Su Facebook leggo numerosi post nei quali si attribuiscono all’euro molti dei mali del nostro paese. A manifestare simili opinioni non sono soltanto persone che non conosco o politici dei quali ho una cattiva opinione. Tra loro ci sono, purtroppo, anche persone che stimo e che ritengo intelligenti e informate. Ciò mi stupisce e, più ancora, mi preoccupa. Come spesso accade si confondono le cause con gli effetti e si dimenticano aspetti cruciali di una vicenda che si è svolta in un arco temporale lungo e che ha visto coinvolte responsabilità politiche diverse.
Da quella data, in quanto unità di conto e strumento di pagamento nelle transazioni svolte senza contante, esso era già, nei fatti, la moneta unica e i valori fissati erano destinati a non cambiare. Come per acquistare un euro erano necessarie 1937, 26 lire, così servivano 1,95583 marchi tedeschi o 6,56 franchi francesi. E questi valori non hanno subito alterazioni, sono stati fissati una volta per tutte e, in certo senso, hanno perso significato nel momento in cui la nuova moneta è diventata ufficialmente quella dei dodici paesi che per primi l’hanno adottata. La lira, come il marco e il franco francese, non esistono più, quindi i loro valori rispetto all’euro sono irrilevanti, un puro dato storico.
L’euro, dunque, ha, per così dire, “preso servizio” in due momenti diversi, ma la sua concezione, l’idea di istituire una moneta unica, risaliva al 1992, quando venne inserita nel Trattato di Maastricht, che fissava anche i parametri necessari perché un paese potesse adottarlo. La scelta del nome euro, però, avvenne successivamente, nel 1995. Dunque non si trattò di un fulmine a ciel sereno, di un evento sviluppatosi rapidamente e in maniera imprevedibile. L’adozione dell’euro è stato un processo graduale, articolato in vari passaggi nei quali i governi nazionali hanno potuto far valere le proprie ragioni e dai quali avrebbero dovuto trarre indicazioni sulle modalità da impiegare per garantire che l’adozione della nuova moneta avvenisse senza modificare i prezzi dei beni e dei servizi.
Per quel che riguarda l’Italia, a occuparsi della materia sono stati diversi governi, anche alcuni in carica prima della firma del Trattato di Maastricht, che ovviamente è stato oggetto di una lunga preparazione collegiale.
Non si può, dunque, attribuire formalmente una responsabilità unica nella decisione di adottare l’euro. Si può, tuttavia, ritenere che Amato, Ciampi e Prodi siano stati i politici che, più di ogni altro, hanno operato così da consentire all’Italia di far parte del primo gruppo di paesi in cui l’euro iniziò a circolare.
Si può, però, anche ricordare che il governo in carica nei mesi precedenti l’inizio della circolazione effettiva della moneta unica era guidato da Berlusconi e aveva Tremonti al Ministero dell’Economia. E non c’è dubbio che, come accaduto altrove, il compito di predisporre un passaggio indolore dalla lira all’euro sarebbe spettato soprattutto a loro. Al governo in carica toccava fissare norme e stabilire controlli per impedire, come purtroppo è accaduto, che nel passaggio da una moneta all’altra qualcuno facesse il furbo e usasse un tasso di cambio diverso da quello prestabilito. In altre parole, era quel governo che doveva individuare gli strumenti necessari per evitare che gli operatori economici adottassero un tasso di cambio arbitrario, come in realtà è avvenuto in molti casi, tanto che il potere di acquisto delle famiglie italiane ha subito un taglio deciso in termini reali.
Ricordo che nei mesi successivi all’arrivo al ministero di Via XX Settembre 97, Tremonti appariva molto volentieri nei diversi salotti televisivi per illustrare, con l’ausilio di lavagna e tabelle, come il governo precedente avesse lasciato una situazione dei conti pubblici più deteriorata di quanto indicato ufficialmente. Sarebbe stato senz’altro meglio se si fosse occupato un po’ meno di questo tema (importante, certo, ma soprattutto dal suo punto di vista e come prosecuzione della competizione elettorale, non come azione di governo) e avesse definito un programma per controllare che i prezzi italiani non subissero, nel passaggio da una moneta all’altra, variazioni ingiustificate e dannose per la collettività. Questo non è accaduto e mi sembra si debba ricordarlo.
Così come si deve ricordare che, pur con tutti gli effetti negativi determinati dall’opportunismo di imprese industriali e commerciali che hanno modificato i prezzi di beni e servizi, l’adozione dell’euro ha avuto per l’Italia una quantità di vantaggi molto superiore rispetto a quella delle conseguenze negative.
In rete potrete trovare molti testi che spiegano quali benefici abbiamo ottenuto dall’adesione all’euro e quali drammatiche conseguenze deriverebbero da una eventuale uscita dalla moneta unica. Si trovano, è giusto sottolinearlo, anche molti testi che sostengono la tesi opposta.
Io vi propongo un pezzo da LaVoce.info, sito nel quale prevale senz’altro la posizione favorevole al permanere dell’Italia nell’euro. Si tratta di un articolo di Marcello Esposito, pubblicato nell’aprile 2014, quindi non recente, ma appare ancora fondato e ben argomentato: http://www.lavoce.info/archives/19081/uscita-dalleuro-scenario-confronto-1992/.
Buona stampa. Le cose non sono cambiate rispetto ad allora, non sotto il profilo delle conseguenze fondamentali di un’eventuale uscita dalla moneta unica, della quale, anzi, abbiamo beneficiato anche nei mesi recenti. Nessuno dei sostenitori dell’abbandono dell’euro ha il coraggio di dire che cosa sarebbe accaduto se la loro ricetta avesse trovato applicazione appena due anni fa. Solo per fare un esempio, con una moneta diversa e senza la protezione della Bce, il nostro debito pubblico avrebbe avuto e avrebbe costi insostenibili e l’inflazione sarebbe al 2% su base giornaliera, non annua.
No, amici di Facebook, non fatevi lusingare da certe promesse e non lasciatevi ingannare dalla memoria, che ci offre sempre un’immagine alterata in positivo dei fatti del passato. E considerate attentamente la realtà attuale, nella quale già l’Italia soffre il pesante declino dei mercati finanziari, le cui ragioni sono ben analizzate da Roberto Plaja nel suo post odierno: http://www.theboxisthereforareason.com/2016/02/08/placche-tettoniche/.
I fenomeni descritti da Roberto esercitano un influsso tanto maggiore nel nostro caso, perché il nostro bilancio pubblico e il nostro sistema bancario vengono considerati più deboli degli altri e destinati a subire pesanti conseguenze se l’Europa non saprà ritrovare una visione davvero unitaria e se le persone che ne reggono le sorti non riusciranno a sollevare lo sguardo dagli orizzonti angusti che sembrano gli unici cui vogliono guardare.
Buona notte e buona fortuna.
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