Questa mattina, nel corso di Prima Pagina, ottima trasmissione di Rai Radio 3 (per ascoltarla in podcast: http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-546fce50-63a7-4a3a-a677-c01b234511bd-podcast.html), un ascoltatore, mi pare si chiamasse Sandro, ha lamentato il fatto che il Presidente della Camera avesse annunciato il taglio dei privilegi degli ex-parlamentari. Sandro la considerava l’ennesima promessa destinata a restare tale, era arrabbiato ed era assolutamente nel giusto: non se ne può più di questo modo di fare.
Non se ne può più del fatto che anche figure istituzionali di altissimo rango si sentano autorizzate a lanciare proclami con la sicurezza che, qualsiasi cosa affermino, difficilmente saranno chiamati a risponderne e che, quindi, potranno guadagnarsi qualche minuto di attenzione a costo zero.
La volontà di sfuggire alle proprie responsabilità non è un’attitudine propria soltanto della classe politica. In realtà, purtroppo, essa si ritrova, e sembra rafforzarsi, in gran parte della popolazione e va dai livelli più banali a quelli più gravi e sconcertanti. Con effetti non di rado paradossali, come spesso riusciamo a fare in Italia. Si pensi ai genitori che aggrediscono gli insegnanti che danno un voto negativo ai figli. Oppure consideriamo le multe per eccesso di velocità inflitte con l’ausilio di apparecchiature più o meno dissimulate. Qui vado sul puntiglioso, è un mio chiodo fisso. Si sostiene, anche da parte di riviste specializzate non prive di autorevolezza, che non si deve reprimere, bensì prevenire e che le amministrazioni locali non possono utilizzare le violazioni del codice della strada per fare cassa. Mentre l’ultima osservazione è del tutto condivisibile, la prima mi lascia molto perplesso. Con la stessa logica, infatti, mi sembra che si dovrebbe rinunciare a perseguire i ladri e gli assassini: se le forze dell’ordine, per il solo fatto di esistere, non riescono a impedire che ci siano rapine e omicidi, se, dunque, non riescono a prevenirli, si dovrebbero astenere dall’arrestare coloro che abbiano commesso reati.
Muoversi in auto nel nostro paese è il modo migliore per verificare quale sia il senso d’impunità degli italiani. Lasciamo perdere…
Tornando ai politici, la loro convinzione di non dover rispondere di quel che dicono è senz’altro rafforzata dal fatto che gli organi d’informazione hanno, in larga misura, rinunciato a richiamarli alle loro responsabilità.
Penso che siano venuti diffusamente a mancare, nel rapporto con il politico, due essenziali requisiti del buon giornalista: la memoria e la capacità di porre quella che chiamerò “seconda domanda” (non è una mia definizione, so di averla memorizzata, ma non riesco a ricordare a chi vada accreditata e me ne scuso).
Per memoria intendo la capacità (la volontà?) di ricordare: l’accezione più ovvia, integrata dalla raccolta della documentazione necessaria per mantenere vivi i ricordi.
La “seconda domanda” è quella che un giornalista dovrebbe porre durante un’intervista o un dibattito quando la risposta alla “prima” è stata insoddisfacente, reticente o, comunque, tale da imporre un approfondimento.
Se hanno di fronte a loro interlocutori privi di memoria (o inclini a non servirsene) e poco o per nulla propensi a porre la “seconda domanda”, è del tutto ovvio che i politici si sentano maggiormente stimolati a rivolgersi a cittadini con proclami e slogan, anche i più sconsiderati, senza doversi preoccupare troppo delle conseguenze, anzi, con la certezza che la faranno franca.
Se vi capita di guardare un talk show, vi renderete conto che sono ben poche le occasioni in cui i conduttori e i giornalisti ospiti si azzardano a contraddire i politici che fanno lunghe e inconcludenti orazioni (spesso alzando la voce), affidandosi alle repliche degli esponenti di parte avversa, i quali si producono in arringhe del tutto simili (spesso alzando la voce).
Se leggete le interviste sulla carta stampata, vedrete come sia assai infrequente che all’intervistato, dopo una risposta elusiva, venga posta una domanda stringente alla quale non possa sfuggire.
Viene da pensare che sia tutta una messinscena, una rappresentazione ben studiata e concordata o ripetuta ormai tante volte da non richiedere più neppure un canovaccio. Così si finisce per sentire persone cadere in contraddizione a distanza di pochi minuti o sostenere il contrario di quanto sostenevano qualche mese prima. Anticipo l’obiezione e concordo in linea di principio: nessuno può essere crocefisso alle opinioni maturate ed espresse in passato. Esistono, però, argomenti a proposito dei quali la coerenza non è mai opzionale e a maggior ragione non può esserlo a distanza di poche ore o di pochi minuti o anche di qualche mese. Ci sono aspetti della vita pubblica e dell’agire politico riguardo ai quali la coerenza è indispensabile, irrinunciabile.
Ripeto, non è facile, specie nel corso di una trasmissione televisiva o radiofonica, essere pronti a mettere un politico di fronte alle proprie responsabilità, ma dobbiamo pretendere che i giornalisti si diano da fare, soprattutto quelli che, oltre al prestigio, hanno raggiunto anche retribuzioni di un livello tutt’altro che trascurabile. Non possiamo più accettare che i politici ci prendano per i fondelli e che ciò accada con la complicità o con l’accondiscendenza di chi, istituzionalmente, ha il compito di difendere il nostro diritto a essere informati correttamente e a non essere menati per il naso.
C’è una massima, comunemente attribuita ad Abramo Lincoln, che mi piace. La riporto in inglese e in italiano.
“You can fool some of the people all of the time, and all of the people some of the time, but you can not fool all of the people all of the time. Puoi prendere in giro qualcuno sempre e puoi prendere in giro tutti qualche volta, ma non puoi prendere in giro tutti sempre.”
Se anche il migliore giornalismo italiano non ritrova il coraggio per porre la “seconda domanda” e non decide di far funzionare la memoria, la verità di Abramo Lincoln cesserà di essere tale. E ci dovremo tenere politici che le sparano grosse e convinti che questo voglia dire governare.
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