per Archi di Samuel Barber. Ve lo propongo in una versione particolare e, a mio giudizio, molto bella. Si tratta della trascrizione per coro, opera di Barber stesso con il testo dell’Agnus Dei, eseguita dal Coro da Camera Accentus, fondato e diretto da Laurence Equilbey. Un’interpretazione davvero interessante nella quale, credo, si attenua la drammaticità della versione orchestrale, che proprio per questo ha trovato impiego anche nelle colonne sonore di film di successo (The Elephant Man e Platoon).
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